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Recensione

Dio bifronte: amore e violenza, di Giuseppe Barbaglio

Nella Bibbia, dall'immagine doppia di Dio, giustiziere e misericordioso, all'immagine tutta amore e perdono.
15 aprile 2007
Fonte: Pubblicato su Koinonia, giornale telematico, Pistoia, n. 5, maggio 2007, koinoni@tin.it

Libri
Dio bifronte: amore e violenza
Giuseppe Barbaglio, Amore e violenza. Il Dio bifronte, Pazzini editore, Villa Verucchio (RN) 2006, pp. 73, € 8,00

«Il nostro compito è toglierla [l’immagine di Dio] dalle mani dei lettori violenti
e metterla in quelle di lettori nonviolenti: l'obiettivo è il riscatto della Bibbia»
(Giuseppe Barbaglio, nel forum «Il cammino di liberazione delle fedi del Mediterraneo», Bari, dicembre 2005).

L’Autore di questo libretto, teologo e biblista laico profondo e fecondo, morto troppo presto il 28 marzo scorso, ci lascia qui una sintesi del tema già affrontato ampiamente in Dio violento? (Cittadella, 1991). Anche nella Bibbia, come in generale nelle religioni, l’immagine di Dio è duplice: affascinante e tremendo. Il 90% delle scritture ebraiche e cristiane riflette questa ambivalenza, archetipo religioso riscontrabile persino in Gesù (pp. 19, 56), ma lo straordinario è il 10% di immagini chiare di un Dio di amore.
La contraddizione non è (come credeva Marcione) tra scritture ebraiche e scritture cristiane, ma interna ad entrambe, anche se nelle seconde «cade il Dio bifronte per lasciar posto unicamente al Dio donatore di vita», di perdono e amore. Il Dio violento, punitivo, vendicativo, è frutto di proiezione della violenza umana in Dio, come supremo difensore e giustiziere. Così si vede Dio esercitare e comandare la violenza messa in atto dal popolo eletto contro i nemici. Si pensa che Dio debba togliere di mezzo i malvagi per realizzare un mondo di pace. Eppure, fin dall’inizio Dio vieta di uccidere, anche di uccidere Caino. L’umanità corrotta Dio la stermina nel diluvio, ma ne conserva il seme, e poi si pente dello sterminio. Il popolo che ha eletto lo libera dalla schiavitù sterminando gli egiziani (ma un midrash narra che Dio piange per loro), e gli assegna la terra promessa togliendola ad altri popoli. La contraddizione è intrinseca, con diverse accentuazioni nelle diverse tradizioni interne alla Bibbia.
Le sofferenze umane sono anzitutto viste come castigo divino per le nostre colpe. Ma questo schema è contestato nella Bibbia stessa, in Giobbe. Dio minaccia, ma perdona, e questo scandalizza Giona. I salmi invocano spesso la vendetta di Dio sui nostri persecutori, sapendo che sarà più giusta della nostra. L’esilio in Babilonia è il grande castigo di Dio sul popolo infedele, ma è anche l’occasione spirituale per comprendere meglio la sua presenza interiore e la sua misericordia.
«Al Dio che ama i buoni e punisce i cattivi subentra il Dio che ama tutti, perché tutti sono ugualmente sue creature» (p. 47). Il Battista annuncia ancora castighi, ma Gesù porta soprattutto un vangelo di misericordia, anche per i peccatori, per gli smarriti, purchè non vogliano ipocritamente apparire giusti. Anche in Gesù ritorna il giudizio di salvezza o condanna, ma spicca in primo piano il Padre «che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Matteo 5,45): immagine di Dio che scandalizza i religiosi. La morte di Gesù non è il castigo del Padre sull’umanità nel sacrificio del suo figlio migliore, fatto vittima della sua ira, ma il fedele e coraggioso offrirsi del giusto nello scontro col potere cieco e malvagio, per farsi scudo e riparo di tutti dal male, per purificare i cuori col suo cuore puro, donato fino all’estremo, perché non si rimedi più al male con vittime espiatorie, ma con l’amore che perdona e vivifica. Il Padre conferma la morte per amore del Figlio col dargli la vita risorta. Questa dinamica chiarificatrice si svolge negli altri scritti neotestamentari.
Il compianto Autore conclude: «L’immagine di Dio sta tra noi e lui: ecco perché è così importante che noi coltiviamo un’immagine non violenta di Dio, un’immagine che ci permetta di avvicinarci a lui e di diventare a nostra volta meno violenti. A sua volta, la nostra vita meno violenta ci aiuta ad approfondire l’immagine del Dio non violento: c’è un reciproco influsso tra l’immagine che ci facciamo di Dio e l’immagine che abbiamo di noi stessi e che guida la nostra esistenza e la nostra azione. L’immagine di un Dio non violento ci aiuta a camminare verso la nonviolenza: è questo il contributo che la teologia del Dio biblico offre a una cultura della pace» (p. 72).
Enrico Peyretti, sabato 7 aprile 2007

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