"Oggi i pacifisti sono soli"
Col pacifismo non si fanno soldi (a differenza di cio' che puo' fare un'associazione culturale o ambientalista con gli sponsor), si fatica come cani e si mira all'aspetto della formazione della coscienza morale. Oggi tutto cio' significa fare i fessi, fare
le tartarughe rincoglionite per chi invece mira a fare incetta di voti presto e bene per un cambio di maggioranza.
Don Milani riproverava ai comunisti di lavorare poco sul piano culturale, nelle case del popolo, ebbe da tirare le orecchie ad Ingrao, forse l'unico della direzione del PCI che allora si fece la scarpinata fino al suo esilio sul cocuzzolo del monte, a Barbiana.
Ho parenti in una zona rossa al 70% che gestiscono l'edicola. Che si legge? Schifezze, immondezza. Ma si vota a sinistra.
Quando si perde il carisma ideologico - com'e' successo - e non si e'
seminato sul piano culturale... il futuro e' nero.
Mi ricollego a Capitini, a quanta attenzione poneva sul lavoro di ampio respiro, quello che opera nelle coscienze. Dovrebbe essere un'impegno di noi insegnanti nelle scuole. Dovremmo andare il pomeriggio gratis se non altro per responsabilita' morale, per la preoccupazione che nasce dal vedere ragazzi sorridere di fronte al sorgere del razzismo, per costruire relazioni nuove, per far nascere l'esigenza di leggere un buon libro, per ridare fiducia... E' la base per la cultura del dialogo e della pace... invece... fuggi fuggi generale... scuole abbandonate e poi si scopre che il quadro militante della sinistra proviene dalle scuole...
Quanti insegnanti fuggono da scuola perche' hanno l'impegno politico?
Quanti insegnanti deludono?
Oggi ho paura delle scorciatoie, ho paura di chi vuol vincere in sei mesi.
Finiremo per perdere tutto.
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Oggi i pacifisti sono soli. Esattamente come lo e' stato Capitini durante la sua vita. Non che non si riescano a fare cose valide, importanti e - a volte - con un discreto seguito. Ma cio' che salta agli occhi e' la difficolta' di essere pacifisti, la solitudine di progettare - nei momenti importanti - in pochi, di vivere la continua incertezza delle proprie scelte, di scommettere contro il proprio fallimento, di sfidare le facili
ironie.
Stiamo parlando del pacifismo vero, non di chi faceva le marce oceaniche e mobilita le piazze per far cadere il governo. Di molti di quei marciatori di dieci anni fa oggi non si vede piu' l'ombra. Erano pacifisti?
Vedo uno parallelismo storico fra la vicenda di Capitini e quella dei pacifisti oggi, al di la' della "solitudine". Il punto e' che Capitini non schiero' la nonviolenza e la sua cultura nel panorama dei partiti. E i partiti decretarono un'espulsione, una rimozione del persiero e della vita di Capitini. Anche oggi la non organicita' del pacifismo alla vita dei partiti attuali ha provocato una sorta di embargo nei confronti della cultura della pace e della nonviolenza: troppo tempo richiede, poco a noi ci frutta, cosi' si ragiona a sinistra.
La scorciatoia. Come il marxismo scelse la scorciatoia invocando l'efficacia della violenza rivoluzionaria, cosi' oggi ci si orienta sulle nuove scorciatoie, sui mezzi efficaci, e chi prospetta di lavorare - come Capitini - nell'animo delle persone,
nelle relazioni, nella cultura popolare, viene (mal) sopportato come "palla al piede".
Fare presto, essere efficaci, non dilatare i tempi della presa del potere. Come per il leninismo cosi' oggi per il parlamentarismo viene invocata la rapidita'. La selezione dei mezzi non in relazione al fine ma alla pressante esigenza di
potere: potere subito.
L'"onnicrazia" di Capitini, il "potere di tutti", ha in questo contesto politico la sua negazione e in cinquant'anni a sinistra e' cambiato tutto tranne che nel filo conduttore: far presto, non lavorare nella vita quotidiana, nella cultura della gente. La grande stagione della "partecipazione popolare" - gli anni '70 - vide la nascita o il crescere di quelle forme di potere diffuso che Capitini auspicava: i consigli di quartiere, le assemblee studentesche e gli organi collegiali, la partecipazione nei
consultori e nelle USL, negli ospedali psichiatrici, i consigli di fabbrica, ecc. Ma la parola magica "partecipazione" si sgonfio' per assenza di una cultura della partecipazione, per un'assenza di progetto e di idee, per uno sfiancamento delle
migliaia di cittadini che furono lasciati soli negli organi della partecipazione dimezzata. La partecipazione e' fallita e oggi tiriamo avanti imbarazzati - ad esempio nella scuola - i brandelli di una creatura diventata un mostro: genitori che non si presentato piu', gli insegnanti che vollero i decreti delegati ormai fantasmi sopravvissuti ad un'ideale fallito perche' mal gestito e abbandonato alle ortiche.
Da questa disfatta nel sociale Capitini esce oggi da maestro del pensiero politico, da saggio che prevedeva.
Non ne escono bene coloro i quali hanno scelto le scorciatoie, hanno trasformato la partecipazione in lottizzazione, hanno gestito come appropriazione personale (vedi USL) cio' che doveva essere riappropriazione popolare.
Non ne escono bene coloro che, nonostante tutto, non hanno fatto alcuna autocritica su questo e continuano a privilegiare il proprio potere sul potere dei cittadini.
E veniamo al cuore della questione: Capitini fu un eretico della politica e un fedelissimo della coscienza.
E chi da pacifista oggi fa altrettanto si aspetti solo la solitudine politica di Capitini, l'embargo ostile di chi non vuole un pacifismo autonomo ma un associazionismo allineato.
Perche' oggi i pacifisti sono pochi?
Alessandro Marescotti 30/9/94 - PeaceLink
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