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Il dopo-Wolfowitz

Tra falchi e finte colombe

L’ortodossia liberista della Banca Mondiale non è mai stata scalfita in oltre sessant’anni. E anche le timide aperture dell’era Wolfensohn (“neo liberismo compassionevole”) sono state cancellate dall’ex fedelissimo di Bush. Oggi la struttura di Bretton Woods vive una crisi, da molti giudicata strutturale. Riuscirà il neo presidente Zoellick a risollevarla?
10 settembre 2007
Pasquale De Muro (Docente di Economia dello Sviluppo, Università degli Studi Roma Tre)
Fonte: Nigrizia
Settembre 2007

Robert Zoellick, ex vicesegretario di Stato Usa e rappresentante del commercio, ha iniziato il 1° luglio il suo mandato quinquennale alla presidenza della Banca mondiale. Nominato il 25 giugno all’unanimità dalla stessa istituzione, è andato a sostituire Paul Wolfowitz, che, dopo due anni, si è dimesso dall’incarico per uno scandalo legato all’avanzamento di carriera della sua compagna.

L’avvicendamento al vertice dell’ente di Bretton Woods è l’occasione per Nigrizia per capire quale tipo di politica ha adottato la Banca, in questi anni, nei confronti dei paesi del sud del mondo. Quali i benefici (pochi) introdotti e quali le calamità (molte) procurate.

Da quando fu creata nel 1945, con l’entrata in vigore degli statuti della Conferenza monetaria e finanziaria di Bretton Woods (1944), la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Birs) – poi diventata il Gruppo della Banca mondiale (Bm) – ha cambiato diverse volte i suoi obiettivi, il suo approccio e le sue politiche. Nata essenzialmente per finanziare la ricostruzione delle economie disastrate dalla seconda guerra mondiale e per finanziare grandi progetti d’investimento, la Bm, con la fine del dopoguerra in Europa e dei vecchi regimi coloniali in Asia e in Africa, rivolge la propria attenzione quasi esclusivamente ai cosiddetti “paesi in via di sviluppo”. In questo seconda fase, che dura fino agli anni Settanta, la Bm effettivamente svolge il classico ruolo di “banca di sviluppo”, finanziando essenzialmente progetti d’investimento nei paesi a basso reddito; progetti spesso discutibili per il loro impatto ambientale e/o sociale, ma comunque assolutamente in linea con quelle che erano le teorie e le politiche di sviluppo che tutti i governi nazionali dell’epoca – del Nord o del Sud, filoamericani o filosovietici, allineati o non-allineati – (per)seguivano in quel periodo.

Una seconda svolta, meno geografica e più ideologica, avviene alla fine degli anni Settanta. In un quadro politico ed economico completamente mutato – fine del lungo periodo di crescita e stabilità economica mondiale, tramonto delle politiche post-keynesiane, governi conservatori in Gran Bretagna e Stati Uniti, crisi profonda delle economie in via di sviluppo – la Banca mondiale, assieme al Fondo monetario internazionale (Fmi), avvia la stagione del famigerato aggiustamento strutturale. È in questa fase che il ruolo della Banca muta sostanzialmente. Da istituto finanziario di sviluppo, seppure tradizionale, diventa guardiano di un nuovo ordine economico internazionale. Invece della crescita economica, la Bm persegue, assieme al Fmi, obiettivi di rigore finanziario e di ristrutturazione delle economie del sud del mondo. I paesi che ricevono i prestiti della Banca, più che aiutati, adesso vengono disciplinati. E la nuova disciplina è il neoliberismo: da un lato, riduzione del deficit e del debito pubblico, del deficit commerciale e dell’inflazione; dall’altro, privatizzazione e liberalizzazione del sistema produttivo. È una cura da cavallo per le fragili economie in via di sviluppo, che da allora non si possono proprio più definire tali. Si è parlato di decennio perduto per lo sviluppo.

Le prime crepe

A partire dal 1987 iniziano a sentirsi le prime voci critiche ufficiali sull’aggiustamento, che attraverso studi e ricerche mostrano chiaramente l’arretramento subito dai paesi che hanno adottato queste politiche. La Bm e il Fmi cercano di parare il colpo, sostenendo, da un lato, che è troppo presto (!) per poter esprimere una valutazione e, dall’altro, mettendo in discussione le metodologie di quegli studi. Si tratta, però, di una difesa debole: l’impatto sociale negativo è talmente evidente che pochi anni dopo la Banca e il Fondo sono “costretti” a rivedere il pacchetto di misure e a varare un aggiustamento strutturale versione 2. Il cambiamento, come prevedibile, è assolutamente marginale: si riconosce che qualche effetto negativo ci possa essere stato e si giustappone all’aggiustamento qualche misura di contenimento dei danni. Nei fatti, l’aggiustamento strutturale continua nella stessa forma fino alla metà degli anni Novanta.

Nel 1995 inizia una nuova fase della Bm. Gli Usa, che per consuetudine hanno il controllo della presidenza della Banca, sono governati dal democratico Bill Clinton, il quale indica come presidente James D. Wolfensohn. L’arrivo di Wolfensohn alla Banca crea molti cambiamenti, anche positivi. Il nuovo presidente decide di imprimere una svolta alle politiche dell’istituto, ma soprattutto alla sua immagine ormai deteriorata.

Non è possibile qui presentare tutti i cambiamenti introdotti in questa fase. Quindi, mi limiterò ad alcuni fra i più significativi: 1) lo spostamento dell’enfasi dall’aggiustamento alla lotta alla povertà, che diventa, almeno ufficialmente, l’obiettivo principale della Bm; 2) la nomina a capo economista di Joseph Stiglitz, accademico prestigioso, economista neoclassico ma non ortodosso, liberale ma non liberista; 3) l’avvio dell’iniziativa Hipc (Paesi poveri fortemente indebitati), che mira a ridurre l’indebitamento dei paesi più poveri, che sono in larga maggioranza africani; 4) il varo dei Prsp (Documenti strategici di riduzione della povertà), derivanti dall’Hipc, che servono a ottenere l’assistenza economica dalla Banca e che vanno a sostituire l’aggiustamento strutturale.

Prima di commentare queste novità, è necessario sottolineare un aspetto cruciale che riguarda una serie di contraddizioni e ambiguità nelle relazioni tra Bm e l’esterno, e all’interno della Banca stessa. Esiste, innanzitutto, una differenza sostanziale tra ciò che la Banca presenta all’opinione pubblica (e ai governi) attraverso il suo potente apparato di comunicazione e ciò che essa effettivamente fa nei paesi del Sud. Inoltre, esistono spesso contraddizioni tra i risultati dell’enorme mole di studi svolti dai numerosi e competenti ricercatori (non solo economisti) della Bm e le decisioni prese da(gl)i (ir)responsabili delle politiche (soprattutto di prestito) della Banca per i diversi paesi. Per non parlare, poi, delle contraddizioni tra i diversi settori tematici della Bm. Insomma, invece di pensare alla Bm come a un unico blocco granitico e coerente, è più realistico pensare che abbia molte delle caratteristiche di complessità delle grandi organizzazioni, con l’aggravante di un avere un vertice – totalmente controllato dal governo Usa – non sempre in sintonia con la base.

Quali novità?

Senza tener presente questi elementi di complessità, le innovazioni introdotte da Wolfensohn possono apparire di portata maggiore di quanto effettivamente siano state. Partiamo dai Prsp, avviati alla fine degli anni Novanta. Molti commentatori, anche autorevoli, hanno visto in questi programmi una vera e propria svolta rispetto all’aggiustamento, per almeno tre motivi: (1) l’enfasi sulla riduzione della povertà come obiettivo principale, ma soprattutto il fatto – molto più innovativo– che (2) i Prsp, al contrario dei programmi di aggiustamento strutturale, devono essere redatti dagli stessi paesi beneficiari e non dalla Bm, e che (3) quest’elaborazione deve avvenire, secondo la Banca, attraverso un processo di consultazione della società civile.

A prima vista, sembra davvero una piccola rivoluzione: mettere al timone i paesi beneficiari! Effettivamente, sembra quasi che la Banca abbia finalmente recepito molte delle critiche che fino allora le erano state rivolte, e che abbia deciso di “democratizzare” il processo d’assistenza economica ai paesi del Sud.

Purtroppo, la realtà si è rivelata ben presto molto lontana dalle apparenti buone intenzioni. Innanzitutto, alcune circostanze, come ad esempio la forte similarità dei Prsp di paesi diversi, fanno sospettare che questi documenti siano redatti ufficialmente dai paesi, ma sotto un forte condizionamento morale e materiale della Bm, che, attraverso canali informali, di fatto, ne detta le linee di base. Del resto, è facile immaginare che un paese non possa, in realtà, preparare un Prsp che non piace alla Banca, altrimenti rischia di non ottenere l’assistenza economica necessaria. In secondo luogo, alcuni osservatori, che hanno seguito localmente la preparazione dei Prsp, hanno verificato che il processo di consultazione della società civile, nella maggior parte dei casi, è stato soltanto una formalità, oppure condotto in forme inadeguate e discutibili, a causa di difficoltà oggettive e/o di cattiva volontà da parte dei governi africani. Infine, anche la sbandierata enfasi sulla riduzione della povertà non implicava affatto l’accantonamento delle politiche di aggiustamento: in realtà, oltre ad alcune misure specifiche di lotta alla povertà, i Prsp perseguono comunque politiche di rigore finanziario, liberalizzazione e privatizzazione, in continuità con l’aggiustamento strutturale. La lotta alla povertà è, dunque, giustapposta all’aggiustamento e il modello economico di riferimento sostanzialmente cambia poco: si passa da un neoliberismo puro e duro a un neoliberismo compassionevole.

La delusione

Se passiamo a considerare anche altre innovazioni di Wolfensohn, la delusione aumenta. Prendiamo il caso di Stiglitz, premio Nobel per l’economia. La sua permanenza alla Banca purtroppo dura poco. Due anni e mezzo dopo la sua nomina a capo economista, decide di dimettersi, perché in disaccordo con le politiche della Banca e per l’impossibilità di realizzare i cambiamenti che egli ritiene opportuni. Inoltre, egli accusa apertamente il Fmi, vera roccaforte conservatrice e ortodossa, di dominare le politiche della Bm.

Durante l’era Wolfensohn, quello di Stiglitz non è un caso isolato di autorevole dissenso interno. Nel 2000, uno staff di esperti della Bm stava preparando, come ogni anno, il Rapporto sullo sviluppo del mondo, che ogni volta affronta un tema diverso. Quell’anno il tema del rapporto era la povertà e il capo dello staff di esperti era l’economista Ravi Kanbur, uno dei maggiori esperti mondiali in questo campo. Nel corso dell’elaborazione del rapporto, Kanbur si dimette per insanabili divergenze con la Bm. Le sue critiche, garbate ma dure, alle politiche fino allora perseguite non erano state accettate e le conclusioni principali del rapporto erano state censurate o modificate. Anche Kanbur, dunque, sperimenta direttamente il gap tra la patina innovatrice – rappresentata, in questo caso, dal rapporto sulla povertà – e l’ortodossia dominante nella Bm.

Nel 2005 termina l’era Wolfensohn: un’era caratterizzata da innovazioni, ma più apparenti che sostanziali. Il presidente degli Usa è George W. Bush e, come prevedibile, la nomina del successore di Wolfensohn cade su un suo uomo di fiducia, ovvero Paul Wolfowitz, “falco” repubblicano e fra i principali artefici della guerra in Iraq. Una nomina che a molti ha fatto rimpiangere Wolfensohn. Non è la prima volta che gli Usa insediano alla Bm presidenti con un profilo politico assolutamente opposto a quello che naturalmente ci si aspetterebbe (in precedenza, era stato nominato McNamara, uno degli artefici della guerra in Vietnam). Mentre per noi sviluppo fa rima con pace, evidentemente per il governo statunitense, invece, fa rima con guerra.

È chiaro, sin dall’inizio, che la nomina di Wolfowitz ha l’obiettivo di “normalizzare” la Banca, riportandola all’epoca pre-Wolfensohn e azzerando, quindi, i timidi cambiamenti avvenuti durante il periodo clintoniano. Ma, soprattutto, un altro probabile obiettivo è quello, da sempre auspicato dalla destra repubblicana, di ridimensionare globalmente il ruolo della Bm (e del Fmi), ritenuti inefficienti e ormai superati.

Dopo le forzate dimissioni di Wolfowitz, in seguito allo scandalo per il suo abuso di potere, è difficile fare un vero e proprio bilancio della sua gestione. La cosa più interessante è notare che il suo tema prediletto è stato la lotta alla corruzione nei paesi del Sud, come premessa indispensabile allo sviluppo: un cavallo di battaglia dei neoliberisti. E proprio la corruzione è stata l’accusa che gli ha fatto perdere il posto. Un contrappasso dantesco. Il suo successore è Robert Zoellick, un uomo che viene dall’esperienza (fallimentare) dell’Organizzazione mondiale del commercio. Aspettiamo di vedere in quale direzione andrà adesso la Banca. Ma le premesse non sono incoraggianti.

Note: Governo dell’ente

Il Consiglio dei Governatori è l’organo decisionale più importante della Banca, dove ciascuno dei 186 paesi membri è generalmente rappresentato dal ministro dell’economia. L’organo che decide sul funzionamento ordinario della Bm è invece il Consiglio dei direttori esecutivi, la cui nomina spetta ai rispettivi ministeri dell’economia. È composto da 24 direttori, 5 dei quali sono nominati direttamente dagli stati membri che detengono la maggior quota di capitale della Banca (Usa, Giappone, Germania, Regno Unito e Francia). Gli altri 181 paesi sono rappresentati dai rimanenti 21 direttori. In particolare, i 47 paesi dell’Africa subsahariana, maggiori beneficiari dei prestiti della Banca, sono rappresentati da 2 direttori esecutivi e detengono nell’Ida (l’organo della Bm che eroga prestiti a tassi quasi nulli) il 9% del potere di voto.







Le 5 strutture

La Bm è un gruppo che si compone di 5 strutture: la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Birs) e l’International Development Association (Ida) che operano con i governi a medio reddito e con i paesi poveri. C’è poi l’International Finance Corporation (Ifc) e la Multilateral Investment Guarantee Agency (Miga) che operano a supporto del settore privato con prestiti e garanzie. E l’International Center for Settlement of Investement Disputes (Icsid), un tribunale di arbitrato interno alla Banca, con il compito di regolare le dispute tra investitori stranieri e governi dei paesi poveri.

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