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(commento al convegno ecclesiale "Il vangelo ci libera, non la legge", Firenze 6 febbraio 2010)

Da Firenze a Firenze

La natura conciliare della chiesa - Ci salva il vangelo della mosericordia, non la legge - La chiesa ha bisogno di mettersi in stato conciliare - Preoccuparsi di chi tace, non di chi parla - Chi ha sete di giustizia è figlio di Dio.
3 marzo 2010
Fonte: Adista, agenzia di stampa su mondo cattolico e realtà religiose, 27 febbraio 2010 - 03 marzo 2010

10 02 10 Dopo Firenze 2
(commento al convegno ecclesiale "Il vangelo ci libera, non la legge", Firenze 6 febbraio 2010)

(pubblicato su Adista n. 18, 27 febbraio 2010, p. 1, col titolo Da Firenze a Firenze. Indico [tra parentesi] le parole saltate o modificate)

[Che fare ora, dopo Firenze 2 ? Qual è il cammino?]
L’idea essenziale è che la chiesa è sinodale, comunionale, conciliare, lo è nell’eucarestia e in tutta la sua vita. La ecclesia è sinodo (= fare strada insieme,), per essere fedele e comunicare il vangelo che ha ricevuto. I laici vi stanno a pieno titolo, non senza, non contro, e non sotto l’ordine gerarchico. Oggi, nella realtà, complessità e movimento attraversano qualsiasi ordine.
Il messaggio di Dio in Gesù è che non ci salva la legge ma l’amore incondizionato di Dio per questa umanità, misera e grande. Ciò è motivo, per la chiesa autentica e umile, di gratitudine infinita, di speranza attiva, di servizio a tutti, di far primi gli ultimi, e di parola franca.
Abbiamo detto e ridetto che cosa la chiesa non è. La chiesa che siamo noi, ha da continuamente convertirsi al vangelo di Gesù, e viverlo nelle relazioni quotidiane, sia personali sia sociali. Può farlo attraverso mutamenti profondi e fedeli dalla chiesa di ieri a quella di domani. Oggi l’umanità corre rischi definitivi, ma il popolo cristiano è più adulto, c’e un dialogo tra le religioni e le spiritualità che può essere fecondo e salutare.
La chiesa ha bisogno di mettersi in stato conciliare. A cinquant’anni dalla grazia di Spirito santo ricevuta nel concilio Vaticano II, e non interamente custodita, la chiesa, in tutte le sue forme, ha bisogno di avviare un nuovo [intero] (non solo episcopale) processo conciliare: individuare le domande e gli appelli di Dio e del mondo, oggi; attingere alla fonte della luce rivelata, che cresce nell’ascolto, e a tutte le proprie capacità responsabili, per trovare le direttrici della propria ricerca e di una fraterna risposta al mondo e a Dio.
Ciò richiede un lavoro di anni (ma non troppi), sui problemi e sul metodo. Non occorre un'aula unica a Roma. I vescovi da soli non ce la fanno. Troppa parte dello scarso clero è occupata a tenere su in equilibrio pietra su pietra.
Parta da ogni luogo della universale ecumenica chiesa di Cristo, [che non ha confini evidenti,] [parta] questo cammino conciliare, libero e paritario, non ribelle alla tradizione, ma teso a quella che sarà la pienezza promessa. Circolino esperienze, riflessioni, domande, studi, incontri come questi “sinodi” fiorentini e simili, fino a raccogliere il lavoro di tutti, per rispondere di nuovo, e meglio, al “vangelo che abbiamo ricevuto”, nel quale siamo salvati in speranza.
*
Io non ho sentito così forte come altri dicono la tensione tra contestatori e costruttori. In Marco 7, Gesù rimprovera tradizioni, dottrine, precetti di uomini, in luogo del comandamento di Dio. Chi contesta ha dei buoni motivi. [La cosa più preoccupante, per tutti, devono essere] Ancor più devono preoccupare gli "arrabbiati" assenti, silenziosi, che hanno licenziato la chiesa dalla loro vita e dalla loro fede. Anche la chiesa ci perde, senza di loro. I vescovi si preoccupino di chi tace, più che di chi parla. Un vescovo ha da rallegrarsi e non turbarsi se nella sua chiesa alcuni laici adulti riflettono sul tipo di successore che dovrà avere.
E' vero che certa contestazione è condizionata da ciò che contesta. Contestazione e costruzione ci vogliono entrambe. Ognuno faccia la sua parte, che non è uguale per tutti.
La chiesa oggi riconosce che la sete di giustizia e di pace è anche di figli di Dio che non sanno di esserlo? Non sarà il caso di allietarli col dirglielo invece di rimproverarli perché non conoscono la dottrina [sociale] della chiesa?
Enrico Peyretti, 10 febbraio 2010

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