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Sicurezza e difesa

2. Riflessioni sugli aspetti soggettivi della sicurezza in un sistema democratico

La presente parte intende contribuire a mettere in luce due implicazioni/accezioni della sicurezza, il primo e' "l'assicurare" i vantaggi acquisiti, il secondo e' il senso di paura diffusa che si radica nella paura dei singoli. Sono processi che si intrecciano e si mescolano in proporzioni diverse nelle diverse singole persone.
20 ottobre 2003
Francesco Tullio
Fonte: La nonviolenza è in cammino n. 700 http://lists.peacelink.it/news/msg06392.html

Le forme di attrito fra gruppi umani sono manifestazioni complesse e derivano dall'interazione di forze economiche, culturali e psicologiche.
Enumero brevemente i fattori psicosociali abitualmente presi in esame (1), rinviando la discussione dei singoli fattori ad una trattazione piu' approfondita (2):
- la paura e l'ostilita' individuale e di gruppo;
- la competizione su risorse scarse o ritenute tali;
- il bisogno degli individui di identificarsi in un gruppo o in una causa che diano alla loro vita un senso trascendente;
- la tendenza umana ad esternalizzare, a proiettare su altri la responsabilita' di impulsi ed intenzioni sgradite;
- una peculiare tendenza ad identificarsi, farsi rappresentare o subire dei leaders che utilizzano le inclinazioni piu' selvagge degli individui in nome della sicurezza o dell'interesse nazionale. Nel nostro periodo storico la agglutinazione collettiva di questa suscettibilita' passa attraverso la funzione dei mezzi di comunicazione di massa che, entro certi limiti, possono esaltarla o inibirla;
- un ulteriore punto di vista da tenere in considerazione (3) e' lo studio di quei sistemi di credenze collettive (belief systems) di un gruppo, particolarmente perniciosi quando diventano rigidi, resistenti al cambiamento e soprattutto se si accompagnano alla intensa sensazione del gruppo di essere vittima di qualche torto.
La paura di malattie contagiose e la paura di dissoluzione della propria
identita' collettiva' di fronte a massicci flussi migratori sono i segni di
una angoscia diffusa che ha le proprie ricadute anche sulle scelte di
difesa.
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I continui allarmi sul terrorismo, sulla violenza nei quartieri e nelle famiglie, sulle catastrofi ambientali, sul rischio di recessione e di perdita del lavoro, che vengono trasmessi dai mass media e vissuti da gruppi consistenti della popolazione indicano come una analisi della dimensione soggettiva della percezione della sicurezza/insicurezza e della reazione a tali problemi veri e/o presunti, sia imprescindibile per la costruzione di adeguate risposte difensive e trasformative.
Applico alla riflessione che segue i seguenti postulati:
1. Il senso di insicurezza e di paura sono concetti che si riferiscono inevitabilmente ad una radice soggettiva. Queste dimensioni si riflettono
sulle istituzioni e sulle modalita' sociali di gestione dei conflitti all'interno della collettivita' e con l'esterno (4).
2. Esiste anche una relazione fra bisogni, valori ed approcci individuali, scelte di sviluppo collettive, e conflitti internazionali. Esiste un nesso fra tensioni interiori (insoddisfazioni personali e malcontento sociale), i modi di affrontare il vissuto di crisi (serenita' e maturita' d'animo, rabbia o impotenza con le loro sfumature e comportamenti connessi, sia personali che collettivi), e la stabilita'/instabilita' nazionale, internazionale ed ambientale. Esiste cioo' un nesso fra micro e macroconflitti e fra aspetti psicologici, economici e politici della sicurezza.
3. Queste diverse dimensioni si influenzano reciprocamente fra di loro. E' una scelta prenderle in esame in una ottica sistemica, di circolarita' fra di esse, e non di semplice relazione causa-effetto.
4. La politica, pur essendo il risultato di un processo complesso, deve prendere adeguatamente in considerazione queste dimensioni personali. La comprensione delle dinamiche relazionali e delle personalita' individuali e collettive coinvolte nei conflitti e' utile per identificare nodi irrisolti, per costruire strategie di intervento e per individuare le modalita' comunicative piu' efficaci da applicare di volta in volta per uscire dalla crisi. Questo sapere e' di per se' neutrale. Esso puo' essere utilizzato per personale avidita' ed ambizione e/o per il bene comune.
5. Una politica che si definisca democratica non puo' applicare per definizione forme di comunicazione manipolative con i propri membri e non puo' favorire una strutturazione interna verticistica e programmi puramente repressivi. Essa deve favorire anche la comunicazione sincera con il competitore, con l'avversario e con il potenziale nemico, perche' la competizione senza limiti esita inevitabilmente in scontro (5). Essa deve dunque favorire la cooperazione almeno quanto enfatizza la competizione e deve favorire il rispetto degli altri popoli, una maturazione emotiva
collettiva, lo sviluppo delle competenze e degli strumenti di gestione costruttiva dei conflitti.
Il termine sicurezza viene dunque usato con molteplici implicazioni. Oltre alla tutela dell'integrita' fisica e della identita' storica ci si riferisce frequentemente alla sicurezza politico-economica di un sistema complesso, nel quale possano essere mantenuti i vantaggi materiali.
Garantire la sicurezza all'interno di un ordine internazionale condiviso e concordato puo' significare distribuire almeno in parte questi vantaggi in modo che tutte le genti non avvertano rancore, odio ed ingiustizia. Bisogna altresi' trovare un punto di equilibrio nel rispetto delle molteplici culture e valori. Ma teoricamente si puo' pensare di continuare a garantire la sicurezza anche non occupandosi della "distribuzione" se non fra i piu' determinati e arroganti che possono rappresentare un pericolo. I moderati, i fatalisti o gli impotenti non rappresentano un problema per i poteri "forti" ma solo per gli "etici".
Tuttavia il vissuto di molti cittadini del mondo meno sviluppato e' stato l'anelito di ricchezza materiale per tutti come promesso dal sistema economico-tecnologico-informativo dominante. Le risorse invece sono limitate. La ricchezza non potra' arrivare dappertutto ed anzi molti paesi saranno soggetti a difficolta' e catastrofi come e piu' di prima. Da qui, fra l'altro, una ragione dell'assalto al primo mondo. All'impulso del "si salvi chi puo'" si mescola la speranza che se la ricchezza non arrivera' nei paesi d'origine qualche briciola si potra' conquistare in Europa.
Quel benessere promesso non puo' essere aggiunto alla ricchezza gia' esistente; I limiti dello sviluppo si intrecciano con i limiti della ricchezza. Le promesse potrebbero essere almeno parzialmente realizzate solo a scapito dei vantaggi del mondo gia' ricco. Sembra peraltro che nel frattempo chi partiva gia' ricco abbia acquisito una percentuale maggiore degli introiti e vantaggi complessivi nelle transazioni internazionali. Una ricontrattazione potrebbe garantire una adesione al sistema internazionale di popoli e categorie ora insoddisfatte, tale da svuotare l'adesione alla violenza degli estremisti (6).
Una scelta diversa e' di mantenere un alto reddito per pochi, mantenere o aumentare i risultati materiali per quelli che li hanno gia' raggiunti, continuando a promettere vantaggi a chi ancora aderisce al sistema e trascurando gli altri. A sostenere questa opzione vi sono alcuni fattori caratteriali e psichici di una parte della popolazione privilegiata: l'ottimismo nel proprio benessere futuro e nella vittoria contro il nemico, la fede nel sistema.
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Nel momento in cui la crisi e' evidente, oltre all'ottimismo, addirittura la baldanzosita' di coloro che sono ben immedesimati in questo sistema di sviluppo, si evidenziano due principali valenze emotive che sostengono la guerra preventiva.
La prima di chi ha un approccio consapevolmente disposto allo scontro per mantenere i privilegi. Questa e' la posizione di chi e' disposto a giocare il tutto per tutto, a fare i sacrifici dello scontro, convinto che e' meglio essere determinati e magari brutali da subito. Questo tipo di prevalenza emotiva sottende spesso dei caratteri competitivi, aggressivi, anche arroganti, perlopiu' rigidi (7).
L'altra valenza emotiva e' di coloro che non presentano questa bellicosita' e devono essere convinti con le buone o con le cattive della necessita' di partecipare alla lotta. La minaccia del terrorismo e' una degli eccellenti argomenti per coinvolgerli nella strategia della prevenzione. Questa e' la posizione di chi per paura accetta le scelte che vengono proposte dai vertici. Queste scelte possono progressivamente portare alla affermazione del proprio gruppo di appartenenza (non necessariamente nazionale ma ideologico o economico), oppure allo scontro. Chi appartiene a questa tipologia spera sempre che lo scontro poi non ci sia davvero, che ci si fermi alla minaccia o all'atto dimostrativo. Quando poi nello scontro ci sono i morti per davvero si puo' anche ritirare dall'adesione alla strategia intrapresa. Da qui proviene la preoccupazione dei vertici per le reazioni dell'opinione pubblica nelle missioni a rischio (8).
La prima posizione emotiva sembra essere minoritaria nelle popolazioni europee e, pare, anche in Usa, almeno per ora. Essa e' piu' diffusa fra gli strati della popolazione piu' avezzi ad un approccio attivo per il raggiungimento dei propri obiettivi, che tendono alla competizione, alla leadership e puntano al raggiungimento di posti di controllo e potere, nelle forze armate, nella politica, fra i giovani e vecchi rampanti delle imprese e della new economy.
La strategia della difesa preventiva, cosi' come la radicalmente diversa strategia della difesa civile e della prevenzione dei conflitti, in uno stato formalmente democratico hanno bisogno di affermarsi attraverso la progressiva approvazione di altre fette della popolazione. Quelli della difesa preventiva tendono ad imporre, ad accorciare i tempi, a prevaricare, noi tendiamo a coinvolgere costruttivamente. Per farlo dobbiamo saper ascoltare e rispettare chi non la pensa come noi.
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(Continua)

Note: 1. J. E. Mack (1990), "The Enemy system", in Volkan, Julius and Montville, The Psychodynamics of International Relationship. Lexington Books, Lexington, Mass. La trattazione approfondita di tale aspetti verra' pubblicata a breve in un volume su Guerra ed emozioni. Parte del presente capitolo proviene dalla ricerca su Le ong e la trasformazione dei conflitti. Le operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive, (commissionata e finanziata dall'ufficio Onu del
Ministero degli Esteri), a cura di F. Tullio nel 2002, Editori associati - editrice internazionale, Roma 2002.

2. Francesco Tullio, Guerra ed emozioni, in attesa di pubblicazione.

3. Gutlove Paula (1992), " Psychology and Conflict Resolution: Toward a New Diplomacy", in Tonci Kuzmanic e Arno Truger, Yugoslavia War, edito da Austrian Study Centre for Peace and Conflict Resolutio Sclaining e Peace Institute Ljubljana.

4. Mentzos Stavros, Interpersonale und Isntitutionalisierte Abwehr, Suhrkamp, Frankfurt am Main.

5. Simone Weil: "da un lato la guerra non fa che prolungare quell'altra guerra che si chiama concorrenza; dall'altro tutta la vita economica e' attualmente orientata verso una guerra futura".

6. Massimo Fini, Il vizio oscuro dell'Occidente, Marsilio, 2002.

7. Questo atteggiamento si rileva non solo laddove i privilegi vanno mantenuti ma anche, con alcune differenze, dove essi vanno conquistati e talvolta anche dove invece di privilegi vanno mantenute o conquistate le condizioni minime di sopravvivenza.

8. Personalmente ritengo che la forza, anche fisica, in certe situazioni sia inevitabile, ma distinguo fra forza e violenza. La forza e' intesa a bloccare l'atto violento dell'altro in mancanza di altre alternative - se per esempio un soggetto sta per uccidere un bambino ed io gli strappo l'arma uso la forza. La violenza invece ha una valenza rivendicativa, e' un abuso della forza, al di fuori del rispetto e della ricerca di dialogo e giustizia.
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