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L'invio delle truppe in Iraq e' anticostituzionale

Sentenza storica della Corte d'Appello di Nagoya
6 giugno 2008
Yukari Saito

Lo scorso 17 aprile la Corte d'Appello di Nagoya ha pronunciato una sentenza che molti considerano “rivoluzionaria”.
I giudici hanno, infatti, riconosciuto che “l'invio delle truppe di autodifesa giapponesi in Iraq e nelle zone circostanti per dare un supporto alle forze armate statunitensi è da considerarsi parte integrante delle azioni belliche intraprese da altri paesi, perciò contravviene al primo comma dell'articolo nono della Costituzione”.
Il comma citato stabilisce che “il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all'uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali”. In base a questa Carta, un gruppo di oltre 3000 cittadini aveva presentato un ricorso dinanzi al Tribunale di Nagoya nel febbraio del 2004, così come hanno fatto molti altri in diverse città del Paese.

Il testo dell'articolo 9 della Costituzione giapponese
1) Aspirando sinceramente a una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull'ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, e alla minaccia o all'uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali.
2) Per conseguire l'obiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell'aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto
La straordinarietà della sentenza di Nagoya sta nel fatto che, negli ultimi anni, molte cause simili intentate dai cittadini contro lo Stato per contestare le decisioni del governo sono state sempre respinte dai Tribunali che davano il beneplacito legale alle azioni dell'esecutivo anche quando queste erano in palese contrasto con la Costituzione o con altre leggi a tutela dei diritti dei cittadini.
La Corte d'Appello di Nagoya, invece, ha voluto analizzare attentamente la situazione reale dell'Iraq nella sua complessità e da vari punti di vista, per contestualizzare le attività effettivamente svolte dalle truppe giapponesi e dedurne il significato reale.

La sentenza dedica un ampio spazio alla ricostruzione dei fatti: una cronologia assai completa dell'ultima guerra in Iraq, accompagnata da molti dati, numerici e non; incluso l'uso delle bombe al fosforo bianco contro i civili. In base a ciò, hanno giudicato che il supporto dato dalle truppe giapponesi, in particolare dall'aeronautica tuttora presente nel paese, per il trasporto dei militari statunitensi e dei materiali a loro uso nelle zone di conflitto, non sono ammissibili, sia per la Costituzione, sia per la legge approvata ad hoc nell'estate del 2003 per consentire, appunto, alle truppe di partire per l'Iraq.

Quest'ultima, presentata e approvata sotto il governo di Jun'ichiro Koizumi, circoscrive, infatti, le attività delle truppe nelle zone non coinvolte nei conflitti armati e impone il carattere strettamente umanitario ed estraneo alle azioni militari dell'operato.
Secondo le analisi dei giudici, invece, risultava che i militari giapponesi, in realtà, si trovassero in zona di conflitto e il loro aiuto offerto agli alleati servisse anche ad uccidere molti civili iracheni inermi.

I giudici di Nagoya hanno, inoltre, riconosciuto che “il diritto di vivere in pace” rivendicato dagli istanti faceva parte dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Questo segna una vittoria importante per i cittadini, perché, in passato, molti ricorsi sono stati respinti, dichiarati inammissibili poiché tale diritto non era riconosciuto come azionabile dai privati.

“Non voglio essere costretto a trovarmi da parte degli aggressori”

Con questo slogan, tra il gennaio del 2004 e il marzo del 2005, i cittadini giapponesi hanno presentato un ricorso ai Tribunali per fermare l'invio in Iraq delle truppe di autodifesa in 11 diverse città nell'arcipelago.
Il gruppo di Nagoya con 3.268 istanti in tutto formava il comitato più nutrito tra i 12 presenti nel territorio nazionale.

I comitati erano presenti a Hokkaido, Sendai, Tochigi, Tokyo, Yamanashi, Shizuoka, Nagoya, Kyoto, Okayama, Kumamoto e due ad Oksaka. Ogni gruppo a modo suo, in pochi o in migliaia, alcuni volutamente senza assistenza legale dei professionisti, hanno deciso di agire in giudizio e, successivamente, si sono collegati in un network nazionale.

A Tokyo, ad esempio, hanno deciso di presentare circa 100 ricorsi: uno al giorno da parte di un cittadino che lo presentava ogni volta a un ufficio diverso da dove, nel giorno precedente, si era recato un altro compagno, come una specie di rally delle azioni legali contro lo Stato. Lo scopo era quello di “far pronunciare più giudici possibile e, attraverso un confronto tête-à-tête indurli a interrogarsi sull'incostituzionalità dell'invio delle truppe all'estero” (dal sito del comitato nazionale http://www.stop-iraqwar.net/activity/index.html )

In tutto il Giappone, erano oltre 5600 cittadini – tra loro anche qualche cittadino iracheno residente da tempo a Osaka e un ex sottosegretario alla Difesa - che si sono rivolti ad un Tribunale per contestare l'invio delle truppe in Iraq e ad assisterli c'erano più di 800 avvocati.

Ciascuna causa era stata presentata per chiedere più o meno le seguenti tre cose:
1) il ritiro delle truppe di autodifesa dall'Iraq;
2) il riconoscimento dell'incostituzionalità dell'invio;
3) un risarcimento dei danni morali (di una cifra simbolica, ad esempio, nel caso di Nagoya 10 mila yen a testa, equivalenti a poco più di 60 euro) o un blocco dei finanziamenti per la missione

Con la sentenza di Nagoya del 17 aprile, che si è resa definitiva, 8 gruppi su 12 hanno terminato il loro percorso di battaglia legale, mentre gli altri 4 (Hokkaido, Sendai, Okayama e Kumamoto) stanno ancora lottando in Tribunale.

Ma, finora, nessun Tribunale ha accolto le richieste dei cittadini.
Nemmeno quella di Nagoya, per la verità, almeno formalmente. Perché la sentenza dice che “nel presente caso, la parte attrice chiede un giudizio di illegalità su alcuni fatti in un modo talmente astratto da rendere impossibile determinare quale sia l'effettiva entità dei diritti lesi”.

Eppure, la notizia ha dato l'impressione che i cittadini avessero finalmente ottenuto una grande vittoria tanto desiderata.
E lo era davvero, in sostanza, con una sentenza che esprime, senza mezzi termini, l'incostituzionalità dell'invio delle truppe, in chiaro contrasto con molti giudizi espressi altrove.

Il paradosso della situazione è stato accolto molto positivamente dai cittadini anche per un altro motivo: lo Stato, risultando formalmente “vincitore”, non può contestare in alcun modo la sentenza. Così, la parte attrice “perdente” ha deciso di non presentare più un appello alla Corte Suprema, per rendere questa sentenza “definitiva”.

Grazie a questa sentenza, alle manifestazioni per la giornata della Costituzione del 3 maggio di quest'anno, si respirava un'aria molto positiva rispetto agli ultimi tempi.
Naturalmente durante la Conferenza internazionale Whynot9 a Makuhari se ne parlava molto.

“È una sentenza che, senza la Costituzione giapponese, in particolare l'articolo 9, non sarebbe mai stata pronunciata”.
Si legge nel comunicato rilasciato dal comitato degli istanti e dei legali di Nagoya. “Si tratta di un risultato importante ottenuto grazie agli sforzi dei cittadini che hanno voluto valorizzare la nostra Carta”.

A frenare l'entusiasmo erano le reazioni dell'esecutivo e del vertice militare.
Il commento a caldo del primo ministro attuale Yasuo Fukuda è stato, “Lo stato ha vinto, perciò non credo che ci sia bisogno di cambiare la rotta”, mentre il dicastero degli Esteri Masahiko Takamura ha risposto con sarcasmo, “quando avrò il tempo, darò un'occhiata alla sentenza”.
Ma le parole più sconcertanti sono state pronunciate dal capo dell'aeronautica Toshio Tamogami: “Se posso dire come la penso io, che me ne importa”.

Su questo, il segretario del Partito Comunista Kazuo Shii ha voluto tornare durante la festa della Costituzione: “Cosa gli detta la Costituzione non gli importa, non gli riguarda? Che significa? Significa che le truppe di autodifesa non rientrano nella Costituzione, sono fuori legge! Ha confessato la verità”.

Tuttavia, secondo il comitato degli istanti di Nagoya “le persone che gioiranno per questa sentenza più di chiunque altro saranno i militari delle truppe di autodifesa e le loro famiglie. Perché così potranno disporre uno strumento legalmente valido per rifiutare un incarico”.

Note: Revisione tecnica: Andrea Monaci

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