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Una tesi di laurea su PeaceLink

Una tesi di laurea in Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico. Il titolo è "Comunicare la pace online: il caso PeaceLink". Riportiamo per intero qui sotto l'introduzione della tesi.
24 marzo 2006
Filippo Piredda

Sono numerosi gli spunti e gli interrogativi di partenza di questo lavoro, tuttavia possono essere riassunti nell’interesse verso il modo in cui i valori del pacifismo trovano spazio all’interno dello sviluppo delle tecnologie informatiche, e di conseguenza indagare su come nella galassia multiforme di Internet avviene la “comunicazione per la pace” e se questa può avvicinarsi a forme, anche amatoriali e artigianali, di giornalismo. Il primo logo di PeaceLink disegnato da Alessandro Marescotti per realizzare nel 1991 la prima carta intestata. Poi il logo è stato ridisegnato da Enrico Marcandalli.

“Comunicazione per la pace” è incontrare fisicamente le persone e discutere, dialogare con loro. Un concetto che verrà ripetuto più volte e che la metodologia di questo lavoro ha cercato di seguire grazie alle preziose chiacchierate, anche dal punto di vista umano, con Mao Valpiana di “Azione nonviolenta” sulla “comunicazione per la pace”, e quelle con Alessandro Marescotti, Marco Trotta e Francesco Iannuzzelli, indispensabili per entrare nel mondo e nelle idee di PeaceLink. Allo stesso modo sono state fondamentali le indicazioni fornite da Gilberto Ciavatta, dell’Ufficio Pace del Comune di
Riccione, che ha gentilmente messo a disposizione gli atti del “Convivio dei popoli” svoltosi a Riccione nell’ottobre 2004 e Alessandra Tarquini della “Tavola per la pace”, che ha fornito i comunicati stampa della “Tavola per la pace. Oltre a ciò lo studio si è basato soprattutto sulla navigazione in Internet, sull’esplorazione di siti dei principali media italiani, di quelli che si occupano di informazione alternativa e di pacifismo. In questo senso è stata data dimostrazione di come l’ipertestualità, il poter passare da una pagina all’altra, da un sito all’altro, attraverso i link, sia una risorsa preziosa quanto efficace; parallelamente si è avuta riprova che la mole di informazioni, persone che popolano la rete, sia sì preziosa e vitale, ma anche caotica e disordinata. Per questo l’apporto dei testi, degli studi “cartacei” è stato fondamentale per poter usufruire di un generale quadro di riferimento.

Il primo capitolo descrive la storia del giornalismo e l’informazione online, cerca di capire quali sono le sue caratteristiche, come queste lo rendono differente dal giornalismo tradizionale e soprattutto quali sono gli effetti che Internet ha sulla professione. Il giornalismo infatti si sta profondamente rinnovando e i primi frutti di questa trasformazione sono per certi versi paradossali: da un lato si parla di “massificazione”in quanto si sta allargando il numero delle persone in grado di produrre informazioni e di riflesso accresce la mole delle informazioni stesse; dall’altro lato c’è il personal journalism, ossia il giornalismo “fai da te” dei blog, e quello a richiesta dei motori di ricerca e delle newsletter. La conseguenza è che il ruolo del professionista subisce una disintermediazione con il pubblico, ossia vengono scavalcati dai lettori che cercano, o producono le notizie da soli; un fenomeno che i giornalisti vedono come un pericolo e che li porta a difendere la proprie competenze professionali. Ma non solo, i problemi e dubbi sul futuro investono
anche antiche questioni irrisolte come quelle sulla credibilità del mestiere, sulle norme deontologiche e giuridiche che dovrebbe darsi e dovrebbe regolarlo. Un ultimo aspetto del giornalismo online tocca infine i modelli economici, sinora infatti non si è trovata una definitiva quadratura del cerchio che permetta alle testate che approdano su Internet di mantenersi e di guadagnare: si è passati dal modello a pagamento totale, a quello gratuito, oggi invece la tendenza è quella del diversificare e moltiplicare l’offerta, non solo contenuti
giornalistici in senso stretto, ma anche intrattenimento e svago.

Nel secondo capitolo l’analisi si concentra sulle nuove forme di giornalismo amatoriale che si stanno affermando con l’avvento di Internet e che contribuiscono a mettere in crisi il giornalismo tradizionale e il sistema dei media mainstream. Esse prendono il nome di “informazione alternativa” e rispondono a due esigenze parallele: la prima è quella di comunicare, di avere una voce ascoltata e di sentirne diverse provenienti da tutto il mondo; la seconda è quella di informare: scontenti del sistema dei media, gli attivisti propongono il loro punto di vista su ogni aspetto della vita politica, sociale, economica. Per capire quali sono gli obiettivi, le esigenze e le critiche si è partiti da una rassegna veloce quanto incompleta dei siti che fanno informazione alternativa; fare un censimento sarebbe impossibile e forse sarebbe contro la natura stessa della rete. Segue poi un esame delle proposte e delle contestazioni lanciate ai media mainstream: dall’aprire a forme allagate di giornalismo che partono dal basso alle richieste di partecipazione e interazione, dalle accuse di essere dipendenti e collusi con i poteri forti della pubblicità, della politica e dell’industria che pensano solo a fare lauti guadagni, all’impegno per forme di volontariato dell’informazione e mediattivismo, dalla disapprovazione per le tecniche e le modalità con cui i media sono costruiti alla necessità di abbandonare il sensazionalismo e tornare all’approfondimento i temi trattati, dall’idea che la cultura della rete sia cultura della estensione e della condivisione delle tecnologie, hardware e software, e dei contenuti che grazie ad esse si diffondo, al fenomeno dei blog che consentono a chiunque, anche digiuno di competenze informatiche, di aprire e gestire il proprio sito, o meglio diario, personale.

Nel terzo capitolo si entra nello specifico della “comunicazione per la pace”, nata ben prima di Internet, ma che grazie alla rete è riuscita a fare un salto di qualità, affiancando nuove forme di comunicazione a quelle tradizionali del pacifismo, come le manifestazioni, le marce e i sit-in. In questa svolta i movimenti pacifisti hanno tratto linfa vitale non solo dai classici valori della nonviolenza, del disarmo, della solidarietà, ma anche dalla critica alla globalizzazione: se l’economia e la politica orami si muovono su scala planetaria, allora oggi più che mai pace, giustizia ed equità sociale, debbono avere un valore e una necessità davvero universali. Un problema che è strettamente collegato ai media, veicolo della formazione democratica dell’opinione pubblica, e quindi alla sensibilità della stampa verso la “comunicazione per la pace”. Per questo si è entrati nel merito della “comunicazione di guerra” e delle sue innumerevoli difficoltà e paradossi: sebbene i media dispongano dei migliori mezzi, in termini di tecnologie e professionalità, tuttavia è arduo farsi un’idea precisa su quanto accade veramente durante i conflitti, anche per ragioni pratiche e di sicurezza; l’opinione pubblica e i giornalisti stessi sono consapevoli di questo tanto che ogni giorno si sentono notizie su complicità tra i media, i governi e gli apparati militari, su dossier spacciati per veri e poi smascherati come falsi o
viceversa. Come può emergere allora una “comunicazione per la pace”? I problemi strutturali, organizzativi degli operatori di pace, sono molteplici, tuttavia esistono proposte, che possono, sul lungo periodo, portare ad una maggiore visibilità dei valori della pace sui media e di riflesso sull’opinione pubblica.

Il quarto capitolo, prende in esame un caso emblematico di “comunicazione per la pace” veicolata attraverso le nuove tecnologie.
L’Associazione PeaceLink è stata tra i primi in Italia a intuire l’importanza e le possibilità offerte dall’informatica, quando sin dal 1991, un anno prima della nascita del world wide web protocollo alla base di Internet, entra nel mondo delle reti amatoriali e dei BBS (Bullettin Board System), per mettere insieme una rete telematica nazionale del pacifismo. L’idea di PeaceLink è che quindi si possa costruire una “telematica per la pace”, ossia che oggi le nuove tecnologie possano felicemente coniugare forme di giornalismo dal basso, indipendente e aperto all’impegno sociale e pacifista. In questo ultimo capitolo sarà allora raccontata la storia di PeaceLink e attraverso esso sarà presentato il loro modello di progresso tecnologico e informatico, di giornalismo e di volontariato dell’informazione.

Nelle tre appendici poste dopo le conclusioni, sono infine inseriti alcuni dei materiali raccolti durante lo svolgimento di questo lavoro.

L’appendice A i raccoglie alcuni estratti, le trascrizioni più significative e attinenti, dei lavori del seminario “Convivio dei popoli”, facenti parte de “ComunicAzioni di Pace: Sessione plenaria di proposte per comunicare la pace”, a cui hanno partecipato, tra gli altri Enrico Paissan, giornalista della Provincia Autonoma di Trento, Carlo Gubitosa, segretario di PeaceLink e coordinatore del progetto “MediaWatch” e Flavio Lotti, coordinatore Tavola della Pace.

L’appendice B contiene invece le conversazioni personale avute con Mao Valpiana, Alessandro Marescotti, Marco Trotta e Francesco Iannuzzelli. L’appendice C infine mostra le immagini della home page di PeaceLink, della mappa delle aree tematiche del sito e l’home page del sito “MediaWatch”.

Filippo Piredda

Note: La tesi di laurea è stata realizzata da Filippo Piredda che si è laureato in Scienze della Comunicazione a Bologna.

Allegati

  • Comunicare la pace online: il caso PeaceLink

    Filippo Piredda
    Fonte: Corso di laurea in Scienze della Comunicazione a Bologna
    1173 Kb - Formato pdf
    Tesi di laurea di Filippo Piredda in "Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico"

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