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Premio Nobel per la Pace 2003

Il premio all'iraniana Shirin Ebadi

Avvocata, si batte per i diritti di donne e bambini. La sua prima richiesta: libertà per i detenuti politici. Ma avverte: «No a interventi esterni»
11 ottobre 2003
Sabina Morandi
Fonte: Liberazione 11/10/03
http://www.liberazione.it/giornale/031011/default.asp
- 11 ottobre 2003

Ha colto tutti di sorpresa. La decisione di consegnare il Nobel per la pace all'avvocatessa iraniana Shirin Ebadi è arrivato talmente inaspettato da causare un vero e proprio panico fra i giornalisti.
Ben pochi sapevano chi fosse. Il Comitato norvegese ha voluto premiare il suo decennale impegno a favore dei diritti delle donne e dei bambini insieme alla sua più recente attività in difesa degli studenti vittime della durissima repressione che, ormai da tre anni, sembra avere concluso la stagione riformista del presidente Khatami.

Ed è proprio per rafforzare le spinte riformiste in Iran che Shirin Ebadi, prima donna musulmana a venire insignita del Nobel, è stata scelta. Il Comitato rivendica infatti apertamente la scelta di sostenere l'Islam moderato, come dichiarato da Ole Danbold Mjoes, presidente del Comitato, nella speranza «che il premio sia un'ispirazione per tutti coloro che si battono per i diritti umani e la democrazia nel suo paese, nel mondo musulmano e in tutti i paesi dove combattere per i diritti umani ha bisogno di sostegno e di ispirazione».

Dalle aule di tribunale a Stoccolma
Laureata in legge nel 1969 all'Università di Teheran, Shirin Ebadi fu la prima donna giudice in Iran, ma la sua carriera nella magistratura venne stroncata dall'avvento della rivoluzione islamica, nel 1979. L'esclusione delle donne dalle cariche più alte dei tribunali la costrinse a ripiegare sulla professione legale, cosa che fece "specializzandosi" nelle cause che riguardavano questioni delicate come i diritti umani, i diritti delle donne e quelli dei bambini. Se il contatto con il mondo dell'infanzia l'ha portata a fondare un'associazione per la protezione dei diritti dei bambini in Iran, che ancora dirige, le sue battaglie legali l'hanno messa più volte in rotta di collisione con il governo, come quando è stata avvocato di parte civile nel processo contro alcuni agenti dei servizi segreti condannati per aver ucciso, nel 1998, il dissidente Dariush Forouhar e sua moglie.

Dall'attività legale all'impegno politico il passo è breve. Nel 2000 Shirin Ebadi ha partecipato a una conferenza che si è svolta a Berlino, organizzata da una fondazione vicina ai Verdi tedeschi, sul processo di democratizzazione in Iran. La cosa non è piaciuta alle autorità di Teheran che hanno aspettato il ritorno in patria dei relatori per arrestarli. Nel settembre dello stesso anno Shirin Ebadi e Mohsen Rahami, anche lui avvocato e attivista per i diritti umani, hanno subito un processo segreto sfociato nella condanna all'interdizione e alla sospensione della possibilità di esercitare per cinque anni. Erano stati accusati di avere prodotto e diffuso un videotape contenente le confessioni di Amir Farshad Ebrahimi, militante pentito del gruppo Ansar-e Hezbollah (ovvero Partigiani del partito di Dio), che è risultato segretamente sponsorizzato dal governo. I fondamentalisti islamici infatti, erano stati ingaggiati dalle ali più conservatrici del governo per spaventare i riformisti con dei veri e propri raid di picchiatori pagati per gettare scompiglio nelle assemblee e nelle manifestazioni. Mentre Amir Farshad Ebrahimi veniva condannato a due anni per calunnia, ed è attualmente detenuto in condizioni estremamente dure, l'avvocatessa continuava il suo lavoro di denuncia della durissima repressione seguita alla rivolta studentesca del luglio 1999.

Raggiunta a Parigi dai media di tutto il mondo Ebadi ha chiesto immediatamente la liberazione di tutti i prigionieri politici iraniani e, mentre il governo di Teheran ha fatto buon viso - in fondo si tratta di un prestigioso riconoscimento internazionale - l'avvocatessa non ha nascosto di essere stata molto sorpresa dalla decisione e di non avere ancora deciso come utilizzerà il milione di euro che le verrà consegnato, insieme al premio, il 10 dicembre prossimo.

Una concorrenza agguerrita
Giustamente l'Assemblea dell'Onu dei Popoli ha accolto con grande entusiasmo la scelta di assegnare il Nobel a Shirin Ebadi anche se porta acqua al mulino della "battaglia per imporre la democrazia al mondo islamico" targata Bush, uno slogan largamente utilizzato per giustificare l'intervento in Iraq e per finanziare l'opposizione iraniana filo-americana.

Shirin Ebadi era in concorrenza con ben 165 candidati, ed è stata preferita addirittura al papa. Ma Giovanni Paolo II non è molto popolare al di fuori dei paesi cattolici. In Inghilterra sta per andare in onda un'inchiesta della Bbc sulla politica intransigente che la Chiesa sta attuando nel Terzo mondo a proposito degli anti-concezionali. Nel suo programma radiofonico intitolato "Il sesso e la Santa Sede", la Bbc accusa senza mezzi termini il Papa di essere responsabile del diffondersi dell'epidemia di Aids a causa della condanna, e del boicottaggio attivo, dell'utilizzo del condom. Una posizione che gli è valsa anche un severo richiamo dell'Organizzazione mondiale della Sanità. Certamente anche la presa di posizione del Papa in materia di sesso pre-matrimoniale, di omosessualità e di sacerdozio femminile non è particolarmente popolare nella liberale Norvegia.

Le implicazioni geopolitiche della decisione del Comitato sono comunque chiarissime a Shirin Ebadi che, nelle sue prime dichiarazioni alla stampa, ha fatto subito piazza pulita di ogni strumentalizzazione pronunciandosi contro qualsiasi "intervento straniero" e sottolineando che i diritti umani non devono essere imposti dall'esterno, ma devono essere conquistati all'interno del proprio paese. «Non ci appoggiamo a paesi stranieri - ha aggiunto - ci reggiamo sulle nostre gambe, non vogliamo che siano gli stranieri a imporre i diritti umani».

E, tanto per chiarire ulteriormente il suo pensiero, ha approfittato del palcoscenico internazionale per condannare l'intervento americano in Iraq e per rinnovare il suo sostegno alla causa palestinese.

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