Per una politica salva-vita (recensione di "La politica perduta" di Marco Revelli)
Libri
Per una politica salva-vita
Marco Revelli, La politica perduta, Einaudi 2003, pp. 137, euro 7,00
Che cos’è la politica e cosa dev’essere oggi? È riunirsi tra umani conviventi per difendersi dal male. Ma dunque, come pensare il male? Per gli antichi era mistero (Giobbe, da cui Revelli prende le mosse, e a cui ritorna), ed era tragedia fatale. Per i moderni, da Machiavelli e Hobbes, che hanno determinato il carattere della politica fino ad oggi, il male è assunto come necessario strumento del potere: monopolio statale della violenza (Weber), male contro male, violenza-anti-violenza, guerra per respingere (o prevenire!) la guerra, pena (sofferenza legale) in cambio di offesa (sofferenza illegale). Fino a quando il meccanismo fallisce: è questo l’esito del Novecento. Stato di diritto, democrazia, diritti umani, sì, ma bomba atomica. Totalitarismi ideologici e totalitarismo atomico. La politica riproduce il male da cui doveva difenderci: disordine, violenza, paura. La guerra massimizzata si individualizza nell’attentatore sui-omicida, nuova super-arma invincibile, se non gli togli la motivazione. Nella società globale del rischio globale, il monopolio statale che vorrebbe limitare la violenza è tecnicamente impossibile. Ritorna l’ineguaglianza, massima. La democrazia è svuotata dai poteri economici fuori controllo. Si affrontano fondamentalismi opposti: islamista, cristianista (i neo-cons del messianismo armato di Bush), economicista, liberista. Ritorna Giobbe, ritorna il processo a Dio, dopo Auschwitz. Dio si perde, oppure si salva, indebolito. O ancora, rivela un’altra sua paradossale potenza mite, non l’onnipotenza che da lui pretendevamo, chiedendogli conto di non avere sradicato il male.
Così, dovremo "indebolire" la politica, muoverci verso un nuovo paradigma politico, dotato di un’altra potenza umana, non più basato sulla potenza difensiva-aggressiva, rivelatasi definitivamente pericolosa anzitutto per sé; un paradigma non più costruito sulla verticalità del potere, ma sulla orizzontalità della società "dal basso" (eco capitiniana). Una politica infra, non supra, fatta di responsabilità individuali e di sistemi relazionali, cooperativi, che prefigurano la nuova cittadinanza globale, l’"uomo planetario" collaborativo, discepolo della reciprocità (eco balducciana), dopo il vecchio "uomo delle tribù", competitivo fino alla piena distruttività. Una politica dei comportamenti quotidiani, dello stile di vita, del consumo critico contro il consumismo dissipativo della natura: "Si vota ogni giorno al mercato" (Zanotelli; Gesualdi). Una giustizia riconciliativa e ricostitutiva, in cui, più della punizione (male per male), valga la guarigione e ricostruzione della relazione nel reciproco riconoscimento (Desmond Tutu, Commissione Verità e Riconciliazione sudafricana) e, più della legalità positivistica statuale, valga l’inesauribile domanda ideale (v. il libro di Zagrebelsky e Martini).
Vedeva bene Hannah Arendt: la politica (e così la tecnica) che ha creato il pericolo totale è diventata incompatibile con la conservazione della vita, suo senso e scopo; il suo senso si è capovolto in insensatezza. La radice della politica perduta, da ritrovare, non è il potere su, ma il potere con, il potere insieme, per sapere sopravvivere, e poi vivere più umanamente. Oggi centinaia di migliaia di "nuovi politici" ritrovano questa politica, la ricostruiscono, la sperimentano, sul confine fra vecchia Tribù e Città planetaria: sanno che il disarmo, anche unilaterale, non è pazzia, che la nonviolenza non è resa ma lotta più profonda, che non è nella Tecnica la salvezza.
Falliranno? Costruiranno la "politica del futuro", condizione perché l’umanità abbia un futuro? Su questa soglia lavora Revelli, uno dei rari pensatori di politica umana, uomo della cultura moderna che si autoesamina spregiudicatamente, con volontà ricostruttiva, a differenza degli illusi ostinati pericolosi continuisti. Gli siamo grati e ci auguriamo che la sua ricerca prosegua, attingendo ancora di più all’esperienza storica e alla letteratura vasta, ma ancora emarginata, del pensiero nonviolento positivo.
Enrico Peyretti (17-2-04)
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