La Pace, ma anche... le guerre umanitarie. La politica estera nel programma del PD
Centralità dello "strumento militare" e un generale di Corpo d’Armata candidato al Senato: due elementi che indicano con chiarezza quali sono le idee e le prospettive del Partito Democratico sui temi della difesa, degli armamenti, della politica estera e della pace.
Nel contesto di una globalizzazione che migliora "le condizioni di vita e di reddito di milioni di uomini" ma accentua le "disuguaglianze", si legge nel primo paragrafo del Programma di governo del Partito Democratico, presentato dal segretario Walter Veltroni e dall’economista liberal Enrico Morando lo scorso 25 febbraio, "l’Italia deve poter disporre di uno strumento militare che le consenta, in coerenza con il mandato fissato nell’articolo 11 della Costituzione, di assicurare un’adeguata difesa del territorio nazionale; di svolgere da protagonista il ruolo che le compete nelle alleanze internazionali; di condividere le responsabilità nel governo delle crisi e per la difesa della pace e della stabilità internazionale", a cominciare dall’Afghanistan dove bisogna restare "per vincere la guerra al terrorismo jihadista". Una strategia pienamente rivendicata da Arturo Parisi, ministro della Difesa uscente e ricandidato dal Pd alla Camera come capolista in Sardegna: "Finalmente il programma di una forza politica, il programma del Partito Democratico – scrive Parisi in una lettera pubblicata dal quotidiano la Repubblica lo scorso 3 marzo – riconosce con una nitidezza che non ha precedenti che ‘in un contesto in rapida evoluzione, contraddistinto da elevata instabilità’ con ‘accresciute minacce alla sicurezza internazionale’, ‘l’Italia deve poter predisporre di uno strumento militare’" adeguato. "Pur nella loro essenzialità – prosegue – queste proposizioni da sole danno la prova del cammino fatto nella maturazione di una cultura e di una responsabilità di governo. Né nel programma del 1996, né in quello del 2001, e neppure in quello del 2006, è infatti riscontrabile il riconoscimento delle esigenze della difesa del Paese e dei doveri che derivano all’Italia dalla solidarietà internazionale in modo così chiaro".
La seconda mossa è stata resa pubblica il primo marzo: la candidatura al Senato (al quarto posto nel Lazio, quindi in una posizione ‘sicura’) del generale di Corpo d’Armata Mauro Del Vecchio, già capo delle missioni militari multinazionali nei Balcani fra il 1997 e il 1999 – dove oltre 500 militari italiani si ammalarono, e circa 50 sono già deceduti, di linfoma in seguito all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito nel silenzio assoluto degli stati maggiori – e della missione Isaf della Nato in Afghanistan dall’agosto 2005 al maggio 2006, che proprio sotto il suo comando si allargò al sud del Paese, affiancandosi alla missione statunitense Enduring freedom. "Questa volta Maurizio Crozza resterà molto deluso da Walter Veltroni – commenta Massimo Paolicelli, presidente dell’Associazione Obiettori Nonviolenti –: con la candidatura del generale Mauro Del Vecchio ha mancato del classico ‘ma anche’, non abbiamo visto infatti candidare anche un obiettore o una ragazza del servizio civile o un rappresentante del variegato mondo pacifista. Non è un caso: perché la Difesa è uno dei pochi temi sui quali il Partito Democratico ha le idee molto chiare, come ha dimostrato in questi ultimi due anni scarsi di governo", a cominciare dall’aumento esponenziale delle spese militari (v. Adista nn. 83/06, 2 e 77/07), che peraltro hanno registrato un ulteriore incremento poiché la commissione Difesa della Camera, riconvocata d’urgenza il 5 marzo, ha deliberato l’acquisto di due nuovi sommergibili del costo di 915 milioni di euro. "Questa volta il veltronismo lo facciamo nostro – prosegue –, dal momento che la Corte Costituzionale ha più volte ricordato che la difesa della patria si adempie con il servizio militare, ‘ma anche’ con il servizio civile, senza armi. Allora è possibile istituire corpi civili di pace, riconvertire l'industria bellica e ridurre le spese militari. Ma di tutto questo – conclude Paolicelli – Veltroni ed il suo Pd non parlano: preferiscono candidare un generale".
PeaceLink a Veltroni: si può fare, ma cosa?
Che il Partito Democratico auspichi un sempre maggiore protagonismo dell’Italia nei teatri delle cosiddette "missioni di pace" lo ammette lo stesso Veltroni, sebbene con un linguaggio piuttosto ‘coperto’, rispondendo ad una lettera che gli era stata inviata dalla Tavola della Pace: "Per dimostrare di essere forte – scrive il candidato premier del Pd – la politica deve ritrovare la propria credibilità. E sono convinto che per essere credibile la politica deve farsi carico di responsabilità che non restino eluse". "Abbiamo dimostrato di credere che l’impegno per la pace si dimostra con il coraggio delle proprie scelte, incontrando accordi e disaccordi – prosegue –. Ma nuovi fronti si aprono ogni giorno, dal Darfur al Kenya, dalla Somalia ai Balcani, e la politica non può e non deve restare cieca e sorda", "deve ascoltare e poi deve saper offrire risposte ma anche partecipazione. Non possiamo sottrarci".
Cosa Veltroni e il Partito Democratico intendano fare sul tema della pace lo chiede direttamente al candidato premier l’associazione PeaceLink, con una lettera del giornalista Carlo Gubitosa, attivista dell’associazione: "Allora, caro Walter, quali sono le politiche di pace che hai in mente? Che cosa ‘si può fare’ per far valere il diritto internazionale in un mondo che cerca giustizia con le armi?". Nelle precedenti esperienze di governo del centro-sinistra, la pace non ha mai trovato posto in una effettiva proposta politica, "mi auguro che tu possa fare di meglio", scrive Gubitosa, che elenca alcune delle poposte "che i pacifisti e gli amici della nonviolenza gridano al vento da più di un decennio": destinare lo 0,7% del Pil ad iniziative di cooperazione internazionale per favorire lo sviluppo dei Paesi impoveriti; legalizzare e tutelare il diritto di obiezione di coscienza alle spese militari, con forme di opzione fiscale che consentano ai cittadini di scegliere se finanziare attraverso le imposte la difesa armata o la difesa non armata; monitorare e controllare capillarmente il commercio, la produzione e l'esportazione delle armi prodotte in Italia; e attuare la sperimentazione di forme di difesa popolare nonviolenta e civile (tipo Caschi bianchi da mettere a disposizione dell’Onu), come peraltro previsto dalla legge sul servizio civile. I pacifisti, Gubitosa in testa, attendono risposta.
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