Il generale che guidò la Kfor: «In Afghanistan c'è la guerra»
La situazione in Afghanistan peggiora di giorno in giorno. Gli Usa e la Nato, che guida la missione Isaf, chiedono a tutti gli alleati un maggiore contributo militare. All'Italia, nello specifico, il segretario generale dell'Alleanza Atlantica Jaap de Hoop Scheffer ha chiesto un incremento del nostro contingente (attualmente di circa 1.300 uomini). Il governo italiano sta ora valutando l'invio di sei cacciabombardieri Amx, di elicotteri da combattimento e di un contingente di forze speciali. Il generale Fabio Mini è stato comandante della missione Kfor in Kosovo.
Generale Mini, non le pare che simili mezzi e forze siano poco compatibili con una missione "di pace"?
Il problema dell'ampliamento della missione Isaf-Nato, e quindi anche della partecipazione italiana, è di carattere giuridico prima che operativo. In quanto tale, esso diventa istituzionale e non può essere lasciato alla sola valutazione tecnico-militare. Il problema nasce dall'inserimento di Isaf in un contesto artificiosamente dichiarato post-bellico e dalla sottovalutazione della capacità dei guerriglieri talebani di costituire un'aperta minaccia nei riguardi delle forze Usa, del governo di Kabul e di chiunque lo appoggi.
Quindi secondo lei, generale, non è vero che la guerra in Afghanistan è finita, come tutti continuano a dire?La guerra contro i talebani, parte essenziale di Enduring Freedom, non è mai finita. Gli Stati Uniti hanno ridotto le forze e altre nazioni hanno dato un modesto contributo, ma la guerra si è spostata laddove si spostavano i resti del precedente regime afgano. Queste forze si sono riorganizzate e, con l'aiuto esterno, stanno destabilizzando vaste aree del paese. Nessuno ha dichiarato la fine delle ostilità con i talebani. E' stata anche scartata l'idea di convocare i talebani a un tavolo della pace e imporre le condizioni dei vincitori perché così facendo si sarebbe riconosciuta la legittimità internazionale del loro governo, che non era stato riconosciuto dalle Nazioni uUnite, ma che era stato interlocutore ufficiale di tutti e perfino degli Stati uniti. Né nessuno ha pensato a trascinare ciò che restava della dirigenza talebana sconfitta davanti ad un tribunale internazionale. L'operazione Enduring Freedom, la guerra contro i talebani, continua ed è stata inserita nel quadro più vasto della «guerra al terrore». Il che significa che è destinata a durare ancora a lungo.
Una guerra che gli Stati uniti, impegnati altrove, vogliono lasciar combattere agli alleati Nato, Italia compresa, che però sono in Afghanistan nell'ambito di una missione che non è di guerra. Se la missione Isaf della Nato «eredita» la guerra Enduring Freedom degli Usa non si crea un cortocircuito, una sovrapposizione poco chiara tra due missioni diverse?Oggi, le forze di Enduring Freedomnon sono oggettivamente sufficienti a controllare militarmente il territorio minacciato, ed è per questo che gli Stati uniti hanno chiesto alla Nato un maggior coinvolgimento. Ma per giustificarlo, non si è chiesto di partecipare alla guerra e ampliare Enduring Freedom. Si è preferito rimanere ancorati al criterio iniziale di Isaf, ovvero al quadro di una missione che - come dice il suo stesso nome - è di assistenza al mantenimento della sicurezza in appoggio al governo di Kabul. Il progetto di Isaf, inizialmente concentrato solo nella capitale afghana, prevedeva che, mano a mano che l'autorità del nuovo governo veniva riconosciuta e che veniva negoziato lo scioglimento delle milizie personali dei signori della guerra locali, le forze di sicurezza afgane avrebbero progressivamente esteso il proprio controllo ad altri territori, con il sostegno di Isaf laddove necessario.
Quindi lo scopo originario della missione Isaf era solo quello di sostenere la graduale espansione dell'autorità del nuovo governo di Kabul nelle zone già «pacificate» dalla missione Enduring Freedom. Ma nella realtà non è questo che sta accadendo: Isaf si sta sostituendo a Enduring Freedom nella fase di «pacificazione» di un territorio. Non è così?
Le zone prescelte per l'ampliamento di Isaf, ovvero il sud dell'Afghanistan, non sono quelle pacificate da Enduring Freedom, ma anzi proprio quelle in cui la guerra contro i talebani continua con vere e proprie offensive militari, seppur di carattere asimmetrico. Chi assume la responsabilità della sicurezza in queste aree si deve predisporre per fare due cose: la guerra contro i talebani, al posto o al fianco degli Usa, o la repressione di una rivolta armata interna, al fianco o al posto del governo afghano - un governo che molti degli stessi signori della guerra che ne fanno parte considerano ininfluente, che molti ribelli considerano illegittimo e che i talebani considerano d'usurpazione.
Ma se Isaf è diventata una missione di guerra «ereditando» di fatto le funzioni di Enduring Freedom - il che spiega la necessità di mandare cacciabombardieri e forze speciali - non lo si dovrebbe dire chiaramente? Non ci dovrebbe essere una seria e franca discussione sul mutamento del mandato Isaf?Il fatto che i contingenti Isaf dovranno farsi carico della guerra ai talebani, per conto di Washington o di Kabul, impone senza dubbio la necessità di un esame serio della situazione e lo scioglimento dei nodi giuridici. Non ci sono dubbi che in ambito Nato e in Italia ciò si possa fare serenamente. Se si decide per l'opzione militare, il vero impegno istituzionale diventa quello di calibrare lo strumento militare da costituire e le regole d'ingaggio in relazione alla reale situazione e a un nuovo mandato. La cosa peggiore che possa succedere è che si assumano nuovi impegni e nuovi rischi mantenendo i vecchi criteri d'impiego e le ipocrisie di sempre: fingendo che la situazione sia «normale», ignorando o negando l'evidenza della sovrapposizione di Isaf a Enduring Freedom, spacciando per ricognitori di campi d'oppio dei cacciabombardieri e per missionari di pace degli incursori e sabotatori superaddestrati all'infiltrazione in territorio ostile e alla guerra asimmetrica.
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