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India, il dopo-tsunami e la voglia di riscattarsi

Dalla tragedia un nuovo ruolo per le donne del Tamil Nadu
15 giugno 2007
Sabina Ruffo (in Tamil Nadu con AUSER Nazionale)
Fonte: da Persona a Persona 7/07 (www.pangeaonlus.org)
- 01 luglio 2007
Donna indiana alla macchian da cucire Tamil Nadu, sud est dell’India. La regione che nel subcontinente indiano ha subito maggiormente la tragedia dello tsunami.
A due anni di distanza, la distruzione, che l’onda violenta ha seminato lungo le coste colpendo villaggi di pescatori e di agricoltori, è ancora evidente. Le macerie sono lì, dove il mare le ha lasciate e la miseria è tanta, ovunque.
L’intervento delle ONG locali, supportate da quelle straniere, è stato massiccio: progetti di nuove case, nuove scuole, corsi di recupero scolastico dei minori, scuole professionali, corsi di autoaiuto.
I primi risultati di tanto impegno sono già visibili.
La strategia vincente è stata quella di organizzare le attività per gruppi di genere: i ragazzi, i bambini, i pescatori, ma soprattutto le donne. E, in particolare, di coinvolgere come operatori molte giovani donne locali, diventate, dopo la tragedia, punto di riferimento per intere comunità. Nei loro occhi la soddifazione per aver reagito e per aver aiutato altri a farlo.
Vasanthi era una sarta. Lavorava a casa e conduceva una vita normale, dedicandosi a sé e alla propria famiglia. “Lo tsunami ha cambiato la mia vita – racconta commossa, ma fiera – permettendomi di essere utile agli altri e di contribuire a migliorare la loro esistenza. Mi sono resa disponibile da subito a dare una mano, e mai avrei pensato che proprio il mio lavoro sarebbe stata la ricchezza che potevo dividere con gli altri. Sono diventata insegnante di sartoria.”.
Con orgoglio e tanta pazienza insegna ogni giorno il proprio mestiere ad altre donne, in un piccolo edificio dal tetto di paglia, con quattro macchine da cucire, utilizzate al mattino per insegnare e nel pomeriggio a disposizione delle alunne, che già iniziano con qualche piccolo e semplice lavoro a rendersi indipendenti. Sì, perché è proprio questa la grande conquista di Vasanthi e delle sue allieve. Permettere a molte donne di avere un lavoro, di guadagnare dei soldi, di poter comprare cibo e medicinali, di poter acquistare libri e divise per la scuola. Di investire su se stesse per riscattarsi da una società maschilista, che vuole la donna a casa a cucinare e a cresce i bambini, senza la possibilità di esprimere opinioni politiche, né di intervenire nelle decisioni della comunità. Ma non più dopo il dicembre 2006.
Da allora moltissimo è cambiato per le popolazioni femminili. Oggi con l’aiuto degli operatori, si sono organizzate in gruppi, diventati gli interlocutori ufficiali nei rapporti con la comunità e con le istituzioni. Gestiscono un risparmio comune, depositato in banca. Fanno delle piccole scelte imprenditoriali: un negozio mobile, un telefono pubblico. Si confrontano e parlano. Hanno tanta voglia di parlare e di raccontare. Di raccontare quanto la loro vita sia cambiata.
Nithya fa l’animatrice in un villaggio a circa 15 chilometri da casa sua. Ed è stata costretta a trasferirsi, perché non è agevole percorrere tutti i giorni in bicicletta il tragitto, specialmente la sera, racconta, quando fa buio e non c’è illuminazione. Così di fatto ha cambiato comunità. E ne è diventata il riferimento. “Ho organizzato - racconta - il comitato che gestisce il villaggio e tiene i rapporti con le associazioni e le istituzioni, spiegando i compiti e le finalità. Abbiamo nominato i responsabili. Purtroppo le persone in grado di leggere e scrivere non sono molte e mi sono trovata a insegnare anche l’indispensabile. A cominciare dalla firma che dovevano apporre ai moduli per le domande di sussidio al governo. Ora si rivolgono a me per tutto. In particolare il gruppo delle donne, che vuole affrontare non solo temi riguardanti le possibili attività di micro-imprenditorialità o il risparmio collettivo, ma anche dei problemi concreti di tutti i giorni, quali la violenza in famiglia, l’alcoolismo e il gioco d’azzardo, assai diffusi tra la popolazione maschile”.
“Prima – continua Shoba un’operatrice di ventidue anni – non si vedevano donne ferme a parlare tra loro. Era un evento straordinairo, che destava molta preoccupazione tra gli uomini e veniva in ogni modo osteggiato. Ora il gruppo delle donne è parte integrante della comunità, interviene nelle decisioni da prendere esprimendo un proprio parere.
Le stesse componenti ci raccontano che da quando si riuniscono e gesticono insieme le loro piccole attività – la vendita del pesce, la produzione dell’olio di cocco – sono più organizzate anche nella propria vita domestica e riescono a gestire meglio il denaro, riuscendo spesso a risparmiarne una parte.”
“Essere una donna – conclude Shoba – ha reso più semplice il mio lavoro di operatrice. Mi ha permesso di entrare nelle case senza sospetti, di parlare con le donne e di convincerle a lasciarsi coinvolgere. Tutte noi sappiamo che una donna più forte e serena rende la sua famiglia più stabile e unita, e ne stiamo vedendo i frutti: sono sempre più i bambini, e le bambine, che recuperano gli anni scolastici perduti, e le comunità sono ora più diponibili a recepire nuovi stimoli per continuare a crescere”.
Le guardi con occhio diverso, ora, queste piccole donne tenaci. Hanno dimostrato a sé e agli altri che una tragedia può essere l’occasione per una vita migliore. Ancora una volta puntare su “donne che aiutano le donne ad aiutarsi”, si è dimostrata una strategia vincente.
Molto sta cambiando, oggi, nel Tamil Nadu…. da quando tante donne nei loro sarii colorati hanno varcato centinaia di porte!
Note: da Persona a Persona - Fondazione Pangea Onlus

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