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L’azione di confidence building dell’organizzazione per la solidarietà Mondo in Cammino

Donne del Caucaso fra guerra e pace

“Donne ferite, donne di pace: il coraggio e la dignità delle donne nel Caucaso postsovietico”: a Vercelli per la prima volta a livello mondiale sei donne di tre etnie – cecena, inguscia e osseta - e di due generazioni si riuniscono in un convegno a parlarci di guerra e di pace, di dolore e di speranza
11 maggio 2007
Elena Murdaca (Comitato per la Pace nel Caucaso)

Donne Ferite, Donne di Pace Abbiamo scelto di invitare le donne perché solo le donne sanno avere le reazioni giuste davanti alle grandi realtà della vita dichiara Fabrizio Finocchi, Presidente del Consiglio Provinciale di Vercelli, che ha preso parte alle missioni di “Mondo in Cammino” in Caucaso, aprendo il Convegno.

“Mondo in Cammino” è un’organizzazione per la solidarietà specializzata nell’accoglienza, che ha deciso di mettere a servizio del Caucaso del Nord l’esperienza acquisita ospitando in Italia i bambini provenienti dall’area di Chernobyl. La tragedia di Beslan, attirando l’attenzione sulla regione, ha svelato un mondo ferito e sanguinante, dove odio e dolore secolari si impastano con la speranza e la voglia di pace. Racconta il Presidente Massimo Bonfatti: Quello che è successo a Beslan ci ha colpito tantissimo, abbiamo immediatamente voluto fare qualcosa. Siamo andati sul posto a prendere contatti per far venire i bambini osseti in Italia e così abbiamo scoperto del conflitto osseto-inguscio del 1992: tutti ce ne parlavano dando per scontato che noi sapessimo di cosa si trattava, noi non sapevamo nemmeno che ci fosse stato. Nascono così le azioni riconciliatorie di “Mondo in Cammino” sostenute sia dalle autorità locali sia da quelle della Provincia di Vercelli. Per il 2007 il programma prevede la realizzazione di un giornale interetnico, l’accoglienza interetnica di minori osseti cristiani e ingusci musulmani a Vercelli e Limbiate nell’estate ventura e il convegno “Donne ferite, donne di pace”.

Difficile per un “profano” cogliere l’unicità e la portata di quest’impegno: il Caucaso è un microcosmo in cui lingue e religioni si incrociano, e la diversità etnica non sempre è considerata come ricchezza, ma tante, troppe volte, vuol dire diffidenza, se non ostilità. Una realtà complessa dove le vicende storiche secolari di lotte fra i popoli influenzano anche i comportamenti individuali delle generazioni più giovani.

Ed ora queste donne sono a Vercelli, per la prima volta con la possibilità di parlare insieme. Tre madri, una inguscia, una cecena e un’osseta, accomunate dallo sguardo basso, per nascondere l’emozione, e dal dolore per la perdita dei figli ammazzati durante i conflitti che hanno dilaniato la regione. Tre ragazze, sempre una inguscia, una cecena e un’osseta, che fanno parte della redazione che darà alla luce a breve il primo numero del primo giornale interetnico del Caucaso del Nord (non esistono fonti di informazione congiunte gestite da diverse etnie) “Tutti figli di Noè”: una ricerca delle radici comuni per credere che quello che unisce è più forte di quello che divide.

Le madri: cercando i cadaveri e la verità

Inizia a parlare Aminat Musaeva, cecena. Foulard sul capo, gonna lunga, volto precocemente invecchiato per aver dovuto seppellire due figli. Aminat ha avuto un’ascoltatrice illustre in Anna Politkovskaja: Ha raccontato al mondo il mio dolore, e adesso non c’è più. E adesso le tocca raccontare al mondo il suo dolore da sola, e lo fa con dignità e semplicità grandi. Il 9 agosto 2000 i figli di Aminat vengono portati via durante una začistka (operazione di rastrellamento), e non se ne ha più notizia. Comincia così per lei lo strazio alla ricerca degli scomparsi. A poco più di un mese dalla sparizione, riesce a comprare l’informazione preziosa, il luogo dove può andare a raccattare i cadaveri dei suoi ragazzi. Ma non finisce qui: per vie traverse rintraccia una cassetta con le riprese dei figli appena uccisi. E li riconosce. Ogni madre sa riconoscere i propri figli, dice Aminat, raccontando il suo shock. Ci fa vedere la cassetta: la qualità del video è pessima, e l’audio non si sente: un cronista indica un cadavere e racconta che si tratta di un famigerato terrorista a cui i federali davano la caccia da tempo e che finalmente è stato preso. Protesta la madre: Non è vero, non è l’uomo che dicono loro, quello è mio figlio, Ali Musaev. Ha raccolto altro materiale e con l’aiuto di Memorial è riuscita a presentare ricorso presso la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, e conclude: non ho più niente. Vivo aspettando la sentenza di Strasburgo. Non so che cosa farò dopo

La guerra ha un volto terribile: sputa fuoco e si mangia le persone.: così esordisce Inveta Eloeva, pediatra osseta,, che la guerra la conosce bene. Nel 1992 Ossezia del Nord e Inguscezia si sono scontrate in un breve ma violentissimo conflitto per il possesso del Prigorodij, distretto conteso da decenni (nel 1944, sotto Stalin, gli ingusci furono deportati insieme ad altre popolazioni; dopo la riabilitazione e il ritorno, sotto Chruščev, trovarono le loro case abitate dagli osseti che nel frattempo erano stati trasferiti a ripopolare quelle zone). Inveta ha sempre curato i bambini senza fare distinzione fra etnie. Una precisazione che ai nostri occhi può sembrare superflua, ma il bisogno di sottolinearlo ci ricorda come da quelle parti non sia affatto cosa scontata. Durante il conflitto, i bambini ingusci le venivano affidati, perché, in quanto osseta, avrebbe potuto proteggerli meglio. Un giorno, mentre si preoccupava di portare in salvo dei bambini, un cecchino spara sul gruppo – una donna sola con dei bambini - e colpisce proprio suo figlio. Inveta lo vede cadere a terra, colpito, ucciso. Ma ha gli altri bambini da salvare… e così lascia il figlio appena morto, e continua la marcia per portare in salvo gli altri. Solo dopo torna indietro a recuperare il corpo, e per tutta la notte lo trascina verso casa. Una volta messo al sicuro il figlio morto, riparte per assicurarsi che gli altri siano sani e salvi. Gli Eloev sono riusciti a seppellire il ragazzo solo dopo una settimana.

“Dall’altra parte del fronte”, Madina Mjakieva, inguscia, dal Prigorodnij: Da 15 anni non posso più tornare a casa mia. Come Inveta, anche lei ha perso un figlio, studente universitario, ucciso un paio di giorni dopo lo scoppio del conflitto. Come Inveta, il problema della sepoltura: abbiamo potuto seppellirlo solo dopo qualche giorno. Ci hanno preso in ostaggio per quattro giorni, poi ci hanno rilasciato in un altro distretto. Lì c’erano dei russi che ci hanno aiutato ad arrivare fino a Nazran’.

Tre mamme che hanno perso tutto, ma che vengono a parlarci di futuro e di speranza, che ci augurano: Che Dio vi dia la pace! Sapendo che valore ha l’augurio che ci fanno.

Le “figlie”: lavorare per la pace

Tre giovani figlie del Caucaso che lavorano nella redazione di “Tutti figli di Noè” ci raccontano altri aspetti della guerra. Mariža Selmursaeva, cecena, 20 anni: Io non ho più i genitori: me li ha presi la guerra. La sua storia, che ci fa rabbrividire, in Cecenia è “normale”: parenti scomparsi, ricerca, “colpo di fortuna”: il padre di Mariža ritrova i cadaveri del fratello e della sua famiglia. Per il dolore muore, a un anno di distanza la moglie lo segue. Mariža rimane sola. Ma è determinata e ha le idee chiare: ho 20 anni. Non mi interessa se la Cecenia sarà indipendente o no. Mi interessa la pace. Studio psicologia. Voglio lavorare con i bambini, da noi ci sono tanti invalidi e malati mentali come conseguenza della guerra e io voglio aiutare il mio Paese.

La voce e il volto dell’Ossezia del Nord: Ljudmila Dudieva, giornalista televisiva professionista, 22 anni, lavora per il canale “Alania”, ed è una delle giornaliste più attive, tanto che nonostante la giovane età ha già ricevuto la sua parte di minacce. I temi principali a cui è interessata l’opinione pubblica nordosseta sono Beslan, l’Inguscezia e la Cecenia. Vogliamo sapere cosa è successo a Beslan, e le risposte dateci finora non sono convincenti. E’ molto netta Liudmila, nell’esprimere la sua opinione. Parla di Internet come punto di incontro e discussione: E’ l’unico luogo dove si può parlare e discutere, ma in questi forum, di solito, si passa facilmente dall’incontro allo scontro, i confronti diventano aggressivi. Il problema di convivenza fra le diverse etnie è così serio? Pare di sì: ho un amico carissimo, ma solo da poco ho scoperto che sua madre è inguscia. Lui lo nasconde perché ha paura che se si viene a sapere, l’atteggiamento degli altri nei suoi confronti cambierebbe, racconta, e auspica: Vorrei che ”Tutti figli di Noè” contribuisse a restaurare la pace fra i popoli del Caucaso.

Ultima a parlare, Ljubov’ Tumgoeva, 34 anni, membro del comitato di garanzia “senior” del giornale. Bella, bionda, elegante, trucco impeccabile, è difficile immaginarla nella veste di corrispondente di guerra: A 19 anni mi sono ritrovata come corrispondente a raccogliere le testimonianze del conflitto inguscio-osseto. Per le strade ho visto i bambini ceceni che si buttavano per terra coprendosi le orecchie con le mani al rumore degli elicotteri. Chi sopravvive a un conflitto ha bisogno di riabilitazione psicologica. Per questo ringrazio Massimo Bonfatti per il suo progetto di accoglienza interetnica.. Conosciamo bene le cause del conflitto, ma non vogliamo parlarne in questo momento, questo è il momento per guardare avanti, al futuro, non vogliamo guardare adesso indietro.

Ljubov’ si riallaccia così al principio di neutralità, pilastro dell’azione di “Mondo in Cammino” è la condizione indispensabile per poter essere presenti e operare sul luogo. Ma a che serve tutto questo? La pace dipende dai governi e dai vertici della politica, diranno i sostenitori della Realpolitik. E’ innegabile. Ma la pace non è solo assenza di guerra, è anche una disposizione dell’animo e una condizione interiore di apertura all’altro. E su questo, i governi possono poco. I comuni mortali, invece, tantissimo.

Note: Per maggiori informazioni:
Organizzazione di volontariato per la solidarietà “Mondo in Cammino”
http://www.progettokavkas.it
http://www.mondoincammino.org
http://www.progettohumus.it
e-mail: bonfatti@progettohumus.it

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