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Democrazia, maggioranza, Costituzione

Considerazioni sulla democraticità

La democrazia più sana è quella che ha una cultura della propria fallibilità, della necessaria vigilanza su se stessa, della necessità di autocorrezione continua.
25 luglio 2008
Fonte: Tavola Rosa Luxemburg 24 luglio 2008
www.tavolapolitica.com

ENRICO PEYRETTI : CONSIDERAZIONI SULLA DEMOCRATICITA’

In questa lettera (riprodotta in calce), Umberto Eco chiarisce quello che dovrebbe essere chiaro. La regola democratica è e non è uno strumento di verità.
E' uno strumento di verità morale nel modo di prendere le decisioni collettive, perché "conta le teste invece di tagliarle", quindi preserva le vite umane e la possibilità di ogni cittadino di correggere e migliorare successivamente le decisioni comuni.
In questo modo la democrazia afferma e tutela - sebbene non infallibilmente - un valore e una verità morale: la vita dei viventi, la correggibilità delle scelte politiche e la loro veri-giusti-ficazione (farle più vere e più giuste).
Non è uno strumento di verità, perché l'affidare (per le più diverse ragioni o non ragioni) alla maggioranza il compito di legiferare e governare (compiti non sempre coincidenti), non dimostra che la maggioranza abbia la verità e la minoranza non l'abbia, ma soltanto ottiene che quei compiti, assegnati in questo modo, comportino il costo minore possibile di sopraffazione e di violenza. Con un atto (audace?) di fiducia nella natura umana, si può sperare che i più pensino e decidano più ragionevolmente.
La verità umana e il bene sociale non consistono nel fatto di essere di essere scelti dai più numerosi. Questo fatto, in un sistema democratico, determina solamente l'incarico di condurre la vita politica. Chi, investito democraticamente del compito di governare, sacralizza a sproposito questa investitura dicendosi per tale motivo come un "unto dal Signore" - espressione che significa cristo = messia di Dio, proprio come si ritenevano i sovrani per diritto divino, prima che sorgesse la democrazia in Europa - dimostra per ciò stesso di fraintendere la democrazia, di falsificarla e di abusarne a vantaggio del proprio potere indebitamente esaltato.
Questa concezione della democrazia (non comparsa in una battuta fuori luogo, ma dimostrata in tutto il modo di agire politico) dimostra per se stessa che chi pensa così, e così di conseguenza agisce, non è degno di incarico democratico, perché non è ancora democratico. Nell'incaricarlo, il popolo ha sbagliato: con un atto valido nella forma, illegittimo nella sostanza, sbagliato negli effetti, ha scelto uno che non rispetta il diritto sovrano del popolo perché pensa se stesso come consacrato sovrano.
La democrazia matura è consapevole di potere sbagliare, fino a suicidarsi. Nel 1933 Hitler la distrusse dopo che dalla democrazia fu incaricato di governare (con procedura che una tesi considera non formalmente ineccepibile, ma valida, come avvenne per Bush nel 2004). Nel 1922 l'incarico a Mussolini fu invece illegittimo, un colpo di stato del re italiano senza fondamento parlamentare, sanato forzatamente in seguito. Un popolo può di fatto decidere il proprio danno, la perdita dei propri diritti e doveri, come ogni individuo può rovinarsi sbagliando la scelta di un avvocato che non sa difenderlo, o di un amministratore infedele dei suoi beni.
Tutto ciò deve servire a finirla con la retorica della democrazia: difendere il metodo sì, strenuamente; assolutizzare la scelta democratica, no, mai. Infatti, dalla democrazia può nascere la dittatura, la "democratura" (così Predrag Matveievic definì il regime serbo di Milosevic), la dittatura della maggioranza, o di un singolo capo.
La democrazia più sana è quella che ha una cultura della propria fallibilità, della necessaria vigilanza su se stessa, della necessità di autocorrezione continua, perciò della più aperta discussione, senza mostri sacri. Solo così la democrazia approssima la verità nella convivenza umana. Perciò la mobilità e rivedibilità valgono più della stabilità. Perciò la cultura e l'informazione critica sono più preziose delle strategie di autoconferma e di compattezza dei partiti concorrenti al potere. Il giornalismo ha senso come critica del potere, non suo strumento o commento.
E' vero che ci sono esigenze pratiche di stabilità, continuità, governabilità, per l'azione politica sui problemi bisognosi di soluzioni costruttive, spesso complesse e lente nel tempo. E' vero. Ma vediamo che l'accento forte sulla governabilità è posto per lo più da chi tende ad appropriarsi della democrazia dando al proprio potere quell'aura di bene che - sempre relativamente - spetta più al metodo che al risultato della democrazia.
Nello stesso tempo, la mobilità, la discussione continua, la relatività delle posizioni, il primato del metodo sul risultato (Bobbio: concezione formale, e non sostanziale, della democrazia come semplici "regole del gioco"), non può essere a 360 gradi (come Bobbio stesso riconobbe), non può ammettere tutto: per esempio, non può partecipare al gioco delle decisioni chi intende distruggere il gioco. Infatti, il metodo stesso è un valore, perché consiste nel rispetto della vita umana, della ragione umana nel dialogo corretto, della tendenza nobile umana alla giustizia tramite la libertà. Il metodo è un valore perché e se cerca di affermare valori.
La democrazia come metodo è già un inizio (imperfetto, che può contraddirsi) di nonviolenza. E la nonviolenza (mezzi nonviolenti per fini nonviolenti; riduzione tendente a zero di ogni violenza: materiale, strutturale, culturale) è l'obiettivo maggiore della democrazia. La cultura e la politica democratiche hanno come valore di riferimento (idea regolativa, sempre trascendente i dati di fatto e la situazione raggiunta) un modello umano compiuto: la convivenza positiva delle differenze.
Questa pace positiva e plurale, nelle trasformazioni del mondo umano attuale, significa imparare a pensare, a volere, a praticare una realtà politica sempre più concreta (locale) e universale, che ormai consisterà, dovunque, in un popolo fatto di popoli, in una cultura fatta di culture, in una religione fatta di religioni, in un costume fatto di costumi, in una lingua fatta di lingue, in una legge comune fatta di leggi particolari. Il confronto e la critica, nella nuova prossimità, dovrà essere non condanna del diverso, non assolutizzazione delle identità, ma "fecondazione reciproca" delle diverse vie e volti dell'umanità. Non abbia paura, papa Ratzinger, che ciò debba precipitarci nel relativismo assoluto. Questa sua paura è utilizzata dalle paure identitarie inferocite fino al razzismo persecutorio. Se non riconosciamo la parte di verità, incompleta e criticabile, che è in ognuna delle vie umane, finiamo col credere di avere l'unica verità a cui gli altri devono piegarsi, con le buone o con le cattive.
Nella società plurale, sia locale che universale, la democrazia ha nuove possibilità e compiti, se sa riconoscersi come metodo del cammino umano alla verità umana, mai posseduta, sempre in irrinunciabile approssimazione.
Enrico Peyretti, 4 luglio 2008

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08 07 04 UMBERTO ECO DEMOCRAZIA IN PERICOLO
Lettera indirizzata da Umberto Eco a Furio Colombo, Paolo Flores d'Arcais e
Pancho Pardi, promotori della manifestazione in dfesa della democrazia che
si terra' l'8 luglio in piazza Navona a Roma.

Cari amici,
mentre esprimo la mia solidarietà per la vostra manifestazione, vorrei che essa servisse a ricordare a tutti due punti che si è sovente tentati di dimenticare:
1) Democrazia non significa che la maggioranza ha ragione. Significa che la maggioranza ha il diritto di governare.
2) Democrazia non significa pertanto che la minoranza ha torto. Significa che, mentre rispetta il governo della maggioranza, essa si esprime a voce alta ogni volta che pensa che la maggioranza abbia torto (o addirittura faccia cose contrarie alla legge, alla morale e ai principi stessi della
democrazia), e deve farlo sempre e con la massima energia perché questo è il mandato che ha ricevuto dai cittadini. Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia.
Umberto Eco
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