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L’inutile elemosina del club di Clinton

Lotta alla povertà
21 settembre 2006
Sabina Siniscalchi
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Nel 1983, il cardinale Carlo Maria Martini, intervenendo a un convegno di Mani Tese, ci spiegò una cosa importante: la differenza tra elemosina e Carità (con la C maiuscola perché per i cattolici è una virtù fondamentale); la prima - disse - si limita a soccorrere il povero, la seconda cerca di estirpare le radici della povertà.
Noi terzomondisti andavamo ripetendo che le cause della miseria di due terzi dell’umanità stavano nello sfruttamento delle risorse del Sud del mondo da parte dei paesi industrializzati, in un sistema economico internazionale iniquo, in ricette di crescita che negavano lo sviluppo sociale.

Non eravamo tanto ben visti: ancora non si parlava di globalizzazione (anche se il fenomeno - lo capimmo poi - era già in corso), c’era il bipolarismo e ogni critica all’Occidente veniva scambiata per complicità con il “nemico dell’Est”.

Per aiutare i popoli affamati o stremati dalle guerre si preferiva di gran lunga l’elemosina: interventi a spot, di grande impatto mediatico, senza coinvolgere le popolazioni locali.

A volte si investivano parecchie risorse, come nell’iniziativa contro la fame del governo Craxi, ma il denaro veniva quasi sempre dilapidato in progetti tanto costosi quanto inutili, regalati a dittatori amici come Siad Barre in Somalia
Sono passati trent’anni, il fenomeno della povertà di massa è stato misurato e analizzato, tutti gli esperti, dalla Banca Mondiale in giù, sono ormai concordi nel ritenere che bisogna intervenire alle radici: investire in istruzione e sanità, promuovere la partecipazione delle donne (che sono la maggioranza dei poveri), non distruggere il patrimonio naturale, trattare “decentemente” (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro parla di decent work) i lavoratori, riconoscere un prezzo equo alle materie prime, risolvere il problema del debito, assicurare credito ai poveri e risorse ai governi democratici, rilanciare una migliore e maggiore cooperazione.

Nessuna di queste soluzioni viene messa in pratica, anzi si fa tutto il contrario, così la condizione dei popoli del Sud, come la nostra del resto, peggiora.

Non esistono spiegazioni ragionevoli, il mondo va così perché lo vuole la globalizzazione neoliberista e la politica non ha il coraggio di tenere a bada un mercato selvaggio e chi vi si arricchisce oltre misura.

Siccome, però, nessuno è insensibile di fronte a bimbi e donne affamati e malati, prendono piede i “combattenti della povertà”, come Bill Clinton, che ripropongono, con grande fiuto direi, l’approccio dell’elemosina.

Organizzano splendidi party a cui invitano i più ricchi del mondo, che sono - guarda caso - gli uomini d’affari che hanno guadagnato le loro immense ricchezze dalla globalizzazione, spesso violando i diritti dei lavoratori e distruggendo l’ambiente. I media diffondono compiaciuti la kermesse. La gente per bene assiste fiduciosa, persino commossa da tanta generosità. I poveri o i loro rappresentanti sono assenti, perché guasterebbero la festa.

Non c’è Carità nella Cgi (Clinton Global Initiative), scarseggia anche l’elemosina, perché quando i riflettori si spengono, neppure le promesse, fatte con la coppa di champagne in mano, vengono mantenute.

In compenso passa un messaggio importante al mondo politico: la lotta alla povertà è una faccenda privata.

Bisogna lasciarla nelle mani dei generosi, i governi continuino pure a ridurre gli aiuti e a sottrarsi agli impegni internazionali in materia di cooperazione, debito e commercio.

Delle Nazioni Unite, poi, si può fare a meno, la gente che conta non sta all’Assemblea generale che è in corso a New York, ma al party di Clinton, appena poco lontano dal Palazzo di Vetro.

Chissà cosa pensa di tutto questo il Cardinal Martini.

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