"Liberate i ragazzi prigionieri a Guantanamo"
- 28 novembre 2003
Vivono in celle che misurano non più di due metri per due, divisi tra loro da pareti di fil di ferro. Su di loro non pende nessuna accusa precisa, né una condanna definitiva. Sono i «prigionieri di Guantanamo», 660 individui internati dagli da Bush nel campo di concentramento XRay, nella baia di Guantanamo a Cuba, in un cantuccio geografico fuori dal campo visivo americano, perché l’orrore è meglio tenerlo lontano. Il Pentagono li ha definiti «combattenti illegali», che detta in maniera meno burocratica vuol dire: non hanno nessun diritto e non godono del trattamento previsto dalla Convenzione di Ginevra per i «prigionieri di guerra». Ora, pare che in questo deserto giuridico e umano, ci siano anche bambini di 12 anni. Lo abbiamo chiesto a Florian Westphal, uno dei portavoce della Croce Rossa internazionale, l’unica organizzazione umanitaria autorizzata ad entrare nella galera a cielo aperto.
Signor Westphal la stampa danese scrive che a Guantanamo ci sono anche ragazzi ...
«Il fatto che tra i prigionieri di Guantanamo ci siano anche ragazzi non è una novità di questi giorni, è noto da circa quattro mesi. Lo ha denunciato la stampa internazionale, lo ha ammesso ufficialmente anche la stessa amministrazione americana. Lo abbiamo ribadito anche noi ogni volta che ci è stato chiesto».
Sì, però qui si parla di bambini di 12 anni...
«Non posso dirle nulla né sull’età né sulla nazionalità. La Croce rossa mantiene su questo aspetto un assoluto riserbo. Se non altro perché è precisa responsabilità degli Stati Uniti, che hanno catturato queste persone in Afghanistan, dire chi sono e quanti anni hanno».
Ma nemmeno smentisce...
«No. Ci sono ragazzi, su questo non ci piove. Ma riguardo alla notizia riportata da un quotidiano danese, non confermo né smentisco».
Lei è stato a Guantanamo?
«Personalmente no, ma dal 2002 il nostro personale visita regolarmente, circa ogni sei-otto settimane, i prigionieri. Abbiamo colloqui con i singoli detenuti, senza la presenza di guardie. Quello che possiamo dire è che assistiamo ad un preoccupante peggioramento della loro salute mentale, dovuto soprattutto al fatto di non sapere per quale accusa sono rinchiusi lì dentro e fino a quando ci resteranno. Non si possono tenere i detenuti a tempo indefinito. Abbiamo naturalmente parlato anche con i ragazzi. Ad alcuni di loro è riservata un’assistenza diversa, per esempio non vivono con altri detenuti. Un fatto che apprezziamo, ma la Croce rossa resta della ferma opinione che il campo di Guantanamo non è un posto adatto per tenere in prigione dei ragazzi. È un luogo geograficamente lontano dai paesi di origine di questi ragazzi, e ciò rende i contatti con le famiglie, assolutamente importanti per loro, pressoché impossibili».
Questo vale per i ragazzi, ma anche per gli adulti...
«Certo. Cerchiamo di fare del nostro meglio per accorciare le distanze e rendere possibile le comunicazioni. Da gennaio attraverso la Croce rossa prigionieri e familiari si sono scambiati oltre 8500 lettere. Ma per i ragazzi le lettere non bastano, manca il contatto diretto con la madre o con il padre, insomma con i propri cari».
Il personale della Croce rossa che è stato nella base di Guantanamo cosa ha visto?
«Lo abbiamo ripetuto più volte: nelle visite ai prigionieri di Guantanamo verifichiamo le condizioni di prigionia dei detenuti ma non pubblicizziamo i risultati delle nostre ispezioni. Per noi si tratta prima di tutto di assistere, poter visitare, regolarmente, i prigionieri. Non vogliamo che le nostre osservazioni, comunicate alle autorità competenti, vengano poi tirate in un dibattito politico che alla fine potrebbe mettere a rischio le nostre visite al campo. Il nostro compito principale è assistere i prigioni, fare loro visita regolarmente, fino a quando rimarranno nel campo».
La Croce rossa ha più volte criticato gli Stati Uniti per le modalità di detenzioni a Guantanamo ...
«Li abbiamo criticati, e continuiamo a farlo, sul fatto che per i prigionieri di Guantanamo ancora oggi non esiste una chiara procedura processuale. Non si è ancora capito secondo quale base giuridica oltre 600 persone sono detenute a Guantanamo. Con l’amministrazione Bush abbiamo più volte insistito sulla necessità di definire il quadro giuridico, esaminando caso per caso. Sulla carenza giuridica abbiamo ripetutamente cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica e gli Stati che hanno firmato la Convenzione di Ginevra, perché ci si impegni a farla rispettare non solo a casa propria ma anche negli altri Stati. È una questione che va chiarita in modo urgente».
In questi giorni la stampa riporta la notizia di trattamenti diversi per detenuti di nazionalità australiana e inglese. C’è il rischio di avere prigionieri di serie A e di serie B?
«Non possiamo commentare le trattative degli americani con altri Stati. Per la noi la richiesta è una sola: che tutti i prigionieri, e ripeto tutti, abbiano diritto ad un processo formale con un preciso capo di accusa. Fin dall’inizio, fin da quando cioè dagli Usa fu detto che non erano “prigionieri di guerra”, abbiamo fatto osservare l’esistenza di una precisa procedura: se c’è un dubbio sul fatto che siano “prigionieri di guerra”, allora ogni singolo caso va esaminato da un tribunale, che dovrà chiarire lo status di ogni singolo prigioniero. Ciò che è inammissibile, è la totale assenza di qualsiasi status: queste persone vengono trattate fuori da ogni ordinamento giuridico».
Quali risposte ci sono state finora dall’amministrazione Bush?
«Abbiamo avuto molti contatti, anche ad alti livelli. Il dialogo è inteso, ma per quel che riguarda lo status dei prigionieri la nostra richiesta di chiarezza rimane aperta e finora dagli Usa non abbiamo avuto le giuste e necessarie risposte».
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