Introduzione
Dopo essere stato interrogato dai magistrati nell’ambito dell’inchiesta sul sequestro di Abu Omar – organizzato, nel febbraio 2003, dalla Cia e dal Servizio segreto militare italiano –, l’imam della moschea milanese di via Quaranta sospettato di legami con la rete terroristica di Al Qaeda, Renato Farina, vicedirettore di “Libero”, uno dei dieci quotidiani italiani più venduti (oltre 70mila copie al giorno), in una lettera al suo direttore del luglio 2006, Vittorio Feltri, ammette candidamente: “Quando è cominciata la quarta guerra mondiale, quella scatenata da Osama Bin Laden in nome dell’islam contro l’Occidente crociato ed ebreo, ero animato da propositi eroici. (...), non riesco a concepire altro modo di fare il giornalista (...). Ho dato una mano ai nostri servizi segreti militari, il Sismi. Ho passato loro delle notizie. Ne ho ricevute. (...) Ho combattuto con i miei articoli. (...) In questa guerra mondiale non sono salito sull’elicottero per raccontare dall'alto come i terroristi islamici seminano il terrore tra le popolazioni più o meno cristiane. Ma ho cercato di fare di tutto e di più per difendere questo nostro Paese e la sua civiltà cattolica”.
La vicenda di Renato Farina, alias “Betulla” – il nome con cui il vicedirettore di “Libero era sul libro-paga del Sismi –, è esemplare per mostrare la saldatura fra potere e informazione, avvenuta anche a livelli ben più alti di quelli frequentati da Farina-Betulla: un’alleanza che in questi anni ha avuto il compito – e lo ha svolto con notevole efficacia – di avvalorare la tesi dello “scontro di civiltà” per rendere inevitabili e necessarie agli occhi dell’opinione pubblica mondiale guerre (in Afghanistan e in Iraq fino ad ora, in Iran forse), legislazioni restrittive delle libertà personali soprattutto nei confronti dei migranti provenienti dal Sud del Mondo (il Patriot Act negli Stati Uniti, la legge Bossi-Fini – eredità della Turco-Napolitano – in Italia) e un clima generalizzato di paura che consente di tenere sotto tutela milioni di cittadini.
Un ‘patto scellerato’ che ha gettato le sue fondamenta su una teoria, quella dello “scontro di civiltà”, messa a punto nei laboratori statunitensi all’inizio degli anni ’90 per costruire, con gli strumenti della disinformazione strategica, la grande menzogna che serve al potere per dichiarare la “guerra infinita” necessaria a mantenere il controllo sul mondo, sulle sue risorse e sui suoi abitanti.
Con i piccoli e limitati strumenti a nostra disposizione, questo sesto Annuario geopolitico della pace tenta di gettare qualche granello di sabbia di verità – o perlomeno di dubbio – negli ingranaggi del combinato potere-disinformazione-guerra. E lo fa con lo strumento nonviolento della parola che si fa informazione – non controinformazione, spesso derubricata ad esercizio intellettuale volontaristico di giornalisti e studiosi non professionisti, ma vera e propria informazione – e dubbio, non scettico ma critico, cioè messa in discussione della verità propagandata dal potere. Le cronologie documentano 12 mesi di attività del movimento per la pace e i fatti salienti dell’anno appena trascorso; nella sezione geografie si mettono a fuoco situazioni dimenticate oppure osservate sempre dalla stesso angolo visuale; le questioni affrontano direttamente i nodi dell’informazione e dello “scontro di civiltà”.
Una nota per il lettore: gli articoli sono stati consegnati per la stampa durante l’estate 2006 per cui non affrontano gli avvenimenti successivi a questo tempo.
A tutti i collaboratori, che hanno lavorato gratuitamente ma non per questo poco professionalmente, va un grazie vero e non di maniera; in particolare a Giovanni Benzoni e Salvatore Scaglione per la ‘consulenza’ al sottoscritto per tutto il tempo della realizzazione dell’Annuario, e a Marco Manzoni che ha messo a disposizione l’intervista a Raimon Pannikar da lui realizzata per la televisione svizzera. Così come ringraziamenti vanno all’associazione PeaceLink e al settimanale “Internazionale” che hanno contribuito alla realizzazione di questo Annuario con i loro documentatissimi archivi
La diversità di voci e il pluralismo di idee, non necessariamente fra loro sempre e completamente concordi, che trovano spazio nell’Annuario ne costituiscono la ricchezza. E sono un modo anche simbolico di opporsi alla logica della guerra e della violenza che della diversità e del pluralismo è l’assoluta negazione.
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