L'Italia con l’Africa: una scommessa da vincere insieme
Questa consapevolezza ci ha spinto alla costituzione di un coordinamento nazionale di Enti locali che operano nel continente africano e ci ha fatto scegliere di mettere l'Africa al centro della prossima assemblea dell'Onu dei Popoli e della prossima marcia Perugina-Assisi. Cinquanta saranno gli ospiti africani che abbiamo deciso di ospitare per l'intera settimana della pace.
Perché tutto questo non sia folclore, è necessario darsi delle prospettive operative. Una scelta maturata in un percorso, non estemporanea, frutto di un lungo lavoro. Una vera e propria agenda politica sull'Africa è la prospettiva nella quale vogliamo muoverci. Un'agenda nella quale sono già state scritte delle tappe e sulla quale dobbiamo scrivere quelle future. Questo il senso del lavoro che stiamo approntando.
Lavorare insieme
Enti locali e organizzazioni di diverso tipo possono insieme costruire percorsi, progetti e attività. In un’ipotesi di lavoro coordinato, si aumenta la possibilità di fare massa critica anche per ottenere, quando sarà necessario, un peso specifico maggiore, una maggiore attenzione. Ed è già necessario. Un primo lavoro che questa attività di rete può iniziare a fare è una raccolta, una sorta di catalogazione delle molteplici attività che le diverse associazioni, organizzazioni e enti locali hanno attive oggi: i paesi africani dove sono coinvolti; le zone diverse degli stati dove sono attivi progetti e presenze, ma anche una catalogazione sulle diverse modalità di realizzare iniziative di aiuto, cooperazione, solidarietà e attività di diverso tipo. Molto importante è il censimento di tutte le presenze e le modalità di presenza nei luoghi di conflitto, che per noi associazioni e enti locali per la pace hanno una valenza particolare.
L'idea di pace che abbiamo in mente ha un respiro più ampio e complesso della semplice assenza o conclusione delle guerre, dei conflitti, di un conflitto. Ammesso e senz'altro non concesso, che sia lecito usare il termine semplice per definire la conclusione di un conflitto. L'idea di pace che abbiamo in mente necessariamente invade la sfera della giustizia, del diritto alla persona e per la persona. Proprio per questo motivo nasce la scelta di porre al centro della marcia Perugia-Assisi e dell'intera settimana della pace il tema dei Diritti Umani per tutti, perché la pace si costruisce, direi meglio, si realizza, si concretizza nel rispetto dei diritti umani per tutti che, coniugato nell'operativo, diventa: diritti umani per ciascuno, non un tutti generico, ma un tutti che è formato da persone singole. Da qui prende fondamento il nostro operare per la pace anche quando facciamo lotta alla miseria o ci impegnamo per il rispetto dell'ambiente. Quando combattiamo le malattie, quando facciamo campagne contro un'economia che aliena l'uomo, quando facciamo tutte le nostre attività di progetto.
Impegno contro i conflitti
Chiarito questo come percorso per la pace, tuttavia il tema centrale per il nostro impegno deve continuare a essere il tema dei conflitti: l'impegno nei conflitti africani. Questi devono essere visti, studiati, conosciuti a partire dalle ragioni che li sottendono, dalle cause reali che molto spesso differiscono da quelle ufficiali, da quelle raccontante dai mass media, da quelle che ci vogliono far credere. Questo ci porta inevitabilmente a stringere rapporti con le società civili che vivono quei conflitti e ad entrare nella conoscenza più approfondita delle guerre, delle motivazioni, delle ragioni storiche, politiche e spesso economiche che stanno all'origine dei conflitti. Il modo più speciale per operare nelle zone di conflitto è mettersi a fianco della gente che lo subisce. Stare con la gente e qui dare sostegno e forza a quei pezzi di società civili che si organizzano non per armarsi contro qualcuno, ma per disarmare la guerra. Dare aiuto vero alle esperienze di non violenza, ai processi tentati di democratizzazione che solo dalla gente possono nascere. Portare anche in evidenza e far conoscere quelle esperienze positive che vengono vissute, dare ragione della speranza, del possibile affinché diventi stimolo e occasione per lo svilupparsi di processi nuovi. Non esiste democrazia esportata, ma processi di partecipazione popolare. Rispetto a questo dobbiamo dire chiaramente che non possono svilupparsi processi di partecipazione delle persone nella miseria e nella povertà. Non si sviluppano percorsi di democratizzazione quando non ci sono le minime condizioni di vita. Dove c'è fame, miseria e disperazione la prima preoccupazione della gente non può che essere reperire cibo e sostentamento. Talvolta a discapito della dignità. Dobbiamo allora dire a chiare lettere che il primo passo per i processi di democrazia è far sì che vi siano le condizioni affinché questo possa avvenire, e le condizioni sono il superamento dello stato di necessità primaria. In questo senso anche il superamento dell'ignoranza diventa preliminare allo sviluppo della partecipazione popolare alla democrazia. Il tema dell'istruzione e dell'educazione viene inserito fra le necessità primarie preliminari a questi processi.
Il tema dei conflitti poi, oltre all'importante aspetto delle cause deve tener presente i lunghi processi di pacificazione. Quando ufficialmente finisce una guerra, non nasce automaticamente la pace, ma si mettono in atto quei delicatissimi processi che sono fatti di ricostruzione, riconciliazione, smilitarizzazione. Queste delicatissime fasi, se lasciate a se stesse e non aiutate, possono diventare facilmente occasione di rinascita di nuovi conflitti. In questo l'aiuto internazionale ha un'importanza determinante. I percorsi di riconciliazione sono delicatissimi e per questo necessitano di un aiuto forte, continuo e attento. Poi c'è anche l'aspetto della smilitarizzazione, della bonifica legata al post conflitto: in questo senso pensiamo solo a quale enorme mole di lavoro richiede l'opera di sminamento. La diffusione delle mine nei territori rimane uno dei drammi maggiori del nostro tempo.
Economia e guerre
Il secondo tema centrale, molto spesso strettamente connesso anche alle cause dei conflitti, è quello dell'economia. L'Africa non è povera, diceva al Forum Sociale Mondiale un economista keniota, sono gli africani che sono poveri, perché sono tenuti poveri, perché sono altri a utilizzare, a sfruttare la grande ricchezza del paese. Dopo la colonizzazione e la post colonizzazione, che aveva generato una neocolonizzazione fatta di subalternità agli stati occidentali ricchi del nord del mondo, viviamo oggi l'epoca della nuova colonizzazione economico finanziaria. In questo dobbiamo vigilare molto anche sul nostro fare cooperazione: che abbia l'obiettivo reale di far nascere e crescere processi di autonomia e non che mantenga legami di dipendenza. Esistono tante esperienze di riscatto dall'Africa sul piano economico, produttivo, e queste devono essere fatte conoscere, aiutate e diffuse. Altra costante da portare avanti è l'attenta e continua vigilanza e denuncia su quanto viene fatto dai nostri paesi nei confronti dell'Africa. I nuovi accordi di partnerariato economico della Comunità Europea (Epa) rischiano di diventare l'ennesima occasione per celare, dietro progetti di aiuto, la creazione di nuovi legami di dipendenza. Anche l'aspetto dei brevetti e delle licenze soffocano quella prospettiva di possibile riscatto africano di cui abbiamo detto. Le risorse dell'Africa sono indispensabili al nostro sviluppo; questo legame, che potrebbe diventare la vera chiave di riscatto, è nei fatti il principale motivo di mantenimento dello status quo. Lo sfruttamento delle risorse ha innanzitutto un’emergenza sul piano umanitario e di creazione dello stato di miseria, perché impedisce una gestione diretta delle proprie ricchezze da parte della massa a vantaggio di pochi.
L’emergenza ambientale
Il tema delle risorse e dello sfruttamento delle materie prime apre anche all’emergenza ambientale. Altro aspetto da non sottovalutare, e sul quale occorre un costante e attento impegno. Per aiutare l'economia africana e per contribuire a contrastare questo sfruttamento, c'è tutta una partita che va giocata qui da noi: è la partita degli stili di vita che ha risvolti sul piano culturale e sul piano pratico. Albino Bizzotto diceva: “Per aiutare l'Africa la cosa più significativa che possiamo fare è cambiare noi, qui, in Italia. Quello che siamo, come viviamo, i nostri stili di vita, quello che possediamo. Qui c'è la chiave per aiutare l'Africa”.
Immigrazione: “la nostra Africa”
L'altro tema di impegno in Italia è il tema dell'immigrazione, che potremmo definire "la nostra Africa". Abbiamo tanto da fare lavorando con gli africani presenti in Italia. Questo tema deve entrare, molto più di quanto non lo sia oggi, nell'agenda di questo nostro impegno per l'Africa e con l'Africa. Gli enti locali hanno su questo aspetto una responsabilità maggiore, poiché chiamati ad amministrare i nostri territori che quotidianamente vivono la presenza dell’immigrazione. Sarebbe ipocrita se facessimo importanti attività di cooperazione decentrata o di solidarietà internazionale in Africa e non fossimo in grado di affrontare le situazioni di emergenza legate all'immigrazione qui, oggi. In questo senso un impegno urgente, preciso e deciso deve essere quello della chiusura dei Centri di permanenza temporanea (Cpt).
In conclusione, con nessuna pretesa di esaustività rispetto agli altri molteplici aspetti non trattati in questa breve relazione, dobbiamo impegnarci per dare voce, immagine, storia alla società civile africana nella sua grande positività. Sono tantissime le storie che devono essere raccontate e portate a conoscenza: per contribuire a rompere quegli stereotipi classici che fin troppo spesso ci vengono presentati dell'Africa o, meglio, delle tantissime Afriche. Come giustamente qualcuno preferiva definire, sono esperienza di tanta ricchezza, di contenuti, di vita, di cultura, di storia, di gente, di persone; e questo far conoscere, impegnarsi per portare alla nostra gente la conoscenza reale di questo mondo deve essere anch'esso iscritto nell'agenda per l'Africa come priorità irrinunciabile. Un ruolo centrale lo rivestono l'informazione, la comunicazione di massa e noi dobbiamo continuare a svolgere quel costante lavoro di stimolo, di sollecitazione e pressione che porti ad accendere un’immagine positiva e più viva dell'Africa.
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