Intervento del rappresentante della Comunità di Sant'Egidio
Penthotal, curaro, potassium. Ti addormento, ti paralizzo, ti congelo. Muori senza dolore. Senza dolore? Anche la ghigliottina, doveva “umanizzare” la morte. Ma la morte pulita non esiste. John Stevens della Corte Suprema degli Stati Uniti dice che ammazzare così “cani e gatti è vietato”. In Florida ci sono voluti 30 minuti per fare morire l’ultimo condannato. Nel 2001 avevano già rinunciato alla sedia elettrica perché uno era bruciato. Un anno fa lo stesso, in California, per Clarence Hill, 76 anni. Se questo è il meglio che il mondo ha saputo inventare per la morte “pulita”, c’è qualcosa di malato. E da fermare subito.
E’ tempo per una grande iniziativa mondiale per una moratoria universale. Lo chiediamo ai governi e a tutti voi qui oggi impegnati.
Una moratoria universale delle esecuzioni va introdotta al più presto. Verso l’abolizione totale. La Comunità di Sant’Egidio, con altri, ha avviato da tempo una campagna che ha raccolto finora 5 milioni di firme a un Appello per una Moratoria Universale, subito. Lo avete visto anche in una breve immagine del filmato che abbiamo appena visto. E’ uno schieramento morale mondiale unitario, che per la prima volta unisce personalità laiche e religiose di tutte le grandi culture e religioni mondiali, dal musulmano Abdurrahman Wahid, leader della pià grande organizzazione islamica del mondo, a Michail Gorbaciov, dal Dalai Lama a vescovi, cardinali, gran rabbini e milioni di uomini e donne, in paesi abolizionisti e non.
Una moratoria universale è un obiettivo raggiungibile, un primo passo verso l’abolizione. E’ una grande offerta, un ponte con il mondo arabo islamico, è una chance per i paesi democratici che cercano una via d’uscita e sono alle prese con le contraddizioni di un sistema giudiziario che non può essere perfetto, mai. Accanto a questa battaglia, il lavoro per la ratifica del Protocol 2 da parte del più grande numero di paesi possibile aprirà la strada all’abolizione definitiva in altre parti del pianeta.
E’ il senso dell’iniziativa italiana, sostenuta da Francia e Germania, che speriamo incontrerà il sostegno convinto dei paesi dell’Unione Europea: primo passo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il 2007, anche se non ce ne siamo accorti, è un anno storico. E’ l’anno in cui più di metà della popolazione del mondo ha cominciato a vivere nelle città. Nasce da questa intuizione l’iniziativa mondiale delle Città per la Vita, le Città contro la Pena di Morte. Dal 2002, il 30 novembre, data anniversario della prima abolizione della pena capitale da parte di uno stato, il Granducato di Toscana, nel 1786, da Roma, dalla Toscana, ogni città che aderisce trasforma il “logo” della propria città, il monumento principale, in un grande testimone vivente contro la pena di morte. Intorno ad esso, il 30 novembre e nei giorni contigui, assemblee, incontri pubblici, spettacoli, concerti, campagne, coinvolgono istituzioni, cittadini, coinvolgono anche la zona “grigia” di chi è incerto sul da farsi. In soli 4 anni, l’abbiamo visto, da poche città siamo oggi a 600 città del mondo e saranno 1000 nel 2007. Possiamo farlo con il vostro aiuto, perché in ogni città l’iniziativa è promossa dalla comunità di sant’Egidio assieme a tutte le associazioni che si mobilitano.
Ha tre grandi funzioni:
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sostenere in una grande iniziativa mondiale gli sforzi delle iniziative locali anche di associazioni per i diritti umani che non hanno un network internazionale;
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creare una grande mobilitazione di istituzioni locali e opinione pubblica, con impatto mediatico;
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creare dall’interno dei singoli paesi, dalla società civile, anche in paesi mantenitori, l’apertura culturale, istituzionale, politica e le contraddizioni necessarie a una svolta.
E’ per questo che, dopo avere celebrato il 30 novembre la Prima Giornata Mondiale contro la Pena di Morte si è deciso di celebrare la giornata Mondiale il 10 ottobre, dal 2003, e il 30 Novembre un’altra grande iniziativa planetaria che ha per protagonisti i nuovi protagonisti della vita del mondo, i sindaci, le città, i cittadini. E’ la grande proposta che ci sentiamo di fare a tutti voi e che sarà possibile implementare assieme a voi. In questi giorni ci saranno i kit per avviare Città per la Vita in altri luoghi, potete chiederceli, lo vedete allo stand qui al Congresso Mondiale.
Non è una iniziativa isolata. E’ accanto alla corrispondenza e alla difesa legale dei condannati a morte (oltre 4000 finora con la Comunità di Sant’Egidio). E’ con il lavoro per una Moratoria universale. E’ assieme al lavoro che facciamo direttamente o con Amnesty International o con la World Coalition e altri, nelle carceri, con i governi africani e asiatici. Perché la pena di morte è più stanca di come era.
La pena di morte è una scorciatoia militare per questioni sociali che non si sanno affrontare. E parla sempre ai bassi istinti dell’uomo. Fondarne il rifiuto o la necessità sui sondaggi di opinione pubblica è in linea con una storia di pogrom e linciaggi, abbassa il ruolo dei parlamenti e affonda leadership, umanesimo e democrazie a populismo plebiscitario.
Si dice di combattere la morte ma in realtà la si legittima al livello più alto, quello dello stato. Cresce così una cultura di morte.
Non possiamo accettare che i diritti umani dipendano dalla geografia. Diritti umani, non diritti geografici. Non è solo che se si nasce in Asia è più facile essere giustiziati che in altri continenti. Ma avviene all’interno degli stessi paesi. Lo sappiamo, negli stessi USA metà delle esecuzioni è concentrata in Texas e metà di queste nella sola contea di Harris. C’è una dose di tortura mentale che è ineliminabile perché si muore mentalmente dieci, cento, mille volte.
La schiavitù e la tortura sono oggi ritenute barbare. Abbiamo un nuovo diritto umano da regalare al mondo per questo Terzo Millennio, “non c’è giustizia senza vita”, mai più la pena di morte.
L’Europa è il primo continente al mondo senza la pena di morte. C’è chi dice che è perché è un continente secolarizzato, disperato, che non crede a una vita oltre la vita. E’ un’osservazione che non ha senso, se si pensa che oltre il 90 per cento delle esecuzioni mondiali avviene in Cina. E’ il continente che ha sperimentato troppa morte sulla sua terra, due guerre mondiali, la Shoah, e che si è ripensato faticosamente senza guerra offensiva e senza pena di morte. Cultura laica e radici ebraico-cristiane si sono incontrati in una sintesi che conosce la riabilitazione come dimensione fondamentale della giustizia.
A chi dice: si, ma di fronte ai crimini contro l’umanità la pena di morte ci vuole, noi rispondiamo: “è per non essere come loro che la pena di morte va abolita, sempre, per non diventare come loro”.
Per vincere questa battaglia occorre creare un grande fronte mondiale oltre i confini europei. La sfida diplomatica e culturale dei prossimi mesi, Italia e Francia per prime, deve avere per obiettivo una risoluzione presentata come co-sponsor non solo dall’UE, ma da paesi-chiave del Sud del mondo: tra gli altri, Sudafrica, Mozambico, Senegal, Liberia, Brasile, Messico, Cile, Cambogia, Filippine e forse non è impossibile pensare anche a Tunisia, Marocco, Algeria, Taiwan, abolizionisti “de facto”. Per evitare che un sentimento anti-europeo e anti-colonialista possa essere utilizzato in maniera furba e paralizzante. E che l’Europa arrivi divisa, in nome di un comprensibile massimalismo dei diritti umani che può essere strumentalizzato dai pigri amanti del patibolo. Lavoriamo insieme. Ce la faremo. Non ci interessa vincere noi. Ci interessa far vincere il mondo.
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