Distinzione fra forza e violenza
"Il foglio" n. 298, gennaio 2003, http://www.ilfoglio.org
1- Forza e Violenza, lungi dall’essere sinonimi, designano qualità ed azioni umane tra loro opposte. Però ci sono punti di contatto e di confusione, zone di sfumata sovrapposizione, nella realtà e specialmente nel linguaggio. Provo ad argomentare (in modo breve, iniziale) questa tesi, la Forza è l’opposto della Violenza, grato a chi vorrà valutare gli argomenti, criticarli, svilupparli.
La Forza costruisce, la Violenza distrugge. La Forza è vitale, la Violenza è mortale. La Forza è del malato, la Violenza della malattia
Possiamo dire che un amore è forte, e che un odio è violento. Non possiamo parlare di amore violento, di un amore che fa male all’amato, ma possiamo dire che un odio è forte.
La Violenza del male non intacca la Forza del bene, se questo è sufficientemente puro, tanto da essere forte e non debole. Infatti, un bene debole e scarso è contagiato dalla violenza del male. Così accade alla politica che continua a fare troppo affidamento sulla violenza e poco sulla forza umana.
La Forza non teme la Violenza. La Violenza teme la Forza.
La Forza è in sé buona. La Violenza non è mai buona.
2- La differenza tra le due realtà si vede bene nel fatto che un buon genitore o educatore può e talora deve usare la forza (psicologica, autorevole, punitiva, al limite moderatamente fisica…) per educare il bambino/adolescente, ma non può usare la violenza.
3- I due concetti sono spesso e facilmente sovrapposti, scambiati, eguagliati, ma la loro differenza è considerevole. L’equivoco linguistico è usato per nascondere la negatività della violenza sotto la positività della forza. Nelle espressioni: “forze armate”, “uso della forza” (titolo di un libro apertamente militare del generale Carlo Jean, Laterza 1996) la parola forza è usata come eufemismo ingannevole per mascherare e rendere rispettabile e onorata la violenza omicida di massa organizzata, quale è l’azione militare nella sua essenza.
Occorre ripulire ognuno dei due concetti dalle contaminazioni dell’altro.
La distinzione è chiara in Gandhi: la “forza della verità” (satyagraha, forza dell’attenersi alla verità, continuamente ricercata, mai posseduta infallibilmente) è nonviolenza attiva, lotta senza violenza, forza alternativa alla violenza, mezzo efficace per combattere la violenza. La nonviolenza è forza perché è cammino di fuoruscita dalla debolezza della violenza.
4- La polizia è forza, la guerra è violenza. La differenza riguarda l’etica e le finalità delle due azioni (cfr. nel mio libro Per perdere la guerra, Beppe Grande editore, Torino 1999, il capitolo La polizia non è la guerra, pp. 39-41). La distinzione è necessaria per evitare sia un assolutismo nonviolento (così Giuliano Pontara chiama l’esclusione di qualunque uso di forza contro le violenze; vedi il suo ragionamento in Introduzione a Antigone o Creonte. Etica e politica nell’era atomica, Ed. Riuniti, Roma 1990, pp. XII-XIV, e La personalità nonviolenta, Ed. Gruppo Abele, Torino, 1996, pp. 42-48), sia il diffuso malinteso che (talora con malafede) considera la nonviolenza come una non-azione, una passività, sia soprattutto l’inganno verbale che chiama polizia ciò che è guerra. Attualmente, la potente propaganda imperiale diffonde una voluta confusione tra la forza dell’Onu e la violenza della guerra, e la gran parte dei commentatori cade o vuole cadere nel micidiale equivoco: si veda, contro tale confusione, l’articolo di Luigi Ferrajoli, di grande lucidità concettuale e precisione giuridica, Perché l’Onu non può promuovere né autorizzare la guerra all’Iraq (in La rivista del manifesto, n. 34, dicembre 2002; posso inviare l’articolo per e-mail a chi me lo chiede).
5- La forza può essere fisica, materiale, morale.
La forza fisica è un puro mezzo personale, ambiguo: può sollevare e può abbattere. Jean Valjean la usa per sollevare. Il suo valore e significato dipende tutto dallo scopo per cui questa forza è impiegata. Si può usare la forza fisica come violenza, ma di per sé essa non è violenza. Un gigante può essere malvagio o buono, certo non è violento per il solo fatto di essere grande e forte. Non c’è merito di chi ha la forza fisica (salvo averla mantenuta ed accresciuta curando la salute), né demerito di chi non ce l’ha (salvo aver trascurato o danneggiato la salute).
6- La forza materiale è estrinseca alla persona, posticcia: è lo strumento, l’arma, il denaro. Essa stabilisce tra le persone diseguaglianze tutte esteriori, aggiunte. La forza materiale è pericolosa anzitutto per chi la possiede, perché lo illude di essere forte o ricco per qualità propria, specialmente se questi l’ha conquistata, se l’è presa, ma anche se l’ha onestamente guadagnata. In ogni caso l’uomo non è ciò che possiede: «Anche se uno è molto ricco, la sua vita non consiste nei suoi beni» (Luca, 12, 15). Tutte le sapienze umane mostrano la fragilità della ricchezza, canna bella ma fessa, a cui non conviene appoggiarsi, «miseria brillante» (Kant). Limitandomi alla sapienza biblica, segnalo solo qualche idea: la ricchezza tenuta per sé è un padrone (Luca 16,13), è tristezza (Luca 18,23), è una violenza: «C’è pace tra la iena e il cane? E c’è pace tra il ricco e il povero? I leoni nel deserto vanno a caccia di onagri, così i poveri sono il pascolo dei ricchi» (Siracide 13, 18-19).
La forza materiale è un peso sulla persona, la tiene in basso come una zavorra, mentre crede di essere in alto, sopra gli altri; facilmente ne corrompe la mente e l’animo; la lega impedendole i mutamenti esistenziali; la induce ad approfittarne nella prevaricazione e nella violenza: «Chi ha un martello in mano scambia il mondo per un chiodo» (proverbio americano).
7- C’è un tipo di forza materiale che esercita di per sé stessa una violenza, anche tacita: è la forza terribile contenuta nelle armi, strumenti studiati solo per ferire ed uccidere. L’arma in mano dice, non necessariamente ma presumibilmente, la volontà di usarla, dunque è di per sé una forza minacciosa, incute paura, fa soffrire, riduce in soggezione: la sola presenza dell’arma è violenza.
Per questi motivi, gli armamenti degli stati, spropositati e già in sé distruttivi del bene comune, sono minaccia grave, violazione della giustizia e della pace, corruzione della vita civile, pericolo e offesa alla vita di tutti e non assolutamente difesa di alcunché.
L’esempio ora fatto è indicativo dell’esistenza di zone sfumate tra le due realtà opposte di cui parliamo. L’arma in mano al poliziotto sicuramente corretto è segno di forza protettiva (anche se è triste constatarne la necessità), non di violenza. L’arma in mano allo sconosciuto, di cui non conosciamo le intenzioni, è sentita come minaccia, dunque è violenza. L’arma in mano a san Francesco non fa nessuna paura: sappiamo che non minaccia nessuno, forse la distruggerà. Sirio Politi, fortissimo nonviolento (fu presidente del Mir), teneva appesa al muro, nella piccola casa nel porto di Viareggio, una pistola saldata ad una piastra, come quadro della violenza neutralizzata, inchiodata. C’è un crinale, spesso sottile come una lama, dal quale si può passare alla forza della vita, oppure alla violenza della morte. A proposito di lama: ciò si vede classicamente in uno strumento come il coltello da cucina, che può quotidianamente amministrare il cibo della vita o tragicamente tagliare il filo della vita.
8- La forza morale è qualità umana positiva e preziosa, intrinseca alla persona; è risultato di educazione, volontà, esperienza, e di spirito ricevuto dall’alto; si sviluppa se messa alla prova. È la virtù classica della fortezza.
In generale, la forza solleva pesi materiali e morali; regge la fatica materiale e morale; sopporta il dolore materiale e morale. In particolare, la forza morale mantiene o ritrova serenità interiore nell’amarezza dell’offesa e di fronte allo spettacolo disperante del male; è tenace nonostante le delusioni; «trasforma il dolore in forza» come dice Nadia Neri di Etty Hillesum (in Un’estrema compassione, Bruno Mondadori, 1999).
La forza morale resiste alla violenza patita (mai passivamente subita, che sarebbe complicità) e alle seduzioni della violenza, che invitano a riprodurla.
La violenza non vince mai sulla forza morale, anzi la stimola e la accresce, anche quando sopprime il resistente. Il martire è testimone di questa forza, che passa e prosegue in coloro che vedono la sua azione e passione.
9- C’è una falsa forza, che sembra ma non è forza, ed esercita violenza almeno strutturale, statica: è questa la potenza (non nel senso aristotelico di capacità, “potere di”, ma in quello di dominio, “potere su”). Ne scrive bene un filosofo:
«In generale, la reazione più probabile [all’angoscia da impotenza] è quella di cercare un riscatto nella potenza facendone un idolo, venerato in qualcuna delle sue molteplici forme (potenza fisica, militare, politica, economica, religiosa, ecc.). Ma, a sua volta, la potenza, che si esplica essenzialmente nella capacità di prendere e realizzare decisioni sacrificali a carico degli altri, non ammette la libertà, l’incontro con l’altro, con il bene o con la verità, perché, nella sua essenza, è la coazione a dominare. Per la potenza ogni alterità è solo un oggetto di dominio. Ma quelli che derivano dalla potenza sono atti di angoscia, non di libertà. Atti proiettivi e in qualche modo deliranti, incapaci di riconoscere la realtà. Anche per questo la potenza non può contare, a ben vedere, sulla durata temporale di cui sono capaci le scelte. Per quanto s’impongano in un dato periodo, gli imperi, che sono la forma eminente della potenza storica, sono tutti accomunati dall’assoggettamento a una legge inesorabile: gli imperi crollano. La potenza manifesta, prima o poi, la radice non elaborata di impotenza da cui proviene. È fragilità ripudiata e tramutata in arroganza». Così scrive Roberto Mancini, filosofo, in Il silenzio, via verso la vita (ed. Qiqaion, Bose 2002, p. 148).
10- La parola è forza tipicamente umana e può essere arma violenta, quando è calunnia, menzogna, come avverte il proverbio: «Ne uccide più la lingua che la spada». Ma può bene essere forza di verità disarmata, che smaschera e denuncia le falsità, che indica la via giusta, che fa avanzare la verità con la sua forza inerme, inoffensiva, ma fortemente incisiva sulla realtà: infatti, la parola che contiene verità modifica le cose come sono conducendole verso la loro verità. In questo caso la parola è Forza contro Violenza: «dire la verità al potere» è, per Gandhi, un compito del combattente nonviolento.
11- La violenza toglie la forza della vita organica, nel violentato ma anche nel violento. Essa riduce la vittima vivente a cosa morta. Anche i buoni strumenti della vita - case, scuole, fabbriche, strade, ponti, ecc. - sotto i colpi della violenza diventano scheletri morti, spaventosi monumenti alla morte. Le case sventrate da bombe e fuoco, perduti i vivi abitanti, esibiscono vuote orbite di teschio. Ma anche il violento muore nell’uccidere. Dice Simone Weil: «Si maneggi la forza [qui nel significato di violenza] o se ne sia feriti, in ogni modo il suo contatto pietrifica e trasforma un uomo in cosa» (in La Grecia e le intuizioni precristiane, 1939). Sarà per questo che la pena di morte non riduce affatto i delitti di sangue, perché chi uccide è già pietra morta, forse cerca conferma nella mannaia. Ma bisognerà aggiungere che la pietra umana, come le ossa nella visione di Ezechiele (cap. 37), può riprendere vita, perché lo spirito soffia dove vuole, anche dentro l’uomo moralmente morto.
12- La violenza è vile, cioè debole, perché sceglie di colpire i più deboli, più disarmati, non avvertiti, e strategicamente non affronta i più forti fisicamente o materialmente.
La violenza che si eleva a giustizia contro altra violenza condannata come ingiusta, è debolezza, subordinazione mentale, ripetizione, mancanza di iniziativa innovatrice. È l’errore logico, fino a questo momento, della concezione militare, che caratterizza larghissimamente (non totalmente) la politica ed anche il diritto penale e il potere giudiziario. È l’illusione madornale di combattere il male con altro male, con l’effetto di confermarlo e stabilirlo come metodo principe di azione.
13- La nonviolenza è forza, è lotta. Sviluppata e organizzata in metodi studiati e sperimentati, sostenuti dall’unità morale dei lottatori, essa può arrestare la violenza. La nonviolenza è la rivoluzione storica del nostro tempo, perciò contrastata in ogni modo, perché è il passaggio dalla civiltà della Violenza alla civiltà della Forza. Aldo Capitini: «La nonviolenza è il varco attuale della storia». Nella violenza, la storia è chiusa.
regis@arpnet.it ; http://www.arpnet.it/regis
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