Esce l’Annuario geopolitico della pace 2005
“Il 7 novembre 2004 novembre inizia l’operazione Al Fajr, l’alba, che vede impegnati circa 12mila soldati tra esercito e marines, più le truppe della Guardia nazionale irachena. La città è sigillata. I bombardamenti sono massicci: elicotteri, F16, F18, artiglieria pesante. Testimoni raccontano di armi al fosforo, pioggia di fuoco che brucia tutto quello che tocca, parlano di bombe che una volta sganciate generano una serie di anelli di fumo denso e nero che rimane nell’aria 2 ore. Molti parlano di gas, di un forte odore di cipolla, di difficoltà respiratorie, di ferite che si aprono nella pelle”. È l’inizio della cronaca del massacro di Falluja, la città irachena rasa al suolo nel novembre 2004, di Paola Gasparoli, volontaria di “Un ponte per” – scritta e denunciata diversi mesi prima dello scoop di Rainews24 sull’uso delle bombe al fosforo bianco da parte delle Forze armate statunitensi – che ora si può leggere sul nuovo Annuario geopolitico della pace, appena arrivato nelle librerie.
Il 7 luglio 2005, quattro bombe esplodono nel centro di Londra – tre lungo la linea della metropolitana, una quarta su autobus di linea nei pressi di Russel Square – facendo 57 morti e 700 feriti, proprio mentre a Gleneagles, in Scozia, si sta svolgendo il vertice del G8 da dove i “grandi della terra”, incapaci di accordarsi su qualsiasi proposta minima per cercare di affrontare il problema della povertà globale, riescono però immediatamente a gridare all’unisono: “i terroristi non ci faranno cambiare il modo in cui viviamo”. Quasi a dimostrazione di ciò, pochi giorni dopo, il 17 luglio, Falluja viene nuovamente circondata e attaccata alla sua periferia. “Falluja doveva essere l’esempio – scrive ancora Paola Gasparoli –, Falluja doveva essere distrutta”.
Due episodi assolutamente speculari – un attentato del terrorismo di matrice islamica nel cuore di una città occidentale, l’annientamento di una delle più importanti città irachene da parte dell’esercito anglo-americano – di quella “guerra globale e infinita” iniziata nel 1991 nel Golfo Persico, continuata nella seconda metà degli anni ‘90 nei Balcani, proseguita nel 2001 in Afghanistan subito dopo gli attentati dell’11 settembre alle Torri gemelle di New York e un anno e mezzo prima degli attentati di Madrid (l’11 marzo 2004), e ancora in corso in Iraq, nonostante il presidente statunitense George Bush l’abbia dichiarata conclusa da oltre due anni (il 1 maggio 2003). Sembra proprio che la dinamica guerra-terrorismo-guerra stia diventando una sorta di moto perpetuo, senza via di uscita, dove le uniche incognite sono rappresentate dal prossimo Stato che verrà aggredito dalle Forze armate occidentali e dalla nuova città americana o europea che sarà colpita da un attentato.
Tuttavia non è affatto vero che la guerra sia solo violenza irrazionale. Al contrario, è violenza razionale e calcolata, perché ha un obiettivo preciso, che si sta indubbiamente conseguendo: la conservazione, su scala globale, degli attuali rapporti economici in cui – semplificando in maniera forse grossolana ma certamente realistica – il 20 per cento della popolazione mondiale detiene oltre l’80 per cento della ricchezza di tutta la Terra, gli Stati Uniti mantengono saldamente il potere sul resto del Pianeta, il petrolio e le armi nucleari sono patrimonio solo di pochi Stati.
Allora la nuova ragione della guerra, scrive Raniero La Valle in una sua recente raccolta di saggi (Agonia e vocazione dell’Occidente, Milano, Altreconomia - Terre di Mezzo editore, 2005), “va cercata nella logica interna dello stesso processo di globalizzazione. Esso non ha cambiato il mondo, ma prima di tutto ha svelato il mondo com’è, nei suoi limiti, nella sua povertà e nelle sue tragedie. E ha svelato anche il limite del sistema che ha permesso e garantisce la ricchezza dei Paesi dominanti, cioè il sistema capitalistico governato dal mercato: questo limite non è geografico, tant’è che il capitalismo si è diffuso fino agli estremi confini della terra, e non ha alcuna intenzione di ritrarsene e di perdere pezzi di mercato; ma è un limite economico, sociale e umano, e consiste nel fatto che tale sistema non può reggere la vita di tutti gli uomini e donne della terra. Esso è globale, ma non è universale. (...). La scelta del sistema è quella di assumere una parte del mondo contro l’altra. Se il mondo non si può tenere in piedi tutto, allora se ne garantisce solo una parte, la propria. Un quinto contro gli altri quattro quinti. La razionalità economica si accorge che quello che conta è la quantità di beni, non la quantità di persone, e che perciò il sistema funziona benissimo anche includendo solo un miliardo di persone, ma ad alta intensità di consumi, e distribuendo meno beni ma ad alta intensità tecnologica e ad alto contenuto di ricchezza. (...). Perciò si rompe l’unità del mondo. Se tutto il mondo non si può sviluppare, che cresca e si arricchisca almeno una parte. Gli appagati e gli esclusi. Se il cibo non si può distribuire a tutti, e nemmeno per il 2015 - come si era sperato -, si potrà dimezzare il numero di quel miliardo e duecento milioni di persone che vivono nella povertà assoluta, con meno di un dollaro al giorno, che almeno siano abbondanti le mense degli altri. I sazi e gli affamati. Se il lavoro umano deve essere distrutto, perché è il fattore più caro tra i costi di produzione, lo si conservi solo per coloro che non possono essere sostituiti dalle macchine. I necessari e gli esuberi. Se tutta la terra non si può salvare, perché i mari si innalzeranno, e ci sono isole, continenti e popoli a perdere, che si attrezzi, si cinga di mura e si riempia di armi quella che deve sopravvivere, che non deve naufragare. I sommersi e i salvati”.
E lo “scontro di civiltà” è diventata la base teorica di questo processo. Una base teorica – non a caso prodotta nei laboratori statunitensi – da demistificare e, per tutti coloro che credono nella pace come effetto e conseguenza della giustizia, da ribaltare completamente: “se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri – scriveva esattamente 40 anni fa don Lorenzo Milani ai cappellani militari toscani – allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo il diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. (...) E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi eroicamente, squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi”, con mezzi “nobili e incruenti”, proseguiva il sacerdote fiorentino.
Un piccolo tentativo, quello di demistificare la menzogna dello “scontro di civiltà”, che prova a fare ancora una volta l’Annuario geopolitico della pace – giunto alla sua quinta edizione – utilizzando gli strumenti “nobili e incruenti” della cultura e dell’informazione: il racconto dei fatti, perché dalla loro conoscenza sia possibile la comprensione e l’interpretazione della realtà. Conoscenza e comprensione che sono a loro volta necessarie per passare all’azione, per rovesciare le parole dette dagli “otto Grandi” al G8 di Gleneagles, subito dopo gli attentati di Londra: “i terroristi non ci faranno cambiare il modo in cui viviamo”.
La struttura dell’Annuario ricalca quelle precedenti: le cronologie che documentano 12 mesi di attività del movimento per la pace (elaborata anche grazie all’archivio di PeaceLink) e i fatti salienti dell’anno appena trascorso; approfondimenti su particolari situazioni di guerra e di dopoguerra del nostro mondo, dall’Africa all’America latina, dall’Europa all’Asia, passando per il Medio oriente (geografie); e diversi contributi monografici sulle questioni dell’anno: la guerra e i dopoguerra visti da in generale; la produzione e il commercio delle armi, sempre in aumento; la lenta agonia del Trattato di non proliferazione nucleare; le ragioni economiche della guerra; lo tsunami e il bluff degli aiuti umanitari; i militari alla ricerca di volontari per il nuovo esercito professionale, fin dentro le aule scolastiche; dodici mesi di informazione sociale e mediattivismo per la pace. Nelle pagine arcobaleno, consigli per la lettura e la navigazione.
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