Perché si disimpara l'arte di fare domande?
Sono stato invitato pochi giorni fa ad un incontro nel Comune di Belo Horizonte, sulla esperienza di una scuola d’infanzia. Ero convinto che l’incontro fosse in municipio, ma invece risultava essere a decine di chilometri di distanza. Ho deciso allora di rinunciare alla riunione e di dedicarmi alla ormai rara “arte di girovagare per la città”, sbirciando fra le vetrine e curiosando nel piccoli negozi. Sono entrato in una minuscola bottega. Sembrava una biblioteca di strada. Poi mi sono reso conto che non era affatto una biblioteca, ma una libreria, un piccolo negozio di libri e dischi in vinile usati.
Non avendo più impegni mi sono dedicato a curiosare. Sono stato subito attratto dallo scaffale-settore di libri di pedagogia, e due di questi mi hanno chiamato. L’autore del primo è di A.S. Neill, il fondatore della famosa scuola democratica inglese di Summerhill. Il titolo è intrigante: DIARIO DI UN MAESTRO. In copertina una frase che ci indica il tema di fondo: Riflessioni di un educatore idealista intorno alle regole educative nate dalla burocrazia e che non tengono conto delle reali obiettivi della educazione”. Il secondo è di Paulo Freire e Antonio Faundez. Anche per questo sono attratto dal titolo: PER UNA PEDAGOGIA DELLA DOMANDA. Non è il classico testo accademico, ma la trascrizione di un lungo dialogo fra l’autore brasiliano noto per la cosiddetta Pedagogia degli Oppressi e un filosofo cileno esiliato in Europa ai tempi della dittatura di Pinochet. Un modo aperto di fare un libro, un “botta e risposta” realizzato nella consapevolezza che anche uno stile orale, leggero, affettivo è qualcosa di molto serio e rigoroso. Pedagogia della Domanda mi riporta a Daniele Novara, che negli anni scorsi, con i suoi scritti sulle “domande legittime e illegittime”, ci aveva introdotti sul tema dell’importanza del come si fanno domande.
Non mi sono ancora avventurato nella lettura dei due testi e subito vengo folgorato da una classe di bambini e bambine della scuola d’infanzia, con i quali mi trovo a condividere la visita un una delle affascinanti grotte dello stato del Minas Gerais. La guida illustra ai bambini la riproduzione identica di uno scheletro di un animale preistorico presente nella grotta: una via di mezzo fra un cavallo, un lama e una giraffa. La guida non ha ancora terminato la presentazione che una selva di mani si alza dai bimbi e dalle bimbe. E inizia una raffica di domande.
Curiosità…, perché…??, ma dove…??, e allora…??
Ripenso ad un anno fa quando andai in Repubblica Ceca con i ragazzi della Scuola Media per una settimana di gemellaggio. Il Preside della scuola ceca, che aveva presentato l’organizzazione e i progetti della scuola, chiese ai nostri ragazzi: “…e adesso fate voi delle domande!” La risposta fu “il silenzio più assoluto!”. Cosa succede nelle nostre scuole?? Perché i bimbi della materna sono pedagogicamente avanzati e sanno fare domande e man mano che si cresce si perde questa attitudine fondamentale all’apprendimento? Spesso nelle nostre scuole italiane è ancora in vigore la pratica didattica della “spiegazione”, “studio individuale” “interrogazione-interrogatorio”.
E nell’interrogatorio ci si vuol sentir ripetere ciò che precedentemente è stato raccontato. L’unica volta che nella mia carriera da Dirigente Scolastico ho assistito in diretta ad una lezione di un docente (e assicuro chi legge che è imbarazzante sia per il professore, sia per il preside!) mi sono ritrovato ad ascoltare, durante l’interrogazione, frasi del tipo “… ma è proprio questo che io ho detto quando vi spiegavo questo argomento?”. “… allora si vede che non sei stato attento: a cosa pensavi!”.
È forse questo educare alla creatività? Far crescere coscienze critiche?
Proviamo insieme a ripensare a quelle volte che per conoscere o sapere qualcosa, abbiamo domandato. La risposta di sicuro l’avremo incamerata e sarà diventata subito nostra! Motivazione, interesse, curiosità, tre molle importanti per apprendere.
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