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Un patrimonio non monetario: il tempo dei pensionati

I simboli sono concreti; Il lavoro-libertà; Che la vita sia vita
26 ottobre 2007
Fonte: L'articolo sarà pubblicato su "il foglio", mensile di alcuni cristiani torinesi, www.ilfoglio.info

Problema pensioni
Un patrimonio non monetario

La vita si allunga, e, ovviamente, le pensioni pesano di più sul bilancio statale. Che fare? Allungare la vita di lavoro risponde alla necessità economica (versare ancora i contributi e rinviare la riscossione della pensione). Non so se risponde anche alla logica produttiva: gli anziani hanno più esperienza che innovazione, ma oggi è più produttiva l’innovazione. Inoltre, il lavoro prolungato toglie lavoro ai giovani in entrata, e quest’altro problema umano è anche più grave del problema economico.
Le pensioni sono uno scandalo: troppo basse da un lato, troppo alte dall'altro. Che fare? Si dovrebbe porre un limite di decenza e onestà alle pensioni d'oro, oppure tassarle fino e oltre il 50%: i più "dorati" ne soffrirebbero solo nel prestigio (che significa letteralmente: illusione, immagine, orgoglio) non nel livello di vita. Si dovrebbe aumentare il contributo - non per la propria futura pensione, ma per le attuali più basse - dei salari che superino un certo livello, per obbligo di solidarietà. Così pure sulle pensioni d'oro. Si dovrebbe aprire un fondo di libere offerte solidali dei cittadini ancora attivi per integrare le pensioni più basse: è ciò che proposi a Prodi nel '98 – v. il foglio n. 252, ottobre 1998 - e lui mi rispose dicendosi «disorientato perché non esiste alcun modello organizzativo che possa fare fronte ai suoi splendidi consigli». Sembra che non sia possibile, e sarebbe quasi proibito, regalare soldi allo stato! Ma forse la possibilità esiste, altrimenti la si fa esistere.
Chi è più ricco deve, o per amore, o per forza, pagare il debito della propria ricchezza. È più bello farlo per amore e non per forza. Ma se non c’è l’amore c’è la forza (v. Paul Ricoeur, Amore e giustizia, Morcelliana 2000)

I simboli sono concreti
Io sogno, bello e necessario, un grande movimento di solidarietà dei pensionati più appagati a favore dei più poveri. Sarebbe un bel segno se i sindacati dei pensionati (che hanno molti iscritti; io appartengo allo Spi della Cgil) lanciassero con decisione una proposta: chi ha più di mille euro versi (almeno) l’1% ad un fondo nazionale volontario per l’integrazione delle pensioni più basse, quando sono l’unico reddito. Dieci euro al mese non fanno troppo soffrire chi ne ha 1000 di pensione e fanno soffrire di meno chi ne ha 500. Chi riscuote 3.000 euro potrà versarne 30 soffrendo ancora meno e riducendo ancora di più le ristrettezze altrui.
I segni sono fatti reali, gli atti simbolici sono operativi. Le decisioni solidali sono più efficaci delle rivendicazioni, pur giuste. Poiché offende più la diseguaglianza che la povertà, gli atti di condivisione sono più dignitosi e soddisfacenti di un aumento economico. Naturalmente, ciò non deve esonerare il sistema pubblico da giustizia ed equità. E dovrebbe esercitare una pressione morale e civile sui pensionati d’oro perché contribuiscano volontariamente molto di più allo stesso scopo, e una pressione politica sullo stato perché tassi pesantemente le rendite oscenamente più alte, superiori ad ogni esigenza vitale.

Il lavoro-libertà
Ma il problema delle pensioni non è solo né anzitutto un problema economico. È problema del tempo e qualità di vita. La vita si allunga, certo. Deve allungarsi per forza anche il lavoro-necessità-guadagno? Non potrebbe piuttosto allungarsi il lavoro-libertà, cioè il contributo volontario e gratuito dei pensionati alla società, in uno di quei tanti modi suggeriti dall’art. 4 , 2° comma della Costituzione? Il primo comma stabilisce il diritto al lavoro, il secondo indica il dovere. Leggiamolo di nuovo: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Non distingue tra giovani e vecchi. Anche i ragazzi cominciano ad avere questo dovere. I vecchi lo hanno fin quando la salute è sufficiente per qualche attività, proporzionata alle forze. La società deve anche chiedere qualcosa al cittadino, per potere dargli, insieme al dovuto, la dignità che viene dall’essere attivi.
Questo “lavoro” non è solo materiale, calcolabile, ma comprende anche la libera espressione artistica, fino al semplice “guardare le nuvole”, se non avviene nella solitudine chiusa, ma dando qualcosa agli altri. «Quand ch’a-i rivrà l’ora pì granda: l’ultima, / e ch’am ciamran lòn ch’i l’hai fait ëd bel, / mi rispondrai ch’i l’hai goardà le nivole: / le nivole ch’a van… travers al cel» (1) : così continua a dare un contributo umano il poeta Nino Costa, dal cippo che lo ricorda nel parco del Valentino. Anche il crocchio dei vecchi in piazza, al sole, produce opinione e fa politica, ora che non ci sono più i partiti e le loro sezioni, ma può essere valorizzato.
Il problema più importante è il tempo del pensionato. La vita del pensionato ancora in salute è rischiosa: in mancanza di sufficiente coscienza civile e di abitudine all’iniziativa spontanea, finisce nel far nulla, nella teledipendenza passiva e cretinizzante, nel diventare serbatoio elettorale del populismo demagogico che utilizza lo scontento, e nella decadenza mentale. Invece i pensionati sono una forza sociale: si potrebbe istituire un "servizio civile" volontario (e gratificante) come quello dei giovani, con un piccolo rimborso-spese inversamente proporzionale alla pensione riscossa. Il nonno-vigile è un germe di questa figura. Tale servizio si potrebbe esplicare, p. es., nell'assistenza ad altri anziani malati; nelle attività culturali (le università della terza età); in servizi di informazione e guida negli uffici pubblici; nella vigilanza civile (non solo di polizia) di quartiere, ecc.; nella custodia di memorie, documentazioni, mestieri antichi, archivi; nell’accoglienza e istruzione degli immigrati e in relazioni coi loro paesi d’origine; insomma, in tanti lavori che nessuno farebbe se non volontariamente. Certo, non manca chi fa già queste cose di sua iniziativa, ma la proposta istituzionale rivolta a tutti sarebbe educativa (ci si educa fino alla morte), utile, corroborante per la salute psico-fisica dei vecchi. I tanti lavori precari a cui sono condannati i giovani sono più adatti alla vita dei vecchi, al loro tempo, alle loro ridotte necessità.

Che la vita sia vita
La vita si allunga, e allora che sia vita. Occorre riformare la cultura della pensione come inattività pre-morte, come ideale del far niente, a spese di tutti, ideale che è frutto di una cattiva esperienza e di una cultura negativa del lavoro, e fa giudicare i vecchi come zavorra sociale. Sviluppare, invece, la cultura del tempo di vita che ancora si ha, facendolo rendere, ma dissociando l'idea di rendita dall'idea di guadagno economico. Il pensionato che abbia il sufficiente per vivere degnamente può finalmente fare un’esperienza di libertà, può lavorare per esprimere vita e non per necessità di campare; può produrre il tipo umano disinteressato, libero dall'ansia e dall’avidità per il domani. La figura del vecchio avido, che continua ad accumulare fino alla vigilia della morte, è una figura delle più tristi, deformi e miserabili, che la sapienza di tutti i tempi ha bollato, ma il costume economicista insiste a proporre come un modello di successo. Oppure, il tipo del vecchio ozioso, pigro, nel migliore dei casi sofferente di noia, che cerca di ammazzare il tempo (il quale sta per ammazzare lui), è un’altra figura fallimentare del nostro panorama umano. Il vecchio triste, brontolone, rabbioso, che pensa che tutto gli sia dovuto perché è vecchio e lui non debba nulla a nessuno, è un elemento che inquina la morale pubblica. Dev’essere aiutato e stimolato a vivere.
Ci sono vecchi svegli, disponibili e capaci di essere utili, lasciati ad oziare: sentivo dal barbiere un mio coetaneo raccontare di avere riparato un impianto elettrico dei vicini, tutto contento per avere potuto così passare due ore, perché «in casa, a far niente, si impazzisce».

Un patrimonio non monetario
Non occorre essere santi, per essere attivi per gli altri, basta (come diceva Kant del buon cittadino repubblicano) essere intelligenti e liberi. La vita è un patrimonio-non-monetario da spendere per essere vivi, non un tesoro da agguantare, nascondere, tenere coi denti, sottrarre agli altri, seppellire nel campo (poco prima della propria sepoltura). La vita del pensionato, non più dipendente dalla necessità del lavoro (che magari, per tanti, è stato un lavoro molto alienante) è esperienza umana inedita per i più, da valorizzare come vita di libertà attiva e responsabile, non ripiegata su di sé con effetti di incartapecorimento (rincoglionimento). Può essere anche un buon modello per i giovani, per una cultura sociale del lavoro, anche di quello necessario e redditizio.
Sei vecchio, la società ti mantiene. Te lo sei anche meritato. Ma, per rispetto di te stesso, restituisci come puoi e quanto puoi alla società in termini di attività di vita.
La vita si allunga, ma poi finisce. Sapere che la vita finisce, che tutto si lascia, cioè imparare a morire, consiste (a parte la speranza religiosa) nel vivere pienamente quanto più a lungo possibile, con uno sguardo aperto. E' possibile, proprio da vecchi, imparare a vivere un po' di più. Pensando queste cose i vecchi possono auto-educarsi ed educarsi reciprocamente. Non saranno i giovani e le mezze età a educare così i vecchi. Ma se la società valorizza un po' di più anziani e vecchi, economicamente e culturalmente, essi possono addirittura - immaginate! - immettere un po' di saggezza nella società.
Insomma, occorre sbloccare il problema pensioni dal solo discorso economico: è, sì, un problema economico, ma anzitutto è problema di tempo umano e sociale e di cultura del lavoro, dunque anche un fattore di democrazia partecipativa (ne parla Paul Ginsborg, in La democrazia che non c’è). La qualificazione umana del tempo dei vecchi può anche contribuire alla soluzione del problema economico.
Enrico Peyretti, 2 febbraio 2007

Note: (1) «Quando arriverà l’ora più grande, l’ultima – e mi chiederanno cosa ho fatto di bello – risponderò che ho guardato le nuvole – le nuvole che vanno attraverso il cielo».
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