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Dopo la marcia di Vicenza

Ci vuole una politica di pace

Due posizioni nel paziente popolo della pace.
Il governo deve ascoltarlo.
I partiti sdanno interpretarlo?
Prodi, ripensaci.
20 febbraio 2007

Ci vuole una politica di pace
oppure
Il paziente popolo della pace
Oppure
Pace e governo: matrimonio “bianco”

La marcia per la pace, ieri a Vicenza, del paziente popolo della pace, è stata pacifica e grande. Delusione dei media e dell’opinione passiva, allineata sulla guerra globale.
È difficile un calcolo numerico. Se manifestano 7 persone, per gli organizzatori sono 14, per la questura 3 e 1/2 . Eravamo tanti, tanti, rappresentativi.
Ma i media sono riusciti a vedere, su migliaia, uno striscione ambiguo sulle BR: tv e fotografi tutti attorno, come mosche sull … Io portavo un cartello «Politica sempre, armi mai».
La questione della base di guerra Usa Dal Molin è locale, ambientale, urbanistica, ma assai di più è di politica generale e fondamentale.
Ho colto due posizioni: A) Non si può restare con questo governo traditore del suo stesso programma sulla politica di pace. Sulla pace non si media. Alla guerra globale non si può collaborare. La sinistra deve uscire dal governo, per interpretare il popolo della pace, altrimenti amano le poltrone più della pace. Questo popolo non ha rappresentanza politica nelle istituzioni. Tra etica e politica, deve prevalere l’etica. Fai quel che devi, avvenga quel che può.
B) È vera e grande la delusione e l’indignazione. Ma ogni altro governo oggi possibile farebbe peggio, su guerra e pace. Per responsabilità, bisogna nel contempo sostenere il governo e combattere questa politica internazionale suddita degli Usa. Bisogna litigare in casa, senza divorziare, se siamo responsabili. Gandhi ha insegnato che «se la disobbedienza civile non è accompagnata da un programma costruttivo (…) è soltanto una bravata ed è peggio che inutile» (Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, p. CXVI). Se la protesta non ha oggi vie operative migliori, deve continuare a pensare, discutere, proporre, sopportando i limiti della realtà, l’angustia del meno peggio.
Mi sembra che a Vicenza abbia avuto maggiore appoggio la prima posizione. Io mi trovo piuttosto sulla posizione B, non senza tormento interiore. Ho parlato con un deputato presente, e ho letto nei suoi occhi la stessa mia fatica. Dobbiamo dare il primato al principio giusto, ma assumerci la responsabilità delle conseguenze e graduare nel cammino possibile l’applicazione del principio. Portavo anche un secondo cartello: «Governo sì, basi Usa no»: ho riscosso dissensi e anche consensi. Se avessi potuto alzarne un terzo, vi avrei scritto: «Prodi ripensaci». Anche lui, D’Alema e Parisi, devono avere maggiore senso di responsabilità verso la pace offesa dalla prepotenza di Bush (prevaricatore sullo stesso popolo Usa) ancor più che dal terrorismo.
Applauditissimi i cittadini statunitensi presenti nel corteo. Portavano la bandiera Usa col simbolo della pace al posto delle stelle. La più bella insegna, sostenuta in alto da una fila di palloncini, era fatta dalla bandiera italiana congiunta a quella statunitense dalla scritta «No Dal Molin». Cartelli in italiano e in inglese: «I politici italiani sono impazziti. Nancy Pelosi aiutaci tu».
Ora, il punto è se i partiti di sinistra sapranno interpretare, con una chiara politica di pace, questo popolo della pace, amareggiato, ma capace di forte autocontrollo; tentato dalla disperazione, ma deciso a vivere e parlare; non rassegnato, ma attento a sorvegliare la classe politica, senza identificarsi né appartenere ad essa più che al principio della pace, essenza irrinunciabile della politica. Questo popolo esiste e ha una volontà veramente giusta. Esso conosce e comprende le strettoie dell’agire, ma guarda alla meta chiara. Sa pazientare, ma vuole vedere passi avanti, ben orientati, anche se piccoli, e non passi indietro. Questo popolo indovina bene le pressioni, i ricatti, le minacce delle potenze occulte, che agiscono coi mezzi economici e militari, vede in trasparenza i segreti di stato, ma è pronto a sostenere politici vicini e meno vicini in una politica più coraggiosa verso la giustizia e la pace. A questo popolo non basta la non-guerra diretta, se appoggiamo la guerra e l’economia dei prepotenti.
Anche questo popolo ha ancora molto da imparare: la pace non è la quiete, ma è l’alternativa alla violenza nei conflitti umani, cioè la nonviolenza attiva e positiva, lo sviluppo delle forze umane costruttive, morali, la rinuncia al privilegio dissipativo nel modo di vivere quotidiano, la capacità di pagare per restituire giustizia alle vittime senza fare altre vittime.
Sullo sfondo c’è anche l’Afghanistan, che è vera guerra, non giustificabile con la vendetta Usa per l’11 settembre, che l’Onu non può legalmente avallare. O l’Italia trasforma decisamente tutta la nostra presenza in azione civile, di cooperazione solidale con quel popolo maroriato, oppure dobbiamo venire via. Non è pensabile collaborare alla nuova offensiva bellica promessa da un Bush sempre più cieco per la primavera.
Che fare ora? C’è il ricatto governativo: «Sinistra della pace, resta con noi, altrimenti ritorna Berlusconi! ». La sinistra di pace può rispondere: «Non possiamo subire questo ricatto, a spese della pace! Noi diciamo: cambiate politica internazionale, rispettate il programma votato, se no togliamo partecipazione e appoggio, e cadete. Volete un grande centro? Preferite i molti peggiori ricatti di Casini all’esigenza della pace?».
Ma che fare, in Parlamento, nelle prossime decisioni? Un’ipotesi: votare solo la fiducia al governo, non la politica militare attuale. Avvertire che la politica militare non diventi oggetto del voto di fiducia. È la linea del sostenere il governo ma combattere questa politica internazionale suddita degli Usa. È un matrimonio “bianco”: si lavora insieme ma non si fa insieme la guerra. La sinistra di pace non si ritira dal governo, ma dalla politica di guerra che contraddice il programma dell’Unione. Se questa politica passasse con un’altra maggioranza, sarebbe il governo che vuole consegnare il paese ai peggiori. Se avete bisogno della sinistra per governare, o voi democratici del prossimo PD, avete bisogno di una vera politica di pace, secondo il programma concordato e votato.
O il governo non capisce, oppure vuole servire il violento dominio Usa, oppure deve subire qualche pesante ricatto. Se è così, dimostri coraggio e lo difenderemo per la indipendente sovrana causa della pace.
Essere radicali vuol dire soltanto vedere le cose alla radice: l’egoismo e il dominio dell’Occidente prepotente hanno generato o svegliato il terrorismo; egoismo e dominio presumono di difendersi con la guerra, che procura altro profitto, bruciando vite umane e cuori dei popoli; ma la guerra è copia e moltiplicazione del terrorismo, errore folle oltre che crimine sommo. A dominio, terrorismo e guerra, bisogna opporre una grande politica di incontro e di giustizia internazionale. Chiunque imboccherà davvero questa strada avrà con sé il paziente popolo della pace.
Enrico Peyretti, 18 febbraio 2007

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