Guarire con la poesia
Si riuniranno a Boston negli Usa dal 19 al 23 aprile prossimo i poetiterapisti di tutto il mondo. Una grande conferenza dove si discuterà delle ultime novità relative all'uso terapeutico della poesia, per intenderci la possibilità di curarsi a suon di versi.
In italiano purtroppo il termine poetiterapisti è un brutto neologismo, coniato per questo articolo. I poeti terapisti infatti non esistono, almeno agli occhi dello Stato Italiano, che non li riconosce, così come non riconosce, in generale, gli operatori arteterapeutici. Esiste, è vero, una federazione italiana, il Centro Italiano Studi Arte-Terapia[1].
I suoi membri e fondatori si battono da molti anni per questo riconoscimento e hanno perfino stilato un codice deontologico. Ma nei nostri ospedali, diciamo la verità, è piuttosto difficile trovare poeti che curino bambini. Clown si ma poeti no. Né per i malati piccoli né per quelli adulti. Si ride, e non in tutti gli ospedali, peraltro, ma non si attinge alla poesia dei versi, alla poesia della poesia, propria e degli altri.
Gli Stati Uniti, invece, sono molto avanti in questa disciplina che è a metà fra la scienza e l'arte e che può portare un valido contributo a chi ha bisogno di ricentrare il suo equilibrio. Le origini sono, in realtà, molto lontane. Nell'Antica Roma il medico Sorano (I secolo DC) era solito prescrivere poesia e teatro per i suoi pazienti. Ma, da allora in poi, si perde notizia di questa disciplina, per poi ritrovarla nel 1751, negli Usa al Pennsylvania Hospital con un pioniere della psichiatria Americana e internazionale, Benjamin Rush[2]. E' solo, però, negli anni '70 del XX secolo che la "Poetry therapy", qui in America, diventa un punto di riferimento per le cure mediche. L'Odyssey Institute di New York diventa in questo senso cruciale. Qui a giocare un ruolo importantissimo è una tenace poetessa americana, Ruth Lisa Schechter.
Nata a Boston nel 1917, unica figlia di un ebreorusso, ha trascorso quasi tutta la sua vita negli ospedali americani. Da poetessa, non da medico. Ma, in alcuni casi, con risultati simili. Cosa faceva Lisa nelle sue sedute terapeutiche? Leggeva ai suoi pazienti le poesie che aveva selezionato per loro ma li spingeva anche ad attingere al proprio mondo interiore e a scrivere. Appropriandosi di un linguaggio che la malattia mentale o la droga avevano ottenebrato. In particolare, Lisa seguiva le donne dell'Odyssey Institute, che già nel nome aveva il destino della ricerca interiore, lunga e irta di vicissitudini. Donne la cui età variava dai 22 ai 35 anni. Donne che erano state rinchiuse lì dentro dai Giudici o che si erano rinchiuse volontariamente in un ennesimo, disperato tentativo di sottrarsi alla droga. Donne nere, di origine ispanica, o semplicemente provenienti dalla east coast. Violentate o aggredite. Per tutte Lisa aveva la poesia giusta e riusciva a tirar fuori i suoni che il loro abbrutimento aveva arrugginito. Ha curato centinaia di donne in questo modo Lisa durante la sua vita.
Ruth Lisa Schechter è morta nel 1989, lasciando due figli, otto raccolte di versi e un circolo di poesia, il Croton Council of the Arts. Ma anche un insegnamento: l'arte può trasformare la vita di ognuno di noi, in tutte le sue espressioni e in tutte le sue fruizioni. Basta solo aprire la porta e farla entrare.
Il ministro Storace magari potrebbe farci un pensierino.
[2] Cenni storici su Benjamin Rush [in lingua inglese] http://en.wikipedia.org/wiki/Benjamin_Rush
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