Cronaca dei sentimenti: Caino è mio fratello.
Così difficile che, l'unico modo valido, può essere quello di cercare di dimostrare che siamo uguali al mostro, nel momento in cui ne invochiamo la morte.
Devo chiarire il senso ultimo del mio articolo pubblicato con il titolo: “Il perdono impossibile: quando Caino non è mio fratello”.
Devo chiarirlo, perchè non sono stata in grado di formulare giuste frasi e della mia argomentazione è rimasta solo l’antitesi: chiedo la pena di morte.
Ho cercato di fare la cronaca dei sentimenti comuni. Di riportare, apoliticamente, le radici del pensiero e delle voci che si sono levate dopo gli orribili fatti. Orribili, ma non unici. Ciò che li ha resi insopportabili è stato l’aver visto e sentito, l’uomo che sapeva, proclamare la sua innocenza; gridare alla persecuzione; invocare la liberazione per Tommaso e il rispetto per il proprio figlio. Forse, se i comunicatori avessero evidenziato che, quello stesso uomo che proponevano come vittima, era, in realtà, una persona non nuova al crimine e soprattutto, che ciò che dicevano e mostravano era sotto pagamento, forse, e dico forse, nell’opinione pubblica non ci sarebbe stato quel dubbio. Forse, alla fine di tutto, non chiederemmo il conto anche per aver “creduto” a quelle immagini e a quelle parole.
Siamo abituati al male e alle efferatezze peggiori, ma non vogliamo essere presi in giro quando com-patiamo.
Credo che le società civili, nella loro evoluzione socio-culturale, e non solo biologica, abbiano imparato a riconoscersi e a riconoscere le proprie miserie. Ecco perchè, con onestà intellettuale, ognuno di noi può affermare che Caino è fratello dell’uomo. Non solo in quanto assassino, ma in quanto portatore di passioni incompatibili con la società e l’etica. Non riconosciamo più Caino quando esce dagli schemi, quando prende le nostre sembianze.
Ed ecco il meccanismo della punizione estrema.
Alla fine del mio articolo, ho fatto cronaca anche del dolore e delle lacrime. Comuni a tutti. Comuni ai genitori di Virginia, ai familiari del tassista ucciso. Ma, a conferma di ciò che ho scritto, ditemi: ricordate i loro nomi, i loro volti, il perchè delle loro morti inutili? Chiedete la pena di morte per quel giovane ventiduenne Stefano? No. O forse sì, ma con meno indignazione. Eppure ha ucciso due volte.
Mi sono chiesta perchè esiste il bisogno di appellarsi alla pena di morte:
"Quell'uomo è un mostro della natura. Solo la sua morte potrà placare lo strazio e ridargli la sua umanità. E con la sua umanità acquisterà anche il perdono."
Potrò perdonarlo perchè la morte è il terrore dell’uomo. È il terrore di ogni Caino. È ciò che ci accomuna in quanto uomini. Ed ecco perchè, in pochissime parole dette molto male, ho detto che l’unico modo di non accettare di essere uguale a un mostro è quello di perdonarlo.
L’ho scritto molto male. Non ho giustificazioni, se non la mia umanità, nei confronti di chi è coerentemente, senza SE e senza Ma, contro la pena di morte. Invito, invece, i fautori della pena estrema a rileggere soprattutto le ultime parole:
" Perchè mentre scrivo e il cuore e gli occhi si gonfiano di lacrime, sento che neanche la morte di Mario Alessi e di mostri come lui potrà dare pace.
Forse potrà portare pace quel perdono immenso e grandioso che mi distanzia dall'essere uguale a lui nel desiderare la sua morte. Che mi porta tanto in alto da dirgli: ti perdono.
E a riconoscerlo ancora una volta in Caino e quindi in mio fratello."
Il perdono impossibile: quando Caino non è mio fratello.
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