Querela iustitiae
Lamento della giustizia obbligata all’ingiustizia
17 gennaio 2007
Ed ora, signori e amici, plaudiamo al nostro concittadino forte e coraggioso, che ha fermato quel delinquente e salvato due vite innocenti!
A – Ahimé, ho dovuto ucciderlo. Non volevo assolutamente.
B – Hai fatto il tuo dovere!
A – No! Il dovere eleva verso il bene. Io ho dovuto fare ciò che è male.
B – Lo hai fatto per difendere quella madre e il suo bambino!
A - È vero. Non ho potuto fare diversamente. I tentativi di fermarlo in altro modo erano falliti.
B – Vedi, dunque. Uccidendolo hai fermato il male che stava per fare, anzi per continuare, perché aveva già violentato e ucciso. Hai fatto bene!
A – No! Il male mi ha preso nelle sue spire. Mi ha costretto ad imitarlo.
B – Ma hai impedito un nuovo male!
A – Già, mediante un male. Ho impedito, o ho ripetuto? Ho salvato una vittima facendo una vittima. Il bene che si serve del male si contraddice e si allontana da noi.
B – Ma insomma! Il violento è diventato vittima per colpa sua! Voleva fare ancora vittime. Il male si punisce da sé. La tua azione, ingiusta in astratto, nel concreto è stata giusta. Dovevi fermarlo, e non hai potuto fare diversamente.
A – Lo dici tu stesso: non ho potuto. Dovevo impedire l’uccidere, ma non dovevo uccidere, come non doveva lui. Che io abbia fatto ciò che è giusto per quella madre e il suo bimbo, è vero, ma non posso davvero rallegrarmi, perché quella giustizia è intrisa di ingiustizia. Non ho potuto fare un’azione davvero giusta. Per stare con gli uni ho dovuto mettermi contro l’altro. Questo è un fallimento della mia umanità, dell’umanità di noi tutti. Non potete rallegrarvi.
B – Su, non sottilizzare! Nulla è perfetto in questo mondo. Non impedire la nostra gioia per la salvezza di due vite, per un atto che sentiamo coraggioso e giusto.
A – Questa giustizia è impotente, monca, schiava, sporca. E allora è veramente giustizia? Quando i violenti si prendono il potere sugli altri, e fanno leggi violente che obbligano tutti, chiamano giustizia il loro dominio, e “giustiziare” il loro uccidere. Io, volendo difendere il bene e liberare le vittime, ho fatto qualcosa di simile a loro. Non accetto il vostro plauso. Questa mia giustizia è troppo impotente, inquinata, troppo poco giusta per non vergognarmi più che rallegrarmi. Sento più la sconfitta che l’affermazione della giustizia. A voi basta un male impedito, a me non basta. Il bene non è stato affermato bene. Io sono come chi è annegato per salvare uno che annega. L’ho salvato, ma sono annegato. A voi basta, a me non basta.
B – Non pensare a te! Pensa a chi hai salvato!
A – Sì, hai ragione. Ma ora anch’io sono da salvare. E anche voi soddisfatti siete da salvare. E anche quello sciagurato che io ho ucciso. Ma se io avverto che questa giustizia è troppo manchevole, è solo perché abbiamo tutti dentro, insopprimibile, l’idea della giustizia vera e piena. Non premiate la mia miserabile giustizia, e soprattutto non cessate di pensare e cercare quella vera.
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