L’etica del dialogo, ultimo messaggio lasciato da Ricoeur
Napoli ha ricordato ieri il suo cittadino onorario Paul Ricoeur, scomparso il 20 maggio dello scorso anno a novantadue anni. L’occasione è stata offerta da un convegno a Palazzo Serra di Cassano con l’alto patrocinio del presidente Ciampi e la partecipazione di studiosi provenienti da tutto il mondo. Forse il modo migliore commemorare questo grande maestro è quella di aprire le pagine dell’ultimo libro del 2004, Parcours de la reconnaissance, tradotto in italiano con il titolo Percorsi del riconoscimento (Cortina). È un’opera che a me piace vedere come un dono che l’anziano filosofo lascia ai giovani filosofi del nuovo secolo. In questo senso si potrebbe anche leggere Parcours come un invito al filosofare. Essa delinea un cammino che segue il progredire del triplice lavoro dell’identificare le cose, del riconoscere se stessi nel rapporto con gli altri, e della dialettica del riconoscimento reciproco, dove il senso attivo del verbo si converte in quello passivo dell’essere riconosciuto. Questo passaggio dall’attivo al passivo comporta una domanda di riconoscimento, domanda che però non cessa mai di essere esposta alla minaccia del misconoscimento. In questo cammino vengono convocati i grandi autori della storia del pensiero, passando per quelle che lo studioso chiama (secondo un ordine più logico che cronologico) le tre vette della filosofia del riconoscimento: la vetta kantiana del riconoscimento-ricognizione degli oggetti, la vetta bergsoniana del riconoscimento delle immagini (in Materia e memoria, che affronta il problema attualissimo del rapporto pensiero-cervello) e la vetta hegeliana dell’Anerkennung, il riconoscimento reciproco dei soggetti a partire dalla lotta. E vengono rivisitati i grandi temi del pensiero ricoeuriano, degli ultimi anni ma anche di tutta la vita: l’agire e l’agente, l’uomo capace, la memoria e la promessa. La posta in gioco etico-politica dell’intera ricerca emerge quando la tematica del riconoscimento reciproco affronta la sfida hobbesiana della concezione moderna della politica come fondata su una concezione dell’uomo che è lupo rispetto all’altro uomo e che quindi sfugge alla guerra di tutti contro tutti solo a condizione di sottomettersi al potere assoluto dello stato. Ricoeur, che non ignora certo le desolazioni e la tristezza di una umanità devastata dal male, e che è consapevole dell’ineluttabilità del conflitto, ciononostante non è disponibile a lasciare alla violenza, alla guerra e al dominio dell’uomo sull’uomo l’ultima parola. Il suo colpo d’ala consiste nel legare il tema hegeliano della lotta per il riconoscimento a quello del dono. Nel dono, oltre la rete di rapporti interumani basati sullo scambio di dono e controdono, viene introdotta una logica di gratuità e di generosità mentre la valenza simbolica del donare mette in luce un elemento di festività dell’esistenza. Si profila così sullo sfondo la possibilità di un fondamento nonviolento del legame sociale e di uno «stato di pace» come orizzonte - problematico, difficile ma non impossibile - di una umanità ancora da costruire. Credo che il miglior modo per onorare Ricoeur sarebbe la promozione da parte della città che lo ha avuto come suo cittadino di iniziative rivolte a promuovere la pace e l’incontro fra le culture, in particolare in una regione così ricca di memorie storiche come quella euro-mediterranea, che rischia oggi di diventare una frontiera tormentata e insanguinata fra tre continenti e che invece solo nella pace e nel dialogo fra i popoli e le culture può ritrovare le sue radici più profonde e vitali.
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