Spuntano le «Guantanamo galleggianti»
Non solo gli orrori di Guantanamo. Non solo le carceri segrete e i voli della Cia. Spunta un altro capitolo oscuro e finora sconosciuto nei metodi adoperati dall’amministrazione Bush nella cosiddetta «guerra al terrorismo». Navi militari americane sarebbero usate come carceri galleggianti per detenere, interrogare e torturare prigionieri catturati nel mondo. Il tutto, tenuto nascosto all’opinione pubblica americana e mondiale. Lontano da occhi indiscreti e da qualunque possibilità di tutelare le condizioni e i diritti dei detenuti. Il tutto, dunque, in violazione di qualunque regola del diritto internazionale. Quelle che sono state già ribattezzate le «Guantanamo» galleggianti sarebbero state usate a partire dal 2001, secondo le accuse presentate da «Reprieve», una organizzazione non governativa, in un rapporto di prossima pubblicazione, anticipato ieri con grande risalto dal quotidiano britannico The Guardian. Questi metodi, secondo le notizie raccolte da «Reprieve», andrebbero avanti nella più assoluta segretezza da sette anni, nonostante il presidente Bush nel 2006 abbia sostenuto che tali pratiche erano state sospese. «Hanno scelto le navi per tenere le loro malefatte lontano dagli occhi dei media e degli avvocati delle associazioni umanitarie», ha detto Clive Stafford Smith, responsabile legale di Reprieve. «Gli Stati Uniti - ha proseguito Stafford Smith - al momento detengono, per loro stessa ammissione, 26mila persone, nelle prigioni segrete, mentre le nostre stime dicono che almeno 80mila persone, a partire dal 2001, sono passate tra gli ingranaggi del sistema». Nel rapporto si può leggere la testimonianza di un prigioniero di Guantanamo (il campo di detenzione allestito in una base americana) che riporta l'esperienza del suo vicino di gabbia: «Mi disse che in quella nave erano in 50, chiusi nel profondo della stiva, e che venivano picchiati più forte che a Guantanamo». «Passo dopo passo», ha commentato Andrew Tyrie, presidente della commissione parlamentare sulle missioni-tortura, «la verità sulle ”rendition“ (i trasferimenti forzati) sta venendo fuori: è solo una questione di tempo. Il governo farebbe meglio a fare subito chiarezza». Un portavoce della marina militare USA ha smentito il rapporto, secondo un copione che si è finora ripetuto con puntualità in queste vicende. «Non ci sono prigioni sulle navi americane», ha detto il comandante Jeffrey Gordon al Guardian. Ma è ormai un fatto che il meccanismo delle missioni-tortura americane fosse consolidato e di pratica comune: basi segrete della Cia - ricorda il Guardian - operavano in Romania, Polonia, Thailandia e Afghanistan. Secondo la testimonianza di Ben Griffin, ex appartenente alle Sas britanniche (forze speciali), «tutte queste basi segrete fanno parte di una rete globale in cui le persone vengono detenute indefinitamente, senza che le accuse vengano formalizzate, e sono sottoposte a tortura, in netta violazione della convenzione di Ginevra e della carta sui diritti dell'uomo dell'Onu».
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