Le prime bombe sui civili? Italiane
Durango, villaggio industriale nel cuore dei Paesi baschi, non è famoso come la vicina Guernika, ma ha un primato: ha inaugurato (in Europa) l'era dei bombardamenti aerei come arma di distruzione di massa. La differenza con Guernika l'ha fatta il miglior pittore del XX secolo, che ha elevato la mattanza compiuta dalla Legione Condor a simbolo universale della barbarie, mentre Durango è passata dalla tragedia al dimenticatoio, anche perché così conveniva a Franco. Eppure è proprio qui che per la prima volta in Europa andò in scena un bombardamento «pianificato e realizzato sistematicamente», come spiega Jon Irazabal, autore del libro Durango, 31 marzo 1937. Settanta anni fa, alle 7.20 di un mercoledì di Pasqua, quattro bombardieri e nove caccia iniziano quattro giorni d'inferno. Bombe da 500 libbre iniziano a piovere dal cielo; in pochi giorni tonnellate di esplosivo vengono riversate su questa cittadina di poco meno di 9.000 abitanti: 366 moriranno, centinaia saranno i feriti. Gli aerei sono quelli dell'Aviazione Legionaria italiana inviata dal Duce, sotto le forti pressioni del genero Galeazzo Ciano, a sostegno di Franco.
«Ho deciso di concludere rapidamente la guerra nel Nord» - si legge in un volantino indirizzato alla popolazione civile nel marzo 1937 dal generale Emilio Mola, direttore del levantamiento fascista. «Se la resa non sarà immediata distruggerò Vizcaya (la provincia di Bilbao, ndr) fin dalle fondamenta, iniziando dalle industrie di guerra. Dispongo dei mezzi per farlo. Generale Mola». Mola concentra 40.000 combattenti per la campagna nei Paesi baschi, ma gli aerei li mettono gli italiani e la famigerata Legione Condor, agli ordini di Hugo Sperrle e di Wolfram Von Richthofen, cugino del mitico Barone Rosso. «Non è irragionevole alcuna misura in grado di distruggere il morale del nemico. Ed è preferibile farlo rapidamente», diceva Von Richthofen a Mola. La prima a pagare questa dottrina è Durango.
«Durango è una città molto religiosa ed ordinata» - scrive il giornalista di guerra George Lowter Steer (l'unico a dare eco della mattanza di Guernika dalle pagine di Time) nel libro L'albero di Guernika. Uno studio sul campo della guerra moderna. Alle 7.20 c'erano moltissime persone ad ascoltare la messa, delle quali quasi la metà era segretamente e sentimentalmente dal lato dei bombardieri». Quella mattina del 31 marzo 1937 José Manuel Azurmendi aveva nove anni e stava andando a messa nella chiesa dei Gesuiti. Ma era in ritardo e non volendo disturbare il prete decise di sedersi nell'ultimo banco, giusto sotto il coro. L'unica parte della chiesa che resistette alle bombe. «Mi ha salvato la cappella del coro - ricorda - ho visto un enorme bagliore e poi una palla di fuoco rosso sul tetto e un enorme boato». Sotto le macerie rimasero in 40, della cinquantina di fedeli che stava seguendo la messa. Steer racconta che la bomba esplose proprio mentre padre Rafael Billalabeitia stava offrendo ai fedeli il corpo di Cristo: «In quel solenne istante il tetto cadde sul prete, i fedeli e il Santissimo Sacramento, seppellendo tutti».
Marisun Bengoetxea giocava con un'amica sotto il portico della chiesa di Santa Maria. Scattano gli allarmi, Marisun corre verso il rifugio che si trova sotto il negozio di famiglia, dall'altro lato della strada; il tempo di arrivare sulla porta, di girarsi e la sua amica era già morta. Quando si ritira l'aviazione, Steer racconta di «127 corpi estratti dalle macerie, senza includere le membra sparpagliate. Molti erano in stato irriconoscibile ed tra loro c'era una grande quantità di donne e bambini».
Gli aerei italiani arrivarono la mattina del 31 marzo con il sole alle spalle, calarono sul paese seguendo l'asse est-ovest segnato sul terreno dalla linea che unisce le due chiese e lì riversarono il loro carico di bombe. L'operazione fu ripetuta per quattro giorni, fino al 4 aprile 1937, giorno di Pasqua. E dopo che i bombardieri avevano finito il loro lavoro passavano i caccia. Alberto Barreña aveva 13 anni, scappò con la famiglia nei campi che attorniavano la città e da un boschetto osservò come «mitragliavano la gente che scappava: volavano così bassi che potevi vederli in faccia».
Gli aerei calati su Durango difendevano Dios y la Patria e scelsero come obiettivi chiese e fedeli in piena Settimana Santa. E, come successe tre settimane dopo a Guernika, usarono le vittime anche da morte. Da Radio Sevilla la voce del Generale Queipo de Llanos scandiva la versione ufficiale: «I nostri aerei bombardarono obiettivi militari a Durango e dopo i comunisti ed i socialisti rinchiusero i preti e le suore nelle chiese, assassinandoli senza pietà e bruciando le chiese». C'è voluta la caduta di Franco per disseppellire la versione reale, coperta da quella dei vincitori.
Dopo sette decadi, la mattanza è stata ricordata quest'anno con una serie di atti e con la presentazione di due documentari - Durango: il bombardamento dimenticato, che ricostruisce i fatti, e Il 31 marzo nel ricordo, che racconta invece come i giovani vedono quei giorni. «Prima di Durango ci furono altri attacchi aerei - spiega Arazabal - ma non con questo grado di pianificazione. L'obiettivo di quella tattica era causare l'affossamento del fronte provocando il panico nella retroguardia». Pur con tutto ciò, conclude Arazabal, «Durango non ha avuto l'impatto internazionale di Guernika». E non è il rammarico di chi si sente meno fortunato, è la paura di rimanere dimenticati dalla storia. Soprattutto in queste epoche di revisionismi vari.
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