Il Governo italiano, la pace e la guerra: bilancio di un anno
E' stata disotterrata l’ascia di guerra
In un anno caratterizzato da una guerra e da una lunga ed estenuante preparazione dell’opinione pubblica ad accettarla, è fin troppo facile capire da che parte penda la bilancia delle politiche di pace e di guerra del Governo guidato dal cavaliere Silvio Berlusconi. La forte mobilitazione per la pace nel nostro Paese, che ha portato in piazza 3 milioni di persone, ad esporre alle finestre di case, Comuni, scuole e parrocchie 2 milioni e mezzo di bandiere della pace e che nei sondaggi ha superato più volte il 70% di cittadini contrari alla guerra, come consistenza ha superato di molto la percentuale dei parlamentari contrari alla guerra, e quindi ha sicuramente coinvolto molti elettori della Casa delle Libertà. Tutto ciò ha prodotto un goffo tentativo del Governo di appoggio all’intervento militare angloamericano contro l’Iraq ma senza un coinvolgimento diretto del nostro Paese, considerato non belligerante! Sappiamo che è stato un arrampicarsi su specchi molto scivolosi, giacché nello sforzo spasmodico di accreditarsi come l’amicone di Bush e Blair, tanto da far parlare del fattore delle 3B (Bush, Blair e Berlusconi), il Governo italiano rischia di essere travolto con loro nello scandalo delle false prove del riarmo di Saddam, scandalo che fa crollare il motivo principale per il quale ci hanno raccontato che facevano la guerra, che unito all’incapacità di portare in Iraq pace, democrazia, ma soprattutto acqua pulita e cibo, rischia di trasformare la zona in una polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro.
La chiamano “guerra infinita”, si va avanti a fare guerre per il mondo finchè non verrà debellato il terrorismo. Considerando che spesso le guerre sono invece la causa dell’insorgere di nuovi terroristi, non c’è certo da stare allegri.
C’è da dire che notoriamente le posizioni del centro-destra sui temi della pace e della guerra sono molto distanti da quelle del movimento pacifista, quindi di sicuro non ci si aspettava cambiamenti di rotta a processi purtroppo avviati anche durante il Governo del centro-sinistra, ma per fortuna lo stato confusionale in cui versa l’attuale maggioranza ha fortemente limitato i danni. Da un lato il forte impegno di questi due anni si è concentrato a garantire alcuni interessi specifici, dall’altra le scarse capacità di alcuni soggetti in campo hanno fatto il resto.
“Italiani brava gente”
29 maggio 2003
Sembra ormai delineato il ruolo degli italiani a livello internazionale: le forze anglo-americane vanno a fare la guerra senza farsi troppi scrupoli, compreso l’uso di armi all’uranio impoverito e gli italiani, “voluti bene da tutti”, vanno a tentare di raccogliere i cocci (radiazioni comprese!), quel tanto che basta per mantenere una fettina degli interessi della ricostruzione.
Della guerra e del coinvolgimento del nostro Paese si parla diffusamente in tutto l’Annuario, per cui mi limiterò a tracciare le linee principali dei due provvedimenti di invio dei militari italiani in Afghanistan ed in Iraq.
La missione “Enduring freedom” vede impegnati dal 18 novembre 2001 i soldati italiani a sostegno delle operazioni militari degli Stati Uniti in Afghanistan. L’operazione “Enduring freedom” (Libertà duratura) è stata avviata a seguito degli attentati contro gli Stati Uniti dell’11 settembre 2001, con l’obiettivo di combattere il terrorismo internazionale e i regimi nazionali che lo sostengono. Dal 10 gennaio 2002 invece ha inizio la partecipazione italiana con 350 militari alla missione Isaf, missione multinazionale di assistenza all’Autorità afgana ad interim. La missione è stata costituita a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu 1.386 del 2001, con il mandato di garantire un ambiente sicuro a tutela dell’allora Autorità provvisoria afgana guidata da Hamid Garzai (ora nuovo Governo di transizione). Il 3 ottobre 2002 il Parlamento autorizza l’invio di altri mille uomini per la missione “Enduring freedom” a partire dal marzo 2003. Le polemiche sono aspre, sia perché si deduce che l’invio dei militari italiani serviva al rimpiazzo dei militari americani da dislocare in Iraq, sia perche i compiti della missione non sono chiari: combat, secondo gli americani, di peacekeeping per il nostro ministro della Difesa, che comunque annuncia che sarà una delle missioni più difficili.
Esclusione della partecipazione ad azioni di guerra dei militari italiani, esclusione della fornitura e della messa a disposizione di armamenti e mezzi militari di qualsiasi tipo; esclusione dell’uso di strutture militari quali basi di attacco diretto ad obiettivi iracheni; qualificazione della posizione italiana come non belligerante; mantenimento dell’uso delle basi per le esigenze di transito, di rifornimento e di manutenzione dei mezzi, nonché dell’autorizzazione del sorvolo dello spazio aereo nazionale; rafforzamento degli apparati di protezione delle basi medesime. Sono queste le proposte che il Governo ha fatto approvare dal Parlamento il 19 marzo 2003 dopo che il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal capo dello Stato ne ha preso atto. È la soluzione “pasticciata”, come l’ha definita l’ex capo dello Stato Francesco Cossiga, con cui il nostro Governo, con l’avvallo del capo dello Stato, da un lato dichiara di essere non belligerante e dall’altro autorizza l’uso delle basi, il sorvolo dello spazio aereo e l’uso delle infrastrutture, cosa che d’altronde avveniva già da diversi mesi e che è stata fortemente contestata. Da un lato il Governo li ha interpretati come atti dovuti alle alleanze di cui facciamo parte, dall’altra le opposizioni che considerano il problema come politico. Infatti è evidente che le manovre dei mesi precedenti al conflitto, erano legate allo schieramento delle truppe anglo-americane che si posizionavano in Iraq. Si configura così la violazione del principio di neutralità. In particolare si considera l’intervento militare contro l’Iraq illeggittimo, perché scelta unilaterale di inglesi ed americani, fuori da qualsiasi mandato internazionale. “L’articolo 11 della Costituzione è senza possibilità di dubbie interpretazioni, perché afferma chiaramente che l’Italia ripudia la guerra sia come strumento di aggressione sia come mezzo di soluzione dei conflitti. La guerra è ammessa solo per legittima difesa, che non può mai essere preventiva”. A dichiararlo è l’ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro. Anche il dopo conflitto e il soccorso delle popolazioni colpite dalla guerra crea non pochi problemi, infatti il Governo ha stanziato 232 milioni di euro per scortare 22 milioni di euro di aiuti umanitari. Questi due dati della missione “Antica Babilonia”, iniziata il 29 maggio 2003 rendono palese che non sono i militari a scortare gli aiuti, ma sono gli aiuti ad essere il pretesto per schierare 3mila militari italiani nella regione irachena di Nassiriya, sotto il comando britannico.
Difesa: figli e figliastri
Luglio 2002
Non si cantano messe senza soldi, ripete spesso il ministro della Difesa Antonio Martino. È chiaro infatti che le guerre hanno un costo e devono essere preparate in anticipo. Per questo auspichiamo che anche il movimento pacifista, oltre a scendere in piazza contro le guerre, faccia sentire la sua voce anche quando le guerre si preparano, ovvero quando per poterle fare si professionalizzano le Forze armate, si stanziano fondi per micidiali sistemi d’arma, si liberalizza il commercio delle armi, oppure non si presta la minima attenzione a forme alternative di prevenzione e soluzione dei conflitti. Nel Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) presentato dal Governo per il 2003, due pagine e mezzo sono dedicate alla Difesa, mentre 4 righe appena sono dedicate al Servizio civile nazionale. E ciò fa capire il peso dato dall’Esecutivo alle due forme di difesa. Va ricordato che fare promesse non costa nulla, mentre la cartina tornasole di un reale impegno verso un tema è quello di sapere quanto si investe sul versante economico.
I figli… la difesa in armi
Il Governo intende portare avanti la politica di difesa nazionale in un quadro di continuità rispetto alle scelte fatte finora. Rafforzare i legami con l’Alleanza atlantica e l’Unione europea, accelerare i tempi verso un esercito di soli professionisti, ammodernare e rinnovare i sistemi d’arma costituiscono i capisaldi di questa politica.
Desta preoccupazione l’affermazione contenuta nel Dpef che ritiene che dopo la comparsa sullo scenario internazionale della minaccia del terrorismo, “il Governo intende favorire una cultura della difesa nazionale”, estendendo il concetto di sicurezza alla salvaguardia e alla “tutela degli interessi nazionali”.
Il Governo intende anticipare l’abolizione della leva alla fine del 2004, ma per farlo deve però fornire alcune garanzie ai vertici militari per consentire un adeguato flusso di giovani tra i volontari.
Per garantirsi il reclutamento il Governo sta predisponendo un disegno di legge che prevede diversi incentivi:
1) adeguare le retribuzioni dei volontari;
2) offrire prospettive per l’inserimento dei giovani volontari nel mondo del lavoro (riserva assoluta dei posti di lavoro in Carabinieri, Polizia, Guardia di finanza, ecc., sgravi fiscali per i privati che assumono);
3) miglioramento delle condizioni alloggiative.
Sono poi sul nastro di partenza diversi forti investimenti in nuovi sistemi d’arma, tra cui il Joint strike fighter che impegna l’Italia ad acquistare 150 caccia per una spesa di 20-30 miliardi di euro e la nuova unità maggiore “Andrea Doria”, che benché venga considerata inutile dal ministro Martino si prevede di spendere 3mila e 500-4mila miliardi delle vecchie lire per continuare a costruirla.
Per questo il Governo vuole portare entro il 2006 il rapporto funzione Difesa/Pil all’1,5%, pari a 6mila milioni di euro.
La funzione Difesa nel 2002 è balzata a 13mila e 665 milioni di euro, con un incremento del 8,2% in più rispetto all’anno precedente. Occorre poi ricordare che il bilancio della Difesa, che include anche i carabinieri, ormai quarta Forza armata, ammonta a 19mila e 25 milioni di euro.
La Nato, che probabilmente include nei conti della Difesa italiana anche le spese fuori bilancio, come quelle delle missioni o quelle collocate nel bilancio dell’industria, calcola la percentuale del Pil al 2%, pari a 21 miliardi di euro.
Nella funzione Difesa il grosso dell’incremento è legato da un lato alle spese del personale che crescono di 682 milioni di euro, pari all’11,6% in più rispetto al 2001 e dall’altro a quello dell’investimento (sistemi d’arma) + 241 milioni di euro, pari al 7,7% in più rispetto all’anno scorso.
I figliastri… servizio civile nazionale
Il Governo liquida in quattro righe la questione del servizio civile, affermando che lo intende “sviluppare e potenziare”, senza fornire però alcuna cifra a riguardo.
La situazione è assai complessa, dal momento che dopo quattro anni dall’approvazione della legge n. 230/98 (“Nuove norme in materia di obiezione di coscienza”), ed a meno di due anni dalla sua fine, legata all’abolizione della leva, essa risulta applicata per un terzo, il restante o non è applicato o è applicato male. L’Ufficio nazionale per il servizio civile lavora ancora con 70 persone ed ha aperto solo 3 sedi periferiche; non è mai partita la formazione degli obiettori e dei responsabili degli enti; non è mai stata avviata la sperimentazione di forme di difesa civile non armata e nonviolenta; il servizio civile all’estero ha un’“applicazione residuale e non strutturata”, ecc..
Se si prosegue così tra breve del servizio civile degli obiettori resterà cenere ed è difficile pensare che dalla cenere del servizio civile degli obiettori si sviluppi un servizio civile volontario forte.
Le cifre parlano chiaro: a fronte di 86mila e 338 posti disponibili sul territorio nazionale sono stati assegnati nel 2001 poco più di 60mila giovani, a fronte di 80mila domande, lasciando vuoto il 25% dei posti. Bisogna ricordare che molte domande si perdono per strada, perché i distretti non le comunicano velocemente all’Ufficio nazionale, che quindi non è in grado di assegnare i giovani entro i nove mesi previsti dalla legge.
Ovviamente la situazione non migliora con i volontari: con i primi dati forniti dal ministro Giovanardi, mentre il Sud può gioire con 782 domande su 262 posti a disposizione, altrettanto non può fare il Centro con 160 domande per 243 posti, tantomeno il Nord dove sono state presentate 161 domande per 590 posti.
Attualmente al servizio civile (sia per gli obiettori che per i volontari) sono destinati 120 milioni di euro. Data questa cifra è possibile definire il numero dei giovani da inviare al servizio. Occorre ribaltare questa logica, anche perché, se il servizio civile concorre alla difesa della Patria come il servizio militare (sentenza Corte costituzionale n. 164/85), deve avere come questo pari dignità ed adeguati strumenti.
Finanziaria: si salvi chi può
Dicembre 2002
Anche se il Governo è intervenuto con l’accetta su settori delicati come quelli dell’istruzione, della sanità e dei trasferimenti agli enti locali, che si traducono in servizi ridotti per i cittadini, è riuscito non solo a far uscire indenne l’amministrazione della Difesa, ma anzi ad aumentare, se pur di poco, le sue disponibilità economiche.
Siamo lontani dagli obiettivi prefissati nel Dpef, che prevedevano di far giungere il bilancio della funzione Difesa al 1,5% del Pil entro il 2006, comunque non si perde terreno.
Il bilancio della Difesa raggiunge quest’anno la cifra record di 19mila e 614,8 milioni di euro (pari a circa 39mila miliardi delle vecchie lire), con un incremento rispetto al bilancio previsionale approvato dal Parlamento di 585 milioni di euro con una variazione del 3,1% in termini monetari e dell’1,4 in termini reali. Nel bilancio della Difesa trova posto anche la funzione Sicurezza dove ci sono le spese per l’Arma dei Carabinieri, che con la recente riforma sono diventati la quarta Forza armata. Il rapporto con il Pil del bilancio totale della Difesa è del 1,50%.
La funzione Difesa passa da 13mila e 665,6 milioni di euro a 14mila e 27,1 milioni di euro, con un incremento di 361, 5 milioni di euro, pari al 2,6% in più in termini monetari, attestandosi rispetto al Pil all’1,075%.
Come al solito buona parte dell’incremento viene assorbito dalle spese per il personale che passano da 6mila e 577,6 milioni di euro a 7mila e 22,6 milioni di euro con una crescita del 6,8%. L’aumento è da far coincidere con la recente riforma che ha migliorato il trattamento economico del personale delle Forze armate ed il passaggio ad un esercito totalmente volontario.
Una lieve flessione la registra invece il settore investimento che passa da 3mila e 499,3 milioni di euro a 3mila e 357,5 milioni di euro, con un calo del 4,1%. L’industria bellica ha lanciato subito l’allarme, denunciando l’assenza di 500 milioni di euro (in realtà sono solo 141) dagli investimenti, recriminando in particolare il rischio che corre l’Eurofighter.
Per rassicurare l’industria è subito intervenuto il sottosegretario alla Difesa Filippo Berselli che ha assicurato che i fondi necessari si troveranno ed ha auspicato uno sganciamento delle spese per l’Eurofighter dai parametri di Maastricht. La proposta di sganciare le spese della Difesa dai parametri economici dell’Europa viene ripetuta troppo spesso: oltre al ministro Martino ed al presidente del Consiglio quando ha illustrato la manovra, anche l’attuale leader dell’Ulivo Francesco Rutelli ha proposto di sganciare le spese destinate all’esercito europeo.
Il servizio civile resta inesorabilmente a quota 119 milioni di euro come l’anno precedente. Questo perché nel Dpef lo si voleva “sviluppare e potenziare”!
L’Europa… salva la difesa
A luglio 2003 inizierà il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea. Secondo il ministro della Difesa Antonio Martino “è la Difesa il campo più interessante del semestre Ue a presidenza italiana. Dovremo rispettare le scadenze che ci siamo dati per la costruzione di una forza di reazione rapida europea, definendo esattamente i compiti che vogliamo attribuirle e, soprattutto, i rapporti di sinergie più che di complementarietà con la Nato, così da evitare duplicati e sprechi. Ciò - avverte Martino - comporterà spese aggiuntive: è un impegno preciso del Governo, che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha preso al vertice di Praga. Per altro - spiega il ministro della Difesa - si tratta di cifre non impossibili ma alquanto ragionevoli, intorno ai 250 milioni di euro l’anno per cinque anni”.
Si sa gli impegni sono impegni, e le cifre saranno pure ragionevoli, ma quando abbiamo una coperta, che oltretutto con l’ultimo lavaggio si è pure ristretta, se la tiriamo verso le spese della Difesa, cosa vogliamo lasciare scoperto?
Sospendo o non sospendo, questo è il dilemma
Marzo 2003
Il 28 marzo 2003 il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge “Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore”. Non conosciamo nei dettagli il provvedimento, perché nel momento in cui scriviamo, a distanza di oltre tre mesi dalla sua approvazione, il disegno di legge non è approdato in Parlamento. Sembra che tutto sia dovuto ai contrasti tra il ministro della Difesa Antonio Martino e quello dell’Economia Giulio Tremonti. Il provvedimento ha dei costi che, vista la crisi economica del Paese, il ministro dell’Economia non intende concedere. Infatti il provvedimento anticipa il congelamento della naja dal 1 gennaio 2004, anziché come previsto ora il 1 gennaio 2007. Per far questo sono previsti una serie di incentivi per allettare le nuove generazioni, sempre meno propense ad arruolarsi.
Ma i contrasti sono anche fuori dai palazzi della politica. I vertici militari accettano con rammarico di perdere una fetta di potere data dalla leva obbligatoria e in cambio vorrebbero una contropartita economica che dia garanzie sul reclutamento dei volontari. Tra queste ipotesi c’è l’incremento degli stipendi, garanzia del posto di lavoro ed incentivi per le abitazioni, altro tema caldo tra Martino e Tremonti. Ma anche tra i Carabinieri c’è malessere. Infatti con la scomparsa della leva viene meno la figura dell’ausiliario, che si concretizza con circa 12mila unità, e non si vede neanche l’ombra della possibilità che questi vengano sostituiti con effettivi. Inoltre sempre i Carabinieri, insieme ad altri corpi dello Stato (Polizia, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, ecc.) devono farsi carico di mettere in riserva il 100% dei posti delle nuove assunzioni per i militari che hanno terminato senza demerito la ferma prefissata di uno, tre o cinque anni. I rischi sono di un impoverimento del reclutamento degli altri corpi dello Stato, di una sua militarizzazione, in particolare per la Polizia, e una formazione dei giovani non attinente con il ruolo che rivestiranno in futuro.
Di questi problemi si è accorto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi che nel maggio scorso, durante l’annuale raduno degli alpini (da sempre contrari all’abolizione della leva), ha detto che se non si raggiungono gli obiettivi prefissati si potrebbe ritornare a parlare di leva, buttando così le mani in avanti. Viene da chiedersi, se le perplessità sono così tante, che senso ha presentare un provvedimento che anticipa la sospensione della leva? Forse un senso elettoral-corporativo?
La definizione precisa della data di sospensione della leva non è un particolare secondario. Infatti oltre ai militari, che comunque si sono garantiti la sostituzione dei giovani di leva con professionisti, fino a raggiungere il livello di 190mila unità costi quel che costi, c’è il servizio civile degli obiettori di coscienza che progressivamente verrà sostituito da quello dei volontari. Per il servizio civile, sia degli obiettori che dei volontari, vengono dati 120 milioni di euro, e si possono far partire tanti giovani quanti ne concede la disponibilità economica, senza quindi ricorrere ad una lettura del territorio e delle necessità, con conseguente delineazione del contingente che serve a dare risposte nel sociale, nella cultura, nell’ambiente e nella pace. Si fa quel che si può. Non parliamo poi della finalità del servizio civile di porsi come alternativa alla difesa armata. La possibilità di sperimentare forme di difesa non armate, previste dalla legge n. 230 del 1998 sull’obiezione, sono ancora lettera morta, e quelle poche esperienze di Caschi bianchi, cioè giovani impegnati in zone di conflitto è relegata alla buona volontà di alcuni enti, come Caritas ed Associazione Giovanni XXIII di Rimini, senza alcun tipo di incentivo. Sul servizio civile volontario, è in corso poi una vera e propria opera di rimozione delle origini legate all’obiezione, quasi ci si vergogni di queste. La ciliegina sulla torta l’ha messa infine il capo dello Stato che ha voluto 4 volontarie in servizio civile a sfilare alla parata militare del 2 giugno!
Il numero degli obiettori sta crollando, con tutto quello ciò ne consegue nei servizi da essi coperti; si è passati dai 64mila e 59 del 2001 ai 48mila e 986 dell’anno successivo, e nei primi 4 mesi del 2003 le domande di obiezione sono state 5mila e 790. In compenso gli ultimi dati sul servizio civile volontario sono confortanti, anche se visti i problemi che attraversa la macchina organizzativa sembra proprio effetto della politica spot del Governo. Infatti la campagna informativa sul servizio civile volontario, spinge molte ragazze a presentare domanda per il servizio civile ma contestualmente la macchina di ricezione non è ancora pronta, problemi con la formazione, controlli inesistenti, ecc.. Altro campanello di allarme è l’alta percentuale di domande provenienti dall’Italia meridionale, che lascia intendere che tale servizio in alcune situazioni sia visto come un lavoro socialmente utile. E la politica di rimozione di alcuni valori storici non aiuta nel dare una percezione diversa del servizio.
Il paradosso è che mentre all’Ufficio nazionale non si riesce a far partire molte delle iniziative che servirebbero a far compiere un salto di qualità al servizio civile, non si riesce neanche a spendere tutti i fondi messi a disposizione. In questa maniera sarà ben difficile ottenere dal ministro Tremonti i fondi necessari chiesti dall’Ufficio per il servizio civile per i prossimi anni, dove ci sarà il passaggio netto dagli obiettori (che costano molto meno) ai volontari (che costano molto di più), specialmente se vengono confermate le ipotesi di inviare in servizio civile nel 2003 circa 20mila volontari e nell’anno successivo addirittura raddoppiarli arrivando così a 40mila.
Via libera ai mercanti di morte
Giugno 2003
Il 3 giugno 2003 la Camera dei Deputati ha ratifica l’accordo di Farnborough per la ristrutturazione dell’industria europea della difesa che contestualmente modifica anche la legge n. 185 del 1990 sul commercio delle armi. I sì sono stati 222, i no 115 e 20 gli astenuti. La maggioranza è stata compatta nel voto a favore del provvedimento, mentre l’opposizione ha visto votare a favore lo Sdi l’ex ministro Sergio Mattarella della Margherita, gruppo che invece si è astenuto, pur condividendo l’accordo, con l’esclusione dei Verdi, contrari anche a quello mentre il resto dell’Ulivo ha votato contro perché non condivide le modifiche alla legge sulle armi.
All’argomento è dedicato un intero capitolo dell’Annuario, quindi non ci soffermiamo ulteriormente. Vogliamo solo sottolineare due aspetti. La forte opposizione al provvedimento delle associazioni raggruppate nel cartello “Fermiamo i mercanti di armi, difendiamo la 185/90” ha ottenuto una riduzione del danno previsto nel testo inviato al Parlamento dal Governo ed uno slittamento dell’approvazione di un provvedimento che si pensava potesse avvenire in tempi rapidi, anche grazie al sostanziale accordo di alcuni gruppi dell’opposizione poi ravvedutisi. Questo slittamento ha portato ad una macabra coincidenza: mentre si dichiara guerra ad un dittatore perché si dice che possieda armi di distruzione di massa contestualmente si approva una legge che allarga proprio le maglie dei controlli della vendita delle armi!
Meno alloggi e meno diritti per la truppa e maggiori stipendi per i vertici
18 aprile 2003
Da sempre le maggiori attenzioni dei politici sono state rivolte ai vertici militari, eludendo completamente i problemi della “truppa”, considerata troppo speso “carne da cannone”. Le ultime decisioni del Governo però allargano sempre più questa forbice tra vertici e truppa.
Il primo provvedimento è la riforma della rappresentanza militare che giace dall’inizio della legislatura in commissione Difesa della Camera con divergenze tra le forze politiche che sembrerebbero incolmabili. Ciò ha spinto l’Euromil, la più grande organizzazione e sindacale militare europea che riunisce 26 associazioni e sindacati in rappresentanza di 18, nazioni il 12 settembre 2002 ha votato una richiesta al Governo italiano per garantire una maggiore democrazia per i militari. La richiesta nasce dalla constatazione che in Europa l’Italia è uno dei pochi Paesi a non riconoscere ai militari i diritti sindacali associativi.
Il secondo provvedimento riguarda la cartolarizzazione delle aree dismissibili e degli alloggi. Nel braccio di ferro tra Tremonti e Martino, che devono accordarsi per chi fa più cassa da questa vendita, “svendita” come la definisce il Cocer del comparto Difesa, sono le famiglie di militari meno abbienti che rischiano di non avere nessuna garanzia sugli alloggi nella situazione di mercato che conosciamo bene.
Il 18 aprile 2003 il Governo ha approvato un provvedimento per sancire l’uscita di militari e poliziotti dal pubblico impiego, adottando un sistema basato su parametri, che secondo il Cocer non riconosce la peculiarità del settore. Il provvedimento penalizza soprattutto il personale dei ruoli iniziali ed intermedi (volontari, sergenti e marescialli delle Forze Armate e ruoli equivalenti delle Forze di Polizia) negando la possibilità di una carriera amministrativa a ruoli e categorie che ne hanno di fronte una gerarchia limitata solo a due o tre promozioni. Inoltre le scarse risorse messe a disposizione portano nelle tasche dei lavoratori con le stellette aumenti estremamente esigui.
Alto è il malessere tra le Forze armate (sciopero del rancio, ecc.) ma l’attenzione dei politici è bassissima. La rappresentanza dei militari ha chiesto più volte un incontro con il ministro Martino e con presidente Berlusconi, ottenendo soltanto un sbrigativo incontro con il ministro della Difesa, che dopo aver ascoltato i vertici militari ha abbandonato l’incontro per precedenti impegni assunti, lasciando le rappresentanze militari a bocca asciutta.
2 giugno: la Repubblica si fonda sulle forze armate
Giugno 2003
Per coronare questa politica di riarmo, non poteva di certo mancare una parata militare. Ed ecco che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi da alcuni anni, impegnato nel tentativo di esaltare i valori della Patria, ha reintrodotto questo modo arcaico di festeggiare la Repubblica. Le parate militari da sempre sono servite per mostrare all’esterno i muscoli, la potenza bellica di una Nazione. Poi si tenta di stemperarla, e di volta in volta si parla dell’impegno nel mondo delle nostre Forze armate di difendere la pace, o si fanno sfilare una minoranza di civili come è accaduto quest’anno con la protezione civile. Ma la Repubblica, fondata sul lavoro, forse và al di là delle Forze Armate. I milioni di volontari veri, quelli civili non pagati come i militari, che forse sarebbe meglio chiamare con il loro vero nome, cioè mercenari, dove erano il 2 giugno? E i medici? E potremmo fare un elenco lunghissimo. Su 8mila e 278 uomini e donne che hanno sfilato su via dei Fori Imperiali i civili erano appena 256! Alla fine la festa del 2 giugno si è trasformata nell’ennesima retorica militar-patriottistica. Una sola riflessione all’appello del presidente Ciampi, riportato da tutti i media, di esporre un tricolore nelle case italiane non ho visto grandi risposte. All’appello di un minuto missionario, padre Alex Zanotelli, girato con il solito tam-tam del popolo della pace, di esporre la bandiera della pace, per ricordare che il nostro Paese all’articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra, hanno risposto oltre due milioni e mezzo di famiglie. Almeno queste il 2 giugno non erano rappresentate.
Sotteriamo l’ascia di guerra
Solitamente i nonviolenti sono viste dai politici come persone che fanno ottime scelte etiche, ma incompatibili con la cruda realtà della politica. Oggi più che mai in passato il realismo politico caratterizza la strada nonviolenta. Costruire un ordine mondiale ed arginare il terrorismo con la logica della guerra infinita è follia. La guerra crea a catena altra violenza incontrollata e richiede immense risorse economiche ed umane per farla. Investire i soldi oggi spesi per le armi e le guerre in sviluppo dei Paesi poveri del mondo è realismo. Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai, disse il presidente Sandro Pertini. Sotterriamo quindi l’ascia di guerra e acquistiamo semi per far germogliare una speranza nei troppi Sud che ci sono sparsi in questa Terra, che, ricordiamolo, è l’unica che abbiamo.
Allegati
Dov'erano i pacifisti?
162 Kb - Formato pdfDodici mesi di movimento pacifista. Saggio tratto dall'Annuario della pace 2003; per saperne di più clicca su http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_2525.html
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