Gente in lotta nei villaggi del Nepal
1. L'uomo era rimasto in silenzio per tutta la durata della riunione. I suoi occhi, però, parevano lampeggiare. Tradivano l'intensa emozione. Alla fine parlò. Raccontò di essere nato nella casa del landlord, il latifondista, e di aver sempre vissuto da schiavo. Di non sapere dove fossero i suoi genitori. Di avere otto figli, analfabeti, sposati, senza futuro. Lui stesso non aveva nemmeno la cittadinanza. Pensava di avere circa sessantanni, ma la sua età era indefinibile.
Mentre parlava, con lo sguardo fiammeggiante di dignità compressa, l'immagine da cartolina del Nepal svaniva definitivamente dalla mia mente. I grandi himàl, le dimore delle nevi, non sono solo il tetto del mondo. Essi conservano storie rapprese di dolore, di resistenza umana, di povertà estrema. Sono densi nuclei di energia, di sotterranea spiritualità, che ben spiegano la vitalità locale delle multiformi tradizioni buddhiste ed hinduiste e le nuove forme di riscatto del popolo. Un popolo di ventiquattro milioni di persone, che solo da pochissimi anni ha conosciuto una timida apertura democratica. E che resta retto da un regime monarchico dai contorni inquietanti, che da mesi tiene la nazione in stato d'emergenza.
2. E' appena trascorsa la Pasqua e da qui, dall'Italia, il Nepal appare solo come una terra favolosa. Guardo ancora una volta le piante del giardino. Mi accorgo che il piccolo tiglio è in fiore e colgo l'evento come un viatico per la missione che mi accingo a svolgere. Penso alla mia famiglia, penso a Paolo Moro in Congo, penso alle mani dell'Aifo nel mondo.
L'Unione Europea ha cofinanziato un nostro progetto, sostenuto anche da altre due associazioni antilebbra (una tedesca, l'altra spagnola), che rinforza ed estende la collaborazione in atto da anni con WATCH, una ONG nepalese di sole donne. Il progetto si chiama "Promuovere la salute e lo sviluppo integrato di comunità nei gruppi rurali emarginati, specialmente tra le donne, del Nepal", si rivolge ai 135 villaggi dei distretti di Rupendhei, Chhaimalè e Okhaldunga, ed è iniziato il primo maggio del 2003, anno 2060 del calendario nepalese.
Per tre anni saranno a disposizione 555.000 euro (il 75% erogati dall'UE), con l'obiettivo di insegnare ai contadini poveri migliori tecniche agricole e metodi di gestione sociale delle risorse forestali, di offrire a personale proveniente da ONG locali una formazione in sviluppo integrato di comunità, di fornire assistenza sanitaria alle famiglie rurali emigrate in Kathmandu e promuoverne i diritti umani.
3. Sarmila Shrestha è l'incarnazione vivente di WATCH, Women Acting Together for Change (Donne che operano insieme per il cambiamento). Energica, sorridente ed appassionata, è lei ad accogliere me e Francesca Ortali (la project manager) all'arrivo, con un tè verde al latte, a mezzanotte del 24 aprile. Alle sei del mattino dopo, il repentino brulichio della gente mi sveglia. A colazione sfoglio l'Himalayan e poco dopo vengo catapultato in una prima riunione a Kathmandu. Il mio yoga mi consente di sedermi a gambe incrociate tra le donne che discutono, ridono, guardano di sottecchi. Sono "sex workers", prostitute assistite dall'Associazione in tema di tutela dei diritti umani, di educazione sanitaria, di prevenzione di gravidanze indesiderate e di malattie sessualmente trasmissibili. Si stima che trecentomila donne nepalesi si prostituiscano in India e che il 17% di esse sia infetta da HIV. Le donne sono quasi tutte sposate, e con figli, alcune molto giovani e a tutte è stata scippata la giovinezza. Dicono di odiare questa professione, di aver paura dei clienti e della stessa polizia, delle sevizie che spesso sopportano e delle malattie. Ma dicono anche di non avere alternative, che i loro mariti chiudono gli occhi perché la loro attività fa sopravvivere la famiglia. Vogliono organizzarsi, sindacalizzarsi, tutelare soprattutto i figli con una educazione che li sottragga ad un destino cieco, senza possibilità di scelta. A sera, lungo le sponde del fiume Bagmati, osservo i fuochi delle cremazioni nel buio del grande santuario hindù di Pashupatinath, e rifletto sul dominio dell'uomo sull'uomo. Un filosofo ormai in soffitta, Carlo Marx, sosteneva che la civiltà umana si può misurare dal grado di sviluppo della relazione uomo-donna. Soffitta o no, aveva pienamente ragione. Che queste donne nepalesi siano marxiane senza saperlo?
4. Siamo partiti per il distretto di Rupendhei, nella calda striscia pianeggiante del Terai al confine con l'India, alle sette del mattino. Alle 15.00 siamo a Kerwani, nella sede locale di Watch, con una corona di fiori rossi attorno al collo e un terzo occhio dipinto sulla fronte da un festoso comitato di donne. La mattina dopo, alla fine di una lunga e polverosa strada sotto un sole cocente, arriviamo in un villaggio senza nome, nel distretto di Nawalparasi. Qui 75 famiglie vivono in case di fango, legno e paglia, utilizzando una sola pompa per l'acqua. Questa ci viene gentilmente offerta dalle donne musear, anche se è assolutamente torbida e certamente inquinata, in segno di semplice ed inconsapevole ospitalità. Sono membri di una casta di intoccabili la cui unica attività riconosciuta è quella di tagliare i capelli e come a volte sopravvivano lo chiarisce l'eloquente soprannome di 'mangiaratti'. Non sono proprietari della terra su cui hanno costruito le capanne dopo che un'alluvione aveva distrutto, quattro anni prima, il precedente villaggio. E' una waste land, una terra incolta demaniale, ma per ottenerne l'attribuzione ci vorrà una lunga battaglia. In un altro villaggio la situazione è diversa, ma ugualmente drammatica: le case sorgono sul terreno di un landlord, alla cui mercè sono ridotti tutti gli abitanti. I gruppi di donne dibattono le questioni più importanti e producono consapevolezza sui diritti umani. Si conquista la terra, la pompa, la cittadinanza (molti non hanno un certificato che attesti la loro esistenza), si cambiano le tradizioni dispendiose e le abitudini sbagliate. Le donne tharu di alcuni villaggi sono riuscite a convincere i loro uomini a coltivare le patate non solo per l'autoconsumo, ma anche per venderle, e li accompagnano ai mercati con determinazione. Anche la cerimonia nuziale, che prima durava otto giorni e per le ingenti spese costringeva a passare sotto le forche caudine degli usurai, è stata ridotta a un solo giorno. Da queste donne sprigiona un'antica energia, come quella che proprio lì vicino, nel bosco di Lumbini, consentì a Mayadevi, circa 2500 anni fa, di partorire il piccolo Siddharta, il futuro Buddha, sorreggendosi ad un ramo. Fino a pochi anni fa, nel Terai, una donna che usciva di casa era considerata poco meno che una prostituta. Ed è proprio per evitare che "si guastino" che molte famiglie ancora non mandano a scuola le loro figlie. Per il matrimonio, che tuttora è precoce, occorreva una dote notevole da parte della ragazza. Le donne dovevano vestire il sari da destra dietro le spalle per rispetto e dovevano coprirsi il capo davanti agli uomini. Nel rapporto uomo-donna c'era solo dominio e sesso, non una vera intimità. Con la nascita dei gruppi femminili, le cose stanno cambiando: le donne escono più facilmente, si vestono più liberamente, parlano d'amore. Le donne hanno le idee chiare. Vogliono uscire dalla povertà, per superare così anche la barriera delle caste, ma non le interessa la ricchezza. Vogliono la pace, uomini di governo intelligenti nei VDC (i comitati per lo sviluppo dei villaggi), mariti che non bevano (l'alcoolismo è stato diffuso dalla 'modernità'), figli sani ed educati. Mi hanno domandato come vorrei i miei figli in futuro. Ho risposto così, idealisticamente: cresciuti in rispetto e comprensione della condizione umana, ricchi di conoscenza, saggezza, amore.
5. Ventinove aprile. Sono sotto la veranda di una povera abitazione a trecento km da Kathmandu. Ho appena finito di pranzare alla maniera nepalese, con la sola mano destra, ma accettando solo riso e banane, sia perché sono vegetariano, sia perché non riesco a mangiare il loro piatto unico nazionale, il dal baat, perché il riso viene condito con troppa masala, cioè con spezie molto piccanti. Anche questo è un villaggio di intoccabili, gli ultimi nella scala sociale e delle caste hindu. Eppure mi sento avvolto, in maniera quasi palpabile, da un'atmosfera di comunità. Avverto gli aspetti costanti e fondamentali dell'uomo a tutte le latitudini e per un po’ mi sento uno di loro. A un certo punto qualcuno tira fuori un tamburo quasi cilindrico, altri accordano lo strumento principale, il saranghì, una specie di mandolino-violino a quattro corde, suonato con un archetto che porta un sonaglio ad un'estremità. Un uomo intona un canto che mi pare venato di malinconia, sua moglie gli fa da controcanto. Il villaggio sottolinea la sua ospitalità e la sua riconoscenza così. Ma ecco, si balla. Lo fanno gli uomini, lo fanno le donne con movenze quasi figurative, dignitose ed eleganti nei loro sari puliti e colorati. Si raccoglie tanta gente attorno, altre donne, bambini stupiti, uomini scuri che lasciano le capanne vicine. Sono così coinvolto che se ne accorgono. E allora tocca anche a me danzare per manifestare reciprocità. Alla fine, una piccola ibridazione è avvenuta: ci si saluta con le mani giunte in namastè e poi con l'occidentale stretta di mano.
6. In un altro villaggio del distretto è nato perfino un comitato di bambini. Hanno dai cinque ai tredici anni e, come in ogni gruppo creato da Watch, ognuno si alza in piedi, saluta e si presenta. Il segretario (otto anni) e il cassiere (nove) mi spiegano cosa fanno. Gestiscono una piccola riserva di semi, imparano tecniche agricole semplici e le trasmettono ai parenti, spingono tutti ad andare a scuola (ma purtroppo quattro di loro l'hanno interrotta). Hanno poi messo da parte un modesto fondo di rupie per il mutuo soccorso nel caso in cui qualcuno abbia bisogno di cure mediche. Mi chiedono se i ragazzi italiani ("ma dov'è l'Italia?") si associano e racconto loro l'esperienza dei consigli comunali dei ragazzi. Intanto inizia la riunione di un altro gruppo di donne. Mentre loro discutono, si passano il tè e del mais essiccato, mi ritrovo circondato da una piccola folla di bambini. Alcuni ben cresciuti, altri col moccio pencolante dal naso, altri ancora dai capelli scoloriti per la malnutrizione, altri con nugoli di mosche sul corpo, altri che si grattano il capillizio per i pidocchi.. Ma tutti, prima o poi, sorridono, mi osservano di sbieco, scherzano tra loro. E poi, piano piano, come per caso, mi prendono le mani, tentano di fare dei giochi con me. Allora, in una trance infantile, io alzo il pollice e grido "Italia OK!". Vengo imitato con risate fragorose e presto il mio braccio, abbronzato ma pur sempre d'un bianco, si confonde in una selva di nere braccine. Mi toccano, mi toccano ancora, mi palpano, quasi per accertarsi che io esista per davvero. Alcuni vogliono abbracciarmi. La mia trance infantile persiste e il mio io bambino mi gioca strani scherzi: mi sento adottato a distanza… ravvicinata!
7.E' appena terminato un acquazzone e sto assaporando un bel bicchiere di latte caldo di bufala. Sotto la tettoia di legno riprende la discussione con un gruppo di utilizzatori delle foreste (forestry users). Gruppi così sono piuttosto numerosi. Lottano contro il degrado ambientale delle foreste pubbliche e contro il taglio indiscriminato o abusivo degli alberi. Chiedono di poter usare tali risorse in maniera produttiva per le comunità locali e per raggiungere tale obiettivo (l'assegnazione delle terre) si sono organizzati in una federazione nazionale (FECOFUN). Watch sostiene questi gruppi ritenendoli il possibile perno di uno sviluppo sostenibile del territorio. In Nepal il legname fornisce il 90% dell'energia e ciò causa deforestazione ed erosione del suolo, difficili da contrastare perché i tempi di recupero sono molto lunghi. L'albero di sal, ad esempio, che ha un legno durissimo ed estremamente pregiato, ha bisogno di circa ventanni per crescere. Ma intanto il monarca ha dato vaste aree in concessione alle multinazionali del legno, ipotecando il futuro di grandi zone verdi.
8. Il fiore di loto, la ninfea, affonda le sue radici nel fango viscido del fondo dello stagno, ma da lì assorbe il nutrimento per i germogli che poi affiorano in superficie e diventano fiori luminosi e puri. Allo stesso modo, la gente dei villaggi nepalesi (la grande maggioranza della popolazione) vive in estrema povertà, ma lotta per sollevarsi e far brillare la propria umanità. E' così che per me acquista un senso il sacro mantra del buddhismo tibetano, OM MANI PADME HUM, che vuol dire "osserva il gioiello nel fiore di loto".
Home page di WOMEN ACTING TOGETHER FOR CHANGE (WATCH)
http://www.panasia.org.sg/nepalnet/watch/home.html (1999)
http://www-trees.slu.se/speccase1/watchindex.htm (2001)
Altre informazioni su http://www.recoftc.org/01country/nepal/activity.html
Foto su http://www.jagritifoundation.org/newsletters/200306/GGWGroups.asp
PROGETTO DI SALUTE E SVILUPPO in Nepal
Progetto Watch
Obiettivo: Programma di sviluppo comunitario in Nepal rivolto alla promozione del ruolo della donna
Partner: Watch Nepal (Women Acting Together for Change), ONG nepalese
Responsabile Sig.ra Sarmila Shrestha
L’incidenza delle malattie risulta allarmante per il futuro del paese: oltre il 60% della popolazione vive in zone in cui la malaria è endemica;la tubercolosi colpisce il 4-5% di 1.000 abitanti, mentre l’hanseniasi incide per il 7.2 su 1.000 abitanti. Un’ulteriore minaccia è inoltre rappresentata dal recente incremento dei traffici illeciti e della prostituzione, veicoli di diffusione dell’AIDS, divenuta ormai uno dei maggiori problemi sociali di questo paese.
Al fine di alleviare e tentare di risolvere una così grave situazione, AIFO ha deciso nel 1994 di impegnarsi in un programma di sviluppo comunitario in collaborazione con l’ONG locale WATCH (Women Acting Together for Change). Fondata nel ’92 da un gruppo di donne (medici, infermiere, assistenti sociali), esperte ed impegnate nell’organizzazione della sanità di base, tale associazione ha come obiettivo principale lo sviluppo del ruolo sociale delle donne nepalesi, tradizionalmente prive di ogni possibilità decisionale. Si intende creare le condizioni necessarie affinché le donne si rendano consapevoli dei propri diritti e delle proprie capacità ed acquisiscano potere decisionale circa il proprio ruolo nell’ambito della comunità.
Il progetto si realizza tre zone di intervento, Chhaimale, Rupandehi e Okhaldhunga, individuate sulla base di alcuni criteri di valutazione, come il fatto che fossero zone in cui vivono persone appartenenti a strati sociali considerati inferiori, gruppi etnici minoritari, in cui la popolazione è più povera e non ha accesso ai servizi pubblici ed in cui le condizioni delle donne sono particolarmente svantaggiate.
Il lavoro svolto in queste aree ha lo scopo di fornire i servizi sanitari di base con particolare riguardo ai poveri, le donne, le persone con disabilità ed i bambini. L’impegno è stato rivolto alla popolazione, al fine di renderli coscienti ed attivamente partecipi nel ricercare le soluzioni più adatte ai problemi di salute e sanità e ad altre questioni sociali e culturali relative alla produzione e alla nutrizione che hanno impatto diretto o indiretto sulla loro salute e sul loro sviluppo. L’approccio è stato quello di rendere in grado la popolazione dei villaggi di riconoscere i propri problemi, di cercare con il consenso generale le possibili soluzioni e di impegnarsi a realizzarle.
Sono stati creati vari gruppi di donne che, con l’aiuto di un responsabile, sono riuscite a risolvere i problemi riguardanti loro e l’intera comunità, nell’ambito dell’educazione sanitaria ed alimentare, ad esempio, la fornitura di acqua potabile, ma anche la promozione di interventi di tipo agricolo e di creazione di reddito.
Aspetto importante di tutto il progetto è comunque il tentativo di creare una forma di organizzazione che liberi le donne in modo da tutte quelle costrizioni che derivano dalla povertà e dall’ignoranza. Proprio per questo WATCH continua a dedicare grande impegno alla battaglia contro lo sfruttamento della prostituzione femminile. Si calcola che circa 200.000 ragazze e donne nepalesi lavorino come prostitute nei bordelli dell’India; la gente che abita nei villaggi ottiene un sostanziale reddito dalla vendita delle proprie figlie, sorelle e mogli. In questo ambito è stata lanciata un’ampia campagna di educazione sanitaria con particolare riferimento alle malattie sessualmente trasmissibili diretta alle donne e ai loro mariti/compagni, mentre alcune attività del progetto sono mirate a dare alle donne delle opportunità di sopravvivenza alternative, affinché quelle più povere non siano costrette a prostituirsi.
L’impegno per i prossimi anni da parte di AIFO è quello di continuare il lavoro intrapreso e, sempre in stretta collaborazione con WATCH, di potenziare per quanto sia possibile le iniziative a favore della popolazione nepalese.
Impegno AIFO per il 2003:
56.000 Euro
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