Vi parlo di De Gregorio, di me, del pacifismo e dei soldati
Un cesto di rose e margherite (una vera dichiarazione d’amore) è stata consegnata al nostro gruppo al Senato per me. E da chi? Da tre associazioni di militari democratici che in un comunicato stampa hanno poi anche riconfermato la loro piena solidarietà, la contentezza che io sia comunque nella commissione e offrendo una futura collaborazione. Segnali di questo genere ne avevo avuti anche prima del fattaccio. Ringrazio naturalmente moltissimo questi militari democratici, come tutte le donne, i compagni, i giovani, le ragazze, insomma le moltissime persone solidali e indignate.
Se De Gregorio dice di avere interpretato i timori degli Alti Comandi per la mia presidenza, vuol dire che siamo messi male con la Difesa; se poi la Difesa si sentisse rassicurata da De Gregorio, secondo me, siamo messi ancora peggio.
Ma che cosa significa, nel profondo, questa vicenda? Molte cose, ma secondo me politicamente soprattutto una: che abbiamo di fronte una situazione pericolosamente instabile: un esercito professionale, che non conosciamo bene. Rispetto ad uno di leva, l’esercito professionale è più “politico”, più motivato, più esperto. Forse negli alti comandi meno, nei quadri intermedi di più, e resta da esaminare la truppa. Questa - secondo me - è fatta di ragazzi e ragazze desiderosi di esercitare la professione militare (non li capisco ma rispetto la loro scelta) e in più da ragazzi e ragazze disoccupati e senza prospettive. Questi ultimi, vittime dell’unica politica attiva per l’occupazione giovanile del precedente governo, o diventano del tutto passivi o si esaltano: sono un vero problema politico e di formazione. La situazione preoccupante in cui ci troviamo consiglierebbe anche di discutere ampiamente dei modelli di difesa compatibili con la nostra Costituzione. Mi ripromettevo, se fossi diventata Presidente, di proporre alla commissione un’ampia indagine su tutti i modelli dei paesi europei neutrali, che non sono affatto disarmati, ma non fanno nessuna “difesa offensiva”: sono paesi importanti, molto civili, molto interessanti. Se non potrò fare questo in Commissione, lo si potrà sempre fare nella società. Ma è importante che tutto ciò non sia coperto da “segreto militare”, bensì discusso pubblicamente tra i cittadini e le cittadine.
Manca il tempo, si direbbe, perché appena chiuso, si spera, l’Iraq, si apre l’Afghanistan. Se ne è discusso nella congiunta Esteri e Difesa del Senato, quando il ministro Parisi è venuto a riferire sull’Iraq. Siamo intervenuti in parecchi e sia la compagna Palermi, che Pisa, che Cossutta, che Del Roio che io stessa, ci siamo molto riferiti a dichiarazioni di Andreotti. Egli presenta delle richieste mai soddisfatte dal precedente governo, e sono in sintesi: quando prendiamo una decisione in ordine a missioni o inteventi militari, perché lo facciamo? Come lo facciamo, con quali costi (economici ed umani), con quali effetti (di prestigio internazionale e di accesso alle risorse)? Ci sembrano domande ragionevoli che impedirebbero di continuare a ripetere l’errore che con la guerra si possono risolvere le situazioni, che appoggiandosi a fondamentalismi e violenze si possa avere qualche risultato, dato che Hamas, la resistenza fondamentalista irachena e i Talebani in Afghanistan parlano chiarissimo. Insisterei su una posizione di questo tipo prima di qualsiasi decisione e mi permetto di ricordare al capo dello Stato che la sua posizione di “illuminato consigliere” non è una funzione di indirizzo e quindi deve essere esercitata dopo e non prima delle informazioni, discussioni, decisioni del Parlamento e del governo.
Ho come l’impressione che si è aperta una voragine in un terreno tutto coperto e segreto: facciamo di tutto perché non si richiuda e questo vergognoso episodio che abbiamo dietro alle spalle, sarà servito a qualcosa.
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