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Prima lettera da Kabul

12 novembre 2003
Paolo Pobbiati

Questa mattina ho finalmente potuto assistere ad una riunione delle donne che beneficeranno del progetto di microcredito della Fondazione Pangea. Quando dico assistere intendo guardare seminascosto in un angolo con la proibizione assoluta di dire anche una parola. Accetto di buon grado questa discriminazione di genere così insolita: sono donne spaventate che vivono la loro condizione con vergogna e paura. Il fatto di trovarsi assieme ad altre donne le fa sentire più forti, sicure e la presenza di un uomo, anche se straniero e comunque parte di questo progetto, rischia di creare difficoltà in questo meccanismo. Così io e Mamhoud, l'autista, ci acquattiamo in un angolo. La riunione si tiene nella sede di una ONG locale; ci accoglie Fatima, una bella ragazza di 18 anni che parla un ottimo inglese, con un piglio ed una decisione fuori dal comune, ma che ho già visto spesso nelle ragazze afghane impegnate in questo genere di organizzazioni. Non posso fare a meno di domandarmi che tipo di futuro possono avere in questo paese, dove comunque le donne sono considerate principalmente in funzione matrimoniale, perché non so quanti afghani ci siano che possano reggere un rapporto con ragazze così emancipate. Difficilmente potranno farsi qui una famiglia e temo siano troppo legate al loro paese e al lavoro, preziosissimo, che stanno facendo qui, per cercare di andare a sistemarsi all’estero. Ci sono una quindicina di donne di varie età; sono vestite molto modestamente e hanno un'aria un po' spaesata. Simona comincia a condurre la riunione; è fondamentale che le donne vivano questa come un'esperienza di gruppo, quindi utilizza una serie di tecniche che le aiutano a condividere la loro condizione e le loro speranze ed aspettative. È importante, per loro non sarà facile gestire questo percorso ed il sostegno delle altre sarà fondamentale. Seguo con attenzione e mi accorgo di quanto, dopo i primi momenti di palese disagio, l’atmosfera si scioglie e si comincia a percepire l’entusiasmo e l’inizio della consapevolezza che il meccanismo nel quale stanno entrando è qualcosa di solido e tangibile e che forse potrà cambiare la storia della loro vita. Mi emoziona molto vedere le loro espressioni di approvazione quando Simona spiega loro che i soldi che restituiranno poco alla volta serviranno a finanziare le attività di altre donne indigenti come loro. Il cerchio si chiude e, dal mio angolino, mi sono entusiasmato anch’io. Seguono poi i colloqui individuali fra Simona e alcune delle donne. Anche qui ho il mio angolino; mi rendo conto di quanto questa mia condizione di estraneità al colloquio sia necessaria. Nessuna delle donne che entrano mi guarda mai in faccia, anche se comunque all’entrata mi avevano comunque salutato cordialmente. Le loro sono storie di ordinario degrado.

La prima ad entrare è Saima, ha 16 anni, è orfana e vive con il fratello di 18 che è disoccupato; ha un’aria da bambina, tanto che avevo pensato fosse la figlia venuta ad accompagnare una delle altre donne, accentuata dalle scarpe che porta, molto più grandi della sua misura. Con il credito vuole comprare l’occorrente per cucinare in casa i bulami, delle specie di ravioloni fritti, che poi il fratello potrebbe vendere al mercato. Si discute se è il caso di estendere la produzione anche ad altri alimenti, ma il punto principale sul quale bisognerà fare un controllo è che il fratello sia d’accordo ad andare poi a venderli. La settimana prossima ci sarà un colloquio anche con lui, per verificare che poi tutto possa funzionare.

La seconda che entra è Gulshan: difficile darle un’età, pare abbastanza anziana, ma forse lo è meno di quanto sembri. È vedova ed ha sei figli, di cui tre piccoli, che mantiene rompendo mandorle per un grossista: oltre ad essere pagata poco o nulla, non riesce ad impedire che i figli più piccoli, che ovviamente hanno sempre fame, le prendano qualche mandorla e così le viene trattenuta una penale su ciascun carico. In più le vengono fatti pagare anche i gusci delle mandorle, che brucia nella stufa per scaldare la casa. Gulshan sa ricamare e con il credito potrà comprare l’occorrente. Prima, però, dovrà fare un giro per i negozi e vedere chi è disposto a comprare i suoi lavori e quanto è disposto a pagarglieli. Alla terza donna io e Mahmoud siamo costretti ad uscire: ha le mani e parte del viso gravemente ustionati e pare sia stato il marito, quindi meglio che non ci siano uomini nella stanza durante il colloquio.

Usciamo nel giardino a chiacchierare; è una bella mattina

Note: http://www.pangeaonlus.org

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