Avvertiamo l'urgenza e la necessità di costruire un percorso collettivo con un obiettivo semplice e preciso: il ritiro delle truppe militari italiane dall'Afghanistan, teatro di una guerra sanguinosa e potenzialmente infinita. Obiettivo indicato da tutto il movimento fin dal 2001 e ribadito dai Forum sociali mondiali di Bamakò e Caracas e dal Forum sociale europeo di Atene. Il decreto del governo per il rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan introduce elementi di cosìddetta «riduzione del danno» ma non può essere certo considerato un risultato adeguato, infatti non parla di ritiro. D'altra parte il movimento per la pace attraversa un momento di affaticamento, e noi, che di questo movimento ci sentiamo parte, crediamo sia necessario investire al più presto ogni energia possibile per un suo rilancio, nell'autonomia che è elemento costitutivo della sua stessa esistenza. La pace e la guerra sono un terreno troppo importante perché su di esso si scatenino vecchie e nuove concorrenze fra componenti e anime della così detta sinistra «radicale», sia nelle aule parlamentari, sia nei movimenti sociali. Non è il momento di polemizzare con chi ci siede vicino ma di impegnarci per far sì che, dopo l'Iraq, il 2006 sia effettivamente l'anno della decisione sull'uscita delle nostre truppe dall'Afghanistan. In questi giorni molte voci chiedono di non mettere a rischio la tenuta del nuovo governo, e di subordinare a ciò il ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Siamo quindi ben consapevoli della situazione di grande difficoltà nella quale si trovano i parlamentari pacifisti. Siamo certi che, se potesse pronunciarsi, gran parte del popolo dell'Unione, e non solo la «sinistra radicale», sceglierebbe ambedue gli obiettivi: la tenuta del governo e l'uscita dell'Italia dalla guerra afghana. Se potesse scegliere. Esiste infatti un problema di democrazia e partecipazione: perché non s'interpella direttamente il popolo dell'Unione sulla missione in Afghanistan? Quello stesso popolo che è stato chiamato a pronunciarsi sul leader. Scegliere se partecipare o meno ad una guerra è forse meno importante? Siamo certi che la risposta di pace sarebbe ancora una volta chiara.
La scelta tra pace e guerra è per noi costitutiva del nostro modo d'intendere la politica, il terreno principale sul quale unità e radicalità si incontrano. Se è giusto non sottrarsi alle responsabilità di governo, e noi ne siamo convinti, è altrettanto necessario stare al governo in maniera differente. Partecipare al governo e partecipare ad una guerra non sono due scelte obbligatoriamente tra loro vincolate.
Continuiamo ad impegnarci perché questo obiettivo possa essere raggiunto nei prossimi giorni, pur sapendo che oggi questo non dipende solo da noi, considerato l'alto grado di condivisione che tale obiettivo richiederebbe nella coalizione. Ma già da oggi possiamo scegliere di impegnarci per costruire mobilitazioni in grado, per dimensioni e qualità, di ottenere, il definitivo ritiro di tutte le truppe italiane dall'Afghanistan.
Vorremmo proporre ai movimenti, alle reti, alle associazioni democratiche, alle tante singole e singoli incontrati in questi anni di tornare a lavorare assieme nei prossimi mesi, attraverso tappe condivise, per costruire una mobilitazione la più ampia possibile capace di ottenere dal Parlamento entro il 2006 l'approvazione di una strategia di uscita dalla guerra.
Possiamo ripartire proprio da Genova, da dove cinque anni fa il movimento dei movimenti lanciò la sua sfida contro la guerra senza se e senza ma.
Proponiamo di incontrarci in occasione delle giornate di luglio nell'anniversario del G8 a Genova sabato 22 alle 9,30 (luogo in via di definizione).
Primi firmatari (***):
Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Marco Bersani, Antonio Bruno, Donatella Della Porta, Tommaso Fattori, Alessandra Mecozzi, Emilio Molinari, Andrea Morniroli, Tonino Perna, Riccardo Petrella, padre Giuseppe Pirola, Anna Pizzo, Raffaele Salinari, Gigi Sullo, Danilo Zolo.
Per adesioni ritiroafghanistan@gmail.com
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