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In Africa glogalizzazione significa nuova schiavitù

Donne le vittime principali, necessaria una reale uguaglianza di genere
15 giugno 2007
Roselynn Musa (FEMNET)
Fonte: da Persona a Persona 7/07 (www.pangeaonlus.org) - 01 luglio 2007
Donne congolesi In Africa, la globalizzazione si inserisce in una storia di schiavitù, colonialismo e sfruttamento: in molti riconoscono che l’economia globale ha sempre avuto un impatto sulla storia del continente. Ma la globalizzazione influisce anche su una storia di ineguaglianze di genere, gettando una lunga ombra sul presente e sul futuro delle donne africane. Questa combinazione limita seriamente la vita e le speranze della metà femminile della popolazione, tenendo retrocessi gli abitanti di un continente intero.
La globalizzazione si manifesta attraverso le persone, le organizzazioni e le istituzioni, che insieme ne determinano la direzione. L’eguaglianza e i diritti umani fondamentali fanno parte degli strumenti di base della comunità internazionale di oggi e sono centrali nella nostra visione di una società democratica. Ma le belle parole all’interno di questi documenti sono in contrasto con la realtà quotidiana di milioni di donne.
Dell’1.3 miliardi di persone che oggi vivono in povertà, il 70% sono donne; la maggior parte dei rifugiati in tutto il mondo sono donne; l’analfabetismo femminile rimane più elevato di quello maschile. Alle frontiere, donne e bambine vengono trattate come merce sul mercato illegale della prostituzione e dell’industria pornografica. Milioni di ragazze subiscono mutilazioni dei genitali, mentre le donne in tutti i Paesi sono regolarmente vittime di violenze domestiche.
Ogni nuova occasione di sviluppo che si presenta – come tecnologie di comunicazione, trasporti più comodi e veloci, diminuzione delle barriere culturali e diffusione di ideali democratici – ha il suo lato negativo. Al centro della liberazione del capitale e del mercato, dell’integrazione culturale, dei cambiamenti dei modelli di consumo e dell’accrescere dei flussi di lavoro, d’informazione e di tecnologia c’è la crescita del mercato. Fin quando le negoziazioni commerciali continueranno a considerare tutti i Paesi come uguali, la globalizzazione rimarrà un veicolo di ineguaglianza.
Gli Accordi di Partenariato Economico (APE) ne sono soltanto un esempio. Negli accordi sul libero mercato tra Unione Europea e Paesi dell’Africa, dei Carabi e del Pacifico (ACP), c’è l’intento di creare nuove opportunità per questi Paesi. Ma le negoziazioni ignorano il fatto che i contadini al nord sono ampiamente sovvenzionati dai propri governi e che sono molto più avanzati tecnologicamente. Sono in grado di produrre a prezzi inferiori rispetto a quelli dei Paesi dell’ACP, tuttavia sono liberi di competere sullo stesso mercato con i contadini dei Paesi in via di sviluppo, che devono far fronte a una miriade di sfide. Questa situazione è esacerbata dai debiti, dalla contrazione degli aggiustamenti economici, dalla difficoltà di attrarre investimenti privati, dalla crescente inaccessibilità ai servizi sociali e dalle difficoltà derivanti dalla perdita di lavoro, dagli stipendi bassi e dai prezzi elevati dei prodotti di base. […]
La liberalizzazione in se stessa rinforza le ineguaglianze, nonostante la convinzione che essa ha potenzialmente la capacità, nel tempo, di ridurre il divario di genere e altre forme di disparità. La maggior parte delle ineguaglianze di genere derivate dalla globalizzazione sono legate alla produzione economica. Il lavoro manuale è sempre più femminile, in mancanza di sviluppo di genere ed empowerment economico delle donne. Il divario salariale tra uomini e donne persiste – di fatto, attraverso la liberalizzazione degli scambi le donne hanno visto i loro salari diminuire e la mole di lavoro raddoppiare, segno evidente che esse sono considerate come salariate di seconda categoria e che il loro reddito integra quello familiare, piuttosto che sostenerlo. […]
Le economie convertono la produzione in prodotti industriali a spese delle donne. Questo fenomeno è stato rilevato nelle Zone di Libero Mercato dove, benché abbiano dimostrato di fornire grandi opportunità alle donne, i guadagni sono solo a breve termine. Assicurano alle donne uno standard di vita modesto, ma non possono garantire un vero percorso verso il successo. Nel frattempo è terribile osservare che la liberalizzazione commerciale ha già richiesto il suo tributo alla qualità delle vita delle donne, in termini di traffico delle stesse. Con il declino dell’agricoltura, una nuova ondata migratoria è diventata un nuovo stile di vita.
Gli effetti destabilizzanti per l’Africa sono profondi. Elevata disoccupazione, crisi economica nell’industria e nell’agricoltura e la diminuzione del mercato interno in favore dell’importazione di beni stranieri, hanno portato a una massiccia emigrazione verso l’Occidente. L’Africa sta vivendo una fuga di cervelli, soprattutto di professionisti quali infermieri e insegnanti, verso il ricco nord. E con l’aumento del turismo è arrivato il commercio sessuale ed è aumentata la minaccia di infezione da HIV/AIDS, un pericolo particolare per le donne. […]
Il continente africano rimane generalmente ai margini dell’economia mondiale. Se l’Africa deve riuscire a centrare la maggior parte degli obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs) entro il 2015, allora una reale democratizzazione deve essere inclusa nelle decisioni politiche a tutti i livelli e bisogna accertarsi che la voce delle donne e dei poveri sia considerata negli accordi commerciali.
Tutte le prove disponibili indicano che non ci può essere pace, sicurezza o sviluppo economico sostenibile nelle società che negano i Diritti dell’Uomo, compreso i Diritti delle Donne. Spero che questo concetto venga capito dai governi, particolarmente alla luce del fatto che le società con l’uguaglianza di genere hanno avuto lo sviluppo più veloce. Questo collegamento indica che l’uguaglianza di genere è cruciale per lo sviluppo e che la continua emarginazione delle donne deve essere sovvertita.
Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus

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