"Ti racconto la mia vita di fotografo di guerra"
Da dove sei partito nella tua carriera di fotoreporter?
Nel 1991 inizia l’attività di fotografo freelance collaborando con la redazione brindisina di “Quotidiano”.
Nel 1992 la sua collaborazione si estende a gran parte dei quotidiani nazionali. E’ testimone, con il suo lavoro, della migrazione del popolo Albanese sulle coste pugliesi. Ciò lo porterà successivamente ad occuparsi delle varie ondate migratorie e dei disordini in Albania e, più ampiamente, delle vicissitudini della ex Yugoslavia fino al conflitto con la NATO nel 1999.
Nel 1997 inizia la sua collaborazione con l’agenzia internazionale Associated Press. Nello stesso anno diventa giornalista pubblicista.
Lavora per tre mesi in Portogallo coprendo per la AP l’esibizione internazionale “EXPO 98” di Lisbona. Al suo ritorno, entra definitivamente nello staff di Associated Press in qualità di editor e fotografo nella sede di Roma.
Dal 1998, in qualita di “staffer” della redazione romana dell’agenzia “Associated Press” comincia a seguire le attività di Papa Giovanni Paolo II in Vaticano e in tutte le visite extraterritoriali.
Nel 1999 copre il conflitto nei Balcani lavorando in Montenegro durante i primi
raid aerei e in Kosovo dopo l’ingresso delle truppe NATO.
Nel 2000 lavora in Africa occupandosi della guerra tra Etiopia ed Eritrea. Fotografa
la presa della città di Zalambassa, una svolta decisiva nel conflitto del Corno d’Africa.
Nel 2001 ritorna in Medio Oriente coprendo per vari mesi i disordini nella Striscia
di Gaza, in Cisgiordania e gli attacchi esplosivi in Israele .
Nel 2002 continua il suo lavoro in Medio Oriente.
Rientra in Italia per diventare giornalista professionista. Copre il vertice Nato a Pratica di Mare, quello FAO a Roma, quello dell’European Social Forum a Firenze e il vertice dei leader dell’Unione Europea a Siviglia, in Spagna.
Nel 2003 lavora ripetutamente in Medio Oriente a seguito dell’acuirsi del conflitto israelo-palestinese.
E’ in Iraq durante l’ attacco alla base Maestrale a Nassiriya. Per un mese segue tutti gli avvenimenti conseguenti all’attentato.
Nel 2004 lavora in Iraq, in Israele e copre gli scontri tra la comunità serba e quella albanese in Kossovo.
Nel 2005 copre le ultime fasi del pontificato di Giovanni Paolo II, la sua morte e le elezioni di Benedetto XVI. Inizia quindi a seguire i viaggi del nuovo pontefice.
Rientra in Israele e nella striscia di Gaza per coprire il ritiro degli israeliani dalle colonie nella striscia di Gaza
Nel 2006 lavora in Turchia, al confine nord-orientale con l’Iran, sugli effetti mortali dell’influenza aviaria.
Rientra in Israele per lavorare al confine con il Libano durante la guerra tra Israele ed Hezbollah.
Nel 2007 segue l’attività del Santo Padre in Vaticano ed in vari visite al di fuori dello Stato Pontificio.
Copre gli scontri a Roma in occasione della vista del presidente Gorge W. Bush.
Il suo lavoro, attraverso il circuito dell’agenzia Associated Press, è stato pubblicato nelle principali testate mondiali.
Realizza la sua prima mostra fotografica a Brindisi nel 1992, “Desert Forms” a seguito di una spedizione paleontologica nel deserto del Sahara.
Da allora ha organizzato, e partecipato a molte mostre fotografiche in Italia ed all’estero.
Nel 1998 pubblica il libro fotografico “Patà”, a seguito di un lavoro sulle case famiglia di Matera, Pomarico, Tricarico e Grassano, e di "Libera-Mente", una mostra allestita ed inaugurata dagli stessi
ospiti delle case famiglia nella piazza centrale di Matera.
Nel 1998 partecipa alla realizzazione del cd-rom: “Un Pianeta in Movimento”,sulle migrazioni dei popoli, al quale hanno lavorato i più conosciuti fotografi italiani.
Nel 2003 partecipa al libro fotografico “Giovanni Paolo II” costituito dalle migliori immagini dei fotografi accreditati al Vaticano in occasione dei 25 anni del pontificato.
Nel 2006 le sue foto sono inserite nel libro “Iraq: A War”, una raccolta della migliori immagini dei fotografi di Associated Press che hanno lavorato nel conflitto.
Nel 2002 viene premiato dalla NPPA (National Press Photographers Association) negli USA per il suo lavoro sull’eruzione dell’ Etna nel 2001.Lo stesso lavoro viene segnalato dalla rivista TIME che include il suo servizio tra le “Foto dell’anno 2001”.
Vince nel 2007 il premio APME (Associated Press Managing Editors) nella categoria News Photography. Il premio, nato negli anni Trenta, riconosce l’eccellenza nel giornalismo tra i fotografi dell’Associated Press ed è assegnato annualmente da un’associazione di giornalisti appartenenti a oltre 1.500 giornali membri dell’agenzia AP negli USA e in Canada.
Nel 2007 è finalista al PREMIO PULITZER, il più prestigioso riconoscimento assegnato dalla Columbia University a giornalisti e fotoreporter distintisi nei vari settori dell’informazione a livello internazionale.
Ha svolto cicli di lezioni e seminari sulla Fotografia giornalistica e sul Giornalismo in guerra in diversi centri di formazione giornalistica e presso la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia, la Scuola di specializzazione in Giornalismo Luiss Guido Carli, la Libera Università Maria SS. Assunta (LUMSA) e l’Università degli studi di Udine e in altri centri di formazione giornalistica Italiani.
Fa parte del corpo docente del master di “Giornalismo Internazionale” presso il Centro Studi Americani di Roma e del corso in “Geopolitica e Relazioni Internazionali” del Centro studi Geopolitica.info di Roma.
E’ docente presso il corso delle Nazioni Unite di Fotogiornalismo dedicato allo staff internazionale e palestinese operante in Medio Oriente presso le sedi UNWRA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East).
Sono di Brindisi. Da Brindisi ho iniziato a lavorare con la Reuters, poi con l'Associated Press e poi da Roma ho cominciato a viaggiare in tutto il mondo. Ho sofferto molto il fatto di essere in una piccola città come Brindisi e anche un po' isolata. Quando volevo diventare fotografo non sapevo chi poteva darmi delle indicazioni, chi mi poteva insegnare questo lavoro.
Come hai cominciato a lavorare per l’Associated Press?
Con l’Associated Press ho iniziato a lavorare in zone di guerra. Sono stato prima in Kossovo, poi in Israele, in Palestina, in Libano, in Siria, in Etiopia, dal 1998 ho viaggiato in molte zone di guerra. Se lavori bene, fai un sacco di cose.
Mi parli delle tue esperienze didattiche?
Sì. Quando ho iniziato a vincere dei premi e ad essere conosciuto e ho cominciato ad essere invitato in vari centri universitari, a Roma, ma anche alle Nazioni Unite ho tenuto un corso di fotogiornalismo per l’ONU, in Siria. Non mi sono mai dimenticato della mia città e della Puglia, perché non voglio che ci siano ragazzi che abbiano i problemi di isolamento che ho avuto io. Però quando ho iniziato ad insegnare in Italia e all'estero ho pensato di rientrare a Brindisi e di tenere un corso di fotogiornalismo gratuito.
Ti tieni in contatto anche con hobbisti?
Certamente. Ancora adesso sono in contatto con gli hobbisti e i fotoamatori di Brindisi, ma anche a Taranto e mi piace molto insegnare, perché insegno quello che avrei voluto sentire io, che invece sono autodidatta. Ho avuto bisogno di imparare tantissime cose e non ho avuto mai la possibilità di avere a disposizione delle persone esperte che mi spiegassero il mestiere, perché non sapevo nemmeno dove cercarle e come e dove trovarle. E quindi quando posso tengo tanti incontri, seminari, discussioni, e collaboro con vari centri universitari per insegnare fotogiornalismo in zone di guerra.
Fai corsi di fotografia anche ai bambini: perché?
Ho tenuto anche corsi alle scuole elementari. I bambini hanno un’attenzione particolare. In più adesso con le macchine che garantiscono di fotografare bene anche se non conosci la tecnica, puoi vedere le cose particolari e interessanti con la fotografia che è uno strumento per conoscere la gente.
Mi parli della guerra?
Inconsciamente quando ci si trova in un teatro di guerra, si pensa personalmente di non prendere parte al conflitto e quindi di essere più al sicuro. Quindi da una parte c'è una sensazione incosciente. Pensi di essere al sicuro. Se riesci a scattare una fotografia che spiega quello che sta succedendo, ci sono milioni di persone che la vedono e capiscono cosa sta succedendo e questo non è poco. Ha un valore. E’ importante fotografare. La gente si rende conto che quello che succede attraverso le immagini, le fotografie è la realtà e non ti puoi fidare solo dei militari che dicono la guerra. Se ci sono due parti in guerra è ovvio che ognuno dirà la sua opinione dei fatti, mentre la fotografia rappresenta la realtà. Il sistema migliore per capire quello che sta succedendo è andare sul posto e vedere cosa sta accadendo veramente.
Cos’è la guerra?
Quando stai sul posto, non ti rendi conto della guerra. La guerra è fatta di persone. Quando la vedi da lontano è diversa. Quando ci stai dentro è vero, è la realtà che ci sono persone che stanno sparando, altre che rischiano di morire… Ho visto gente che è morta a fianco a me, ho dovuto camminare su pezzi di cadavere, però è una cosa molto più a portata di uomo rispetto a quanto viene visto in televisione. Tu la vivi personalmente in modo diverso da quello che senti dire della guerra e che vedi in televisione. La guerra è fatta di persone, è fatta dagli uomini, dal soldato arrabbiato perché la ragazza non lo sta chiamando e semmai spara di più e semmai non ti fa passare. Questa è la guerra: è una cosa umana, è fatta di uomini, è fatta di persone. Quando sono stato in Israele c'era un accerchiamento in un campo profughi, un campo di palestinesi…i soldati israeliani non facevano passare nessuno perché c'erano delle manovre militari in corso e non volevano nessuno a vedere quello che succedeva. Quando ci sono queste operazioni militari, per vari motivi, per andare a prendere dei palestinesi che hanno fatto degli attentati, se c'è un blocco, non passa nessuno. Personalmente sono sempre passato perché mi chiedevano del calcio, dei giocatori di calcio e di Totti, perché i soldati guardano il calcio in televisione e poi ti parlano di quanto sono belle le ragazze italiane e parlano del cinema, dei film e poi di nuovo del calcio. Dopo che sei stato mezz'ora a parlare di calcio con un soldato che ha venti o venticinque anni e a un certo punto gli chiedi di passare, il soldato non spara a uno con cui ha parlato di donne italiane e di calcio. In guerra tutto è più umano. Le convenzioni di Ginevra sanciscono i diritti dei giornalisti, ma se quel giorno il soldato ha litigato con la propria ragazza, non gli importa nulla delle convenzioni di Ginevra e non ti fa passare. Se passi è magari perché sei stato mezz'ora parlare di calcio e di donne. E poi ci pensi. Ma questa è guerra? Sì anche queste è guerra. Proprio questa è la guerra.
Di cosa ti sei occupato in questi giorni?
Mi sono occupato del G8. Noi in ufficio abbiamo fatto dei piani. Come per tutti gli avvenimenti importanti, le agenzie fotografiche e di notizie organizzano strutture costituite da persone che coprono diverse aree. Per cui ci siamo organizzati come coprire la zona di L’Aquila, chi si sarebbe occupato della parte ufficiale, degli incontri, degli eventi e chi delle manifestazioni. Inoltre Obama probabilmente incontrerà il Papa. Quindi anche questo sarà un avvenimento importante.
Hai conosciuto il Papa?
Sì. Ho seguito molto Giovanni Paolo II e ho scritto un libro sugli ultimi dieci anni del Papa, il periodo in cui lui ha viaggiato molto e ho seguito anche la sua malattia.
So che recentemente hai fatto un corso di sopravvivenza per inviati di guerra: come è andata?
È stato molto interessante. Non è il primo. Si è tenuto vicino a Londra ed è tenuto da un gruppo di tecnici della SAS e sono i corrispondenti dei marines americani e praticamente hanno avuto l'idea di creare un corso per i giornalisti che vanno in zone di guerra ed è utilissimo perché quando ti trovi in un teatro di guerra devi conoscere alcune regole. Le regole dei professionisti che ci stanno lavorando e che sono i militari. La cosa migliore è essere preparati prima di arrivare in una zona di guerra. Con questo tu non vai lì e diventi mortale e diventi un Rambo, però ne sai di più e riesci a capire prima quando la situazione diventa molto pericolosa e quindi non è proprio il caso di rimanere. In quelle zone esiste chi c'è nato e quindi per forza di cose si trova a rischiare la vita perché il suo paese e in guerra o è vittima di una guerra.
Cosa hai imparato dal corso di sopravvivenza?
C'è chi si reca in zone di guerra per fare la guerra, ossia i militari, e rischia la vita e c'è chi va in zone di guerra per vedere cosa sta succedendo ed è proprio il mio caso. Però penso sia proprio importante il mio ruolo di fotografo, altrimenti non si potrebbe sapere cosa succede davvero. Non puoi fidarti totalmente di quello che viene detto dai militari e poi da quale delle due parti che stanno facendo la guerra. Quindi la cosa migliore è andare a vedere che cosa sta succedendo e qualcuno ci deve andare. Ogni tanto tocca a me. Questo corso di sopravvivenza mi ha aiutato molto perché mi ha fatto sperimentare esercitazioni di pronto soccorso e di pronto intervento, in cui vedi come devi reagire se una mina ti trancia una mano o una gamba. La grande differenza tra essere in una zona di guerra ed essere in città o in qualunque altro posto civile è che se succede qualcosa è possibile chiamare l'autoambulanza e dopo cinque minuti arriva, arrivano i soccorsi. In una zona di guerra l'autoambulanza non arriva perché per esempio è rischioso e anche per motivi logistici. Quindi se hai un'emorragia rischi di morire se non riesci a capire cosa ti sta succedendo. Questo è solamente un aspetto. Altri aspetti consistono nel capire per esempio se ci sono delle mine e come comportarsi. Noi persone civili e non militari, non sappiamo come funziona una mina, non sappiamo come funziona un campo minato. Molte volte la cosa che sembra più spontanea non è la più giusta. Se qualcuno lancia una granata a cinque metri da te, la cosa più spontanea e quella di correre via e salvarsi. La mina quando esplode uccide chi si trova nel raggio di dieci metri. Se tu corri non hai speranza di farcela. Se invece di correre ti getti a terra, ti salvi, perché le schegge si aprono verso l'alto e non colpiscono la zona a contatto con il terreno. La cosa migliore quando ti esplode vicino una granata, non è correre, ma gettarsi e stendersi a terra. In certe altre situazioni invece è il caso di fuggire comunque.
Dove andrai prossimamente?
Questo lavoro influenza molto la vita, non ho orari precisi. Molte volte mi è successo di fare dei programmi e trovarmi il giorno dopo a cinquemila chilometri di distanza a fare tutt'altro. Ho sempre la valigia pronta per partire.
www.pierpaolocito.it
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