''Tutti figli di Noé'': percorsi di pace nel Caucaso del Nord
I tragici avvenimenti di Beslan dei primi di settembre 2004 hanno rappresentato per l’organizzazione di volontariato “Mondo in cammino” (www.mondoincammino.org, di seguito MIC), un importante punto di svolta nelle modalità di concepire e fare volontariato. La tragedia, oltre al grande impatto amplificato dai mass media e alla grande attenzione emotiva e alla partecipazione solidaristica dei primi mesi, ha fatto conoscere a MIC una realtà completamente sconosciuta, se non per quanto attiene al conflitto russo ceceno. Durante le missioni degli ultimi due anni, una realtà, quella del Caucaso del Nord, si è aperta alla conoscenza dei volontari con il suo ampio ventaglio di contraddizioni, conflitti, etnie, ma anche ricchezza (umana, culturale, paesaggistica). Realtà che affascina e sconcerta, realtà mitica e suggestiva. La semplice parola “Caucaso” ha un notevole rimando evocativo, affascinante e tragico nel contempo.
Caucaso, una parola che in russo suona "Kavkaz". In arabo, invece, "Qaf, "Qabh", "Qabk" (la forma più moderna e completa è "Quqaz"). Questo termine deriva dalla radice semitica "qf", che significa "fine", "estremità", "compimento". Già per gli antichi navigatori fenici questo termine indicava l'estremo limite settentrionale delle terre abitate, ed il "Paese di Qaf" era per loro il luogo dove dimorava la divinità più antica, Baal-Qafon. Il "Paese di Qaf" è appunto il Caucaso. Gli Armeni diedero a questo nome la forma "Kafaz". Anche i Persiani ritenevano che il "Paese di Qaf" fosse il limite estremo del mondo, anche se sapevano che al nord di esso c'erano altre terre. Una convenzione quale limite "mitico" e non geografico.
Il Caucaso, questa vasta regione montuosa che occupa lo spazio compreso tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, è una delle aree culturalmente più antiche e complesse del mondo ed occupa un posto di rilievo nell’immaginario europeo, di derivazione sia biblica che classica.
Si pensi all’avventura degli Argonauti in cerca del Vello d’Oro, in Colchide, o ancora al titano Prometeo, incatenato su un’alta vetta del Caucaso per aver osato sfidare la collera degli dèi.
Narra una leggenda che Dio, distribuendo a piccole manciate le lingue qua e là sulla terra, inciampò nel Caucaso e ne rovesciò un bel mucchio. Gli arabi chiamavano il Caucaso la Montagna delle Lingue. Plinio era stupito: “Ce n'erano oltre trecento!”. “Basta accendere una pipa e puoi attraversare centinaia di mondi diversi”, dicevano i viaggiatori russi del Caucaso.
Ma il Caucaso è anche il luogo in cui, dice la Bibbia, si fermò l’Arca di Noè. Ciò conferma che il Caucaso è sacro nelle antiche tradizioni perché è il luogo dove è rinata l'Umanità dopo la catastrofe del Diluvio, e dove ha mosso i primi passi verso la civilizzazione (o la ricivilizzazione?) grazie al fuoco donatole da Prometeo. Quando l’Arca si arenò, apparve l’arcobaleno e Noè mandò una colomba per verificare se effettivamente il diluvio fosse finito e ci fosse terra ferma attorno. La colomba tornò con un ramoscello d’olivo nel becco. Allora Noè con i suoi figli scese dall’arca: cominciò a diffondersi la sua stirpe di cui tutti facciamo parte. TUTTI FIGLI DI NOÉ, a partenza da quel Caucaso, centro del mondo, limite geografico e mistico fra il Nord e il Sud e fra l'Europa (Ovest) e l'Asia (Est).
Ed è proprio in questo angolo di terra si sono trovati improvvisamente sbalzati i volontari di MIC, incominciando ad avere confidenza con realtà sconosciute: Ossezia del Nord ed Inguscezia soprattutto, ma anche, seppur in maniera indiretta, con repubbliche note solo agli analisti politici e agli storici, quali la Cabardino Balkaria, il Daghestan, l’Adigezia, la Kharachajevo Cherkessia, il territorio di Krasnodar, oltre, ovviamente, alla più tragicamente nota Cecenia.
I primi due anni di intervento, partendo dalla tragedia di Beslan, sono stati dedicati per creare le basi per un graduale radicamento ed accreditamento dell’associazione nella realtà del Caucaso del nord. Due sono stati le azioni più importanti: l’accoglienza, per due estati consecutive, di oltre 100 ragazzi (ostaggi e non) dell’ex scuola N° 1 di Beslan ed il convegno della primavera 2006 di Carmagnola (To) “Beslan e Caucaso: segnali per una pace possibile” con la partecipazione dei rappresentanti di tre etnie coinvolte in conflitti interni: osseta di religione cristiana, inguscia e cecena di religione musulmana.
Queste azioni hanno permesso a MIC di inserirsi con concretezza nella realtà locale e di allacciare diversi rapporti con le realtà istituzionali, associative e della società civile nella prospettiva e nella speranza di dare progettualità alle future azioni. Dal Ministero per le nazionalità dell’Ossezia del nord a Memorial di Nazran, da EAWARN al Comitato delle madri di Beslan, dai campi profughi ceceni ed ingusci all’amministrazione del distretto di Prigoridni, da personalità ingusce alle autorità di Beslan, dai ragazzi e giornalisti di Grozny agli studenti di Vladikavkaz: una rete di conoscenze e condivisioni per dare via alla lucida utopia di Mondo in cammino.
Con molta cautela e senza pregiudizi è iniziata l’azione di “peace maker” di MIC: un’azione che ha scelto di adottare le strategie del ”confidence building” nel percorso verso la riconciliazione interetnica ed interreligiosa.. In definitiva MIC ritiene di improntare la propria azione sui seguenti principi:
- neutralità
- extraterritorialità
- interposizione non violenta
- negoziazione
Parallelamente a questo costante radicamento nella realtà locale, MIC si è sempre più convinta, fino a farne una scelta inalienabile, del valore provocatorio, dirompente ed ostinato del confronto che non esclude nessuna delle parti coinvolte e che porta i semi per la nascita di una “democrazia dal basso” e per l’affermarsi di una giustizia “culturale” e “strutturale” (piccole progettualità a livello amministrativo, scolastico, di microeconomia), di una legalità senza le quali non è possibile immaginare un Caucaso pacificato.
Ma vi è un ulteriore valore aggiunto che è la riflessione che dovrebbe portare tutti alla consapevolezza di far parte della stessa Europa, di quell’Europa in cui sempre più i singoli destini regionali diventano comuni ed in cui le scelte politiche, l’economia e la cultura determinano un futuro di reciproca dipendenza ed in cui le ferite della Cecenia, del distretto di Prigorodni, di Beslan insistono su tutta la comunità europea e non devono essere la semplice rappresentazione di un corpo estraneo che si vorrebbe, con ipocrisia o indifferenza, enucleare. Pertanto la condivisione degli stessi destini vuol dire anche cercare e poter essere fautori di reali e comuni cambiamenti.
Questo è il percorso che MIC ha cercato di concretizzare nel “Progetto Kavkas” (www.progettokavkas.it) e che, insieme ad una consapevolezza e conoscenza maggiore, ha dato vita, per il 2007, ad un modulo progettuale intitolato “Tutti figli di Noè”.
Questa progettualità contempla azioni che, per la prima volta, dopo gli eventi di Beslan, prevedono, cercando di superare i rancori e le accuse reciproche, la collaborazione di tre etnie (osseta, inguscia e cecena).
Esse sono:
- la nascita di un giornale interetnico. Il 7 dicembre u.s., dopo due mesi di preparativi, MIC ha promosso un incontro a Vladikavkaz (Ossezia del Nord) fra giovani rappresentanti le tre etnie in conflitto. Era presente una trentina di persone, fra cui oltre 20 ragazzi di ambo i sessi, di età compresa fra i 17 e i 20 anni (fra essi 7 provenienti da Grozny). La riunione è stata unica nel suo genere ed ha acquisito un notevole valore culturale e pratico perché è stata la prima dopo ed in relazione ai tragici eventi di Beslan ed alle accuse reciproche seguite. Alla fine dell’incontro è stato deciso di dare vita e di finanziare (a partenza dai primi mesi del 2007) la nascita di un giornale interetnico che vedrà gli stessi ragazzi in veste di giornalisti e redattori;
- la realizzazione del convegno”Donne ferite, donne di pace” nella prossima primavera a Vercelli. Il convegno rappresenta il primo tentativo a livello europeo di dare spazio contemporaneamente al dolore delle mamme di diversa etnia e religione che hanno perso i propri figli in seguito alle atrocità dei conflitti o in seguito ad azioni terroristiche verificatesi nel Caucaso Settentrionale. Il convegno vuole essere un momento di consapevolezza, di denuncia dell’assurdità della guerra a partenza da identiche situazioni di dolore e compassione; momento forte, ma anche di prospettiva con i piccoli passi (di cui lo stesso convegno ne è espressione) verso costanti e convinte azioni sul percorso della pacificazione e convivenza interetnica ed interreligiosa. È previsto l’invito di una delegazione di madri rappresentanti tutte le parti interessate nei conflitti (donne ossete, ingusce, cecene e russe) come segno del passato e del presente, più una coppia di ragazze di diversa etnia ed impegnate nella realizzazione del giornale interetnico, come segno di un altro presente e di un possibile ed auspicabile futuro. Un convegno “al femminile”, come sono femminili la guerra e la pace e come sono altresì femminili (per la stessa ragione e per la forza che è nelle donne) la morte e la vita, ma ancor di più la speranza e la lotta per un futuro migliore;
- l’accoglienza interetnica, nella prossima estate, di ragazzi osseti cristiani ed ingusci musulmani provenienti dal distretto del Prigorodni. Il Prigorodni è una zona contesa a cavallo fra l’Ossezia del Nord e l’Inguscezia in cui convivono, separati in casa e con quotidiane rappresaglie le due etnie, osseta ed inguscia (gli osseti accusano gli ingusci di esser gli esecutori della strage di Beslan; gli ingusci accusano gli osseti di essersi impadroniti dei loro territori e denunciano la “scomparsa” di molti di loro dopo Beslan). L’accoglienza interetnica rappresenta la prima esperienza mondiale del genere ed è, pertanto, connotata da un alto valore simbolico ed innovativo.
Azioni basilari, ma anche propedeutiche ad altre già ipotizzate e fissate oltre il limite temporale del 2007, ad incominciare dall’ambizioso e fortemente simbolico progetto della costruzione della “Fabbrica della pace” a Beslan. La fabbrica della pace verrà ideata come un luogo d’incontro fra i giovani delle diverse etnie allo scopo di elaborare progetti (giornali interetnici, performance culturali ed artistiche, ecc), momenti di socializzazione (convivialità, attività di svago), di scambio di opinioni, di tavoli del confronto. Ma non solo. Altre azioni sono ipotizzate e sono in fase di valutazione, quali il sostegno di piccole attività artigianali in Cecenia, scambi universitari, borse di studio, microprogetti in ambito scolastico, sostegno alla nascita di associazioni di volontariato in Cecenia ed Inguscezia a favore delle fasce di popolazione più povere e dei campi profughi, corsi di formazione professionale (Idroaid), un documentario sulle risorse paesaggistiche e turistiche del Caucaso (esigenza sentita molto dai ragazzi ceceni che ritengono che la propria terra non sia quella “brutta”della guerra, ma anche e soprattutto quella “bella” delle loro montagne, delle loro tradizioni, quella abitata dai Nokhci, come si definiscono gli stessi ceceni, cioè dai diretti discendenti di Noè, in ceceno Nokh. Ceceno è il termine attribuito dai russi derivato dal villaggio Cecen-Aul. Una ricerca, quindi, anche delle proprie radici, come pure richiesto dai ragazzi ingusci che, a loro volta, si definiscono Galgaj. Anche il termine inguscio è stato attribuito dai russi, di derivazione dal villaggio di Angusht).
Le iniziative per sostenere le tre importanti azioni del progetto “Tutti figli di Noè” (giornale ed accoglienza interetnico, convegno) per il 2007 sono due:
- l’iniziativa “Il Caucaso in provincia di…” promossa, in collaborazione con MIC, dal presidente del consiglio provinciale di Vercelli (città che ha in programma un gemellaggio con la provincia di Pravoberezny dove si trova Beslan) e presentata alle 108 province italiane chiedendo loro di valutare le possibilità di intervento diretto o di sostegno o collaborazione;
- l’iniziativa FOODforMIR (MIR è una parola russa con una doppia valenza: pace e mondo, parole fra loro intimamente legate). Si tratta di un appello a tutti gli operatori del settore alimentare per contribuire con aste e vendite finalizzate dei propri prodotti al sostegno delle azioni di pace nel Caucaso del nord: un invito ed un impegno a trasformare le proprie competenze, qualità, professionalità e prodotti in risorse a “nutrimento” di una pace effettiva a partenza dalla necessità inderogabile ed improcrastinabile dell’avvio immediato di percorsi di pacificazione interetnica ed interreligiosa.
In questo complesso sistema in cui idealità ed operatività si devono coniugare con serietà e rigore, vi è, però, anche la consapevolezza da parte di MIC che le azioni proposte sono, nel contempo, fascinose e portatrici, con la loro primogenitura, di una inevitabile, ma consapevole quota di rischio. Ogni iniziativa dovrà, infatti, inserirsi in un quadro di riferimento rivolto a tutte le tre etnie individuate ovvero collegarsi ad una visione prospettica (sia in termini “mentali” che “operativi”) in cui esse abbiano pari dignità ed attenzione. Se così non fosse le azioni di MIC potrebbero diventare progressivamente un ulteriore pretesto locale per alimentare (anche se non volute) micro-conflittualità e divisioni in un contesto regionale intriso di sospetto e di pregiudizio reciproco. In definitiva il valore “positivo” della neutralità (ovvero la caratteristica umana e politica che permette a MIC di essere testimone, sentinella e attore attivo nel nord Caucaso) sarebbe percepito come valore “negativo” fino ad assumere i contorni di un vero e proprio “schieramento” a favore dell’una o dell’altra parte. In pratica è fondamentale ricordare che un principio ispiratore del “confidence building”, ovvero la negoziazione, è, anche, uno “strumento di lavoro” per MIC per spiegare, con delicatezza, pazienza, rispetto e onestà ed anche con la dovuta fermezza e rigore, il motivo delle proprie scelte, anche quelle percepite con più difficoltà. A ciò non bisogna derogare: lo impongono il fine della campagna di MIC e la stessa situazione “culturale” ed oggettiva del Nord Caucaso.
Anche i meccanismi intimamente legati alle azioni di sensibilizzazione e denuncia (vedi il convegno “Donne ferite, donne di pace”) non sono scevri a prese (anche dovute) di posizione che possono, nello specifico, configurarsi come “schieramenti” di parte. D’altra parte, invece, la “mission” di MIC è rafforzare le dinamiche, gli sforzi, le azioni, l’attenzione e la delicatezza degli interventi e delle scelte verso le strategie del “Confidence building”. Ad una prima e non approfondita lettura pare inevitabile un’antitesi fra la denuncia e la “mission” di MIC. Non è così. Diverse sono le modalità di denuncia: quelle esercitate dai movimenti a favore dell’autodeterminazione dei popoli; quelle delle associazioni per il rispetto dei diritti civili e umani; quelle di chi denuncia le brutalità dei conflitti e così via. E vi è anche la “denuncia” di MIC, che non può prescindere dalle proprie competenze e specificità di organizzazione di volontariato che ha scelto di lavorare con gli strumenti del “confidence building”: una denuncia “indiretta”, ma non meno efficace; una denuncia “sul posto” e non “a distanza”; una denuncia oggettivamente e contestualmente trasformata in azione verso il cambiamento dalle strategie di “confidenza” messe in atto. Un modo diverso di fare denuncia con l’ausilio dello strumento della “neutralità”: una neutralità che non è cecità, ma saper “vedere” gli interessi ed i diritti di tutti, a partenza da una irrinunciabile e costantemente ripetuta parola d’ordine: “la cessazione di ogni conflitto” e l’avvio di tutti quei percorsi possibili (ognuno con le proprie prerogative) che facilitino, a vari livelli, tavoli permanenti di confronto e negoziazione. Le prerogative di MIC sono quelle descritte e potranno essere maggiormente valorizzate con la capacità del confronto e della condivisione con altre associazioni e attori (istituzionali e non). Ogni soggetto, sinergicamente, saprà e potrà apportare, nel rispetto reciproco, il proprio contributo e potrà avvalersi delle altrui competenze per quegli aspetti che non rientrano, o che, per motivi tattici, temporali o di opportunità progettuale, non possono rientrare o non possono essere giocati, nel proprio raggio o ambito d’azione.
Questa, nel complesso, la sfida di MIC: un progetto ambizioso come è ambiziosa l’utopia, ma concreto e reale come il bisogno di pace nel mondo. Ognuno a partenza dalle proprie competenze: quelle di MIC proiettate in un angolo di Europa non ancora pacificato e che può, nel bene o nel male, determinarne il comune destino. Un destino che sempre più impone la necessità di esserne protagonisti per cambiamenti o sviluppi fondati sulla pace, sulla solidarietà e sull’etica del futuro da consegnare alle prossime generazioni.
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