Il movimento per la pace, contro le guerre e il nucleare in Sicilia
Comiso, comune della provincia di Ragusa, a sud-est dell’isola, fu prescelto all’inizio degli anni ‘80 per divenire la sede d’installazione dei missili nucleari Cruise previsti dal piano di sviluppo dei sistemi d’arma nucleari a medio raggio dell’Alleanza atlantica. La posizione strategica della Sicilia nel cuore del Mediterraneo esaltava la proiezione “aggressiva-dissuasiva” dei missili Cruise in un’area geografica che dall’Africa si estendeva sino al Medio oriente. Le scelte di militarizzazione e nuclearizzione dell’isola generarono le immediate proteste di buona parte della popolazione, delle forze politiche della sinistra e del mondo associativo-culturale. A Comiso giunsero donne e uomini da tutta Europa e dal nord America per unirsi alla lotta popolare per la pace e il disarmo e la cittadina divenne uno degli epicentri della protesta internazionale contro la follia dell’olocausto nucleare. Furono organizzate storiche manifestazioni di massa “No Cruise” in tutta la Sicilia, nel resto del territorio nazionale, in Giappone, negli Stati Uniti e in alcuni Paesi dell’Est europeo. Non mancarono le azioni dirette non-violente di blocco dei lavori di costruzione della nuova base Nato, alcune delle quali represse con inaudita violenza dalle forze dell’ordine (l’8 agosto 1983, ad esempio, con centinaia di feriti e decine di arresti di manifestanti). Le straordinarie mobilitazioni non impedirono l’arrivo e l’installazione dei missili nucleari. Dal 1984 sino al 1990 le rampe mobili dei Cruise si spostarono nelle strade e nelle campagne della Sicilia sud-orientale, ma è da più parti riconosciuto che fu proprio la pressione esercitata dalle campagne antinucleari in Europa, all’Est come all’Ovest, e negli Stati Uniti d’America, a costringere le due superpotenze a trattare in vista dello smantellamento delle armi nucleari a medio raggio nel continente europeo.
Il grande movimento pacifista dei primi anni ‘80 era composto da una pluralità di soggetti politici e sociali, comitati di base, militanti dei partiti della sinistra storica e della nuova sinistra, comunità cristiane, antimilitaristi, nonviolenti, femministe, anarchici, ambientalisti, ecc.. La stagione di lotta contro i missili nucleari assunse caratteristiche specifiche ed originali. Da una parte permise la conoscenza a livello internazionale delle stridenti contraddizioni sociali esistenti in Sicilia ma contestualmente della ricchezza di fermenti culturali, idealità e vitalità che le classi dominanti avevano tentato di rendere invisibili e di contrarrestare attraverso la militarizzazione del territorio. Dall’altra, il movimento pacifista ed antinucleare del tempo si caratterizzò come il primo dei grandi soggetti realmente autonomi e di valenza globale che si sarebbero successivamente affermati sulla scena politica tra la fine del XX secolo e l’inizio del terzo millennio. L’interscambio di esperienze, l’accettazione delle differenze, il superamento di divisioni e frammentazioni dell’arcipelago no-nuke e no-war, il confronto e la dialettica tra realtà sociali, ideologiche e culturali sino ad allora divise e/o contrapposte, le analisi e l’impegno etico-politico maturato in quegli anni, contribuirono enormemente allo sviluppo dei movimenti sociali e culturali italiani e internazionali protagonisti delle future lotte per la difesa della pace e per il disarmo, contro la criminalità organizzata, per la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse del territorio, in solidarietà con i popoli oppressi dalle ingiustizie, dal sottosviluppo, dalla fame. L’eredità di quella stagione è stata indubbiamente importantissima. I contenuti, le forme di comunicazione e le pratiche di lotta di allora sarebbero poi divenuti patrimonio dei successivi movimenti contro la globalizzazione dell’economia e/o altermondisti ed il nuovo ordine internazionale di matrice neoliberista.
La seconda base siciliana, anch’essa nota al grande pubblico, è quella di Sigonella, una delle maggiori installazioni a livello internazionale della marina militare USA, oggi al centro di un vasto programma di ampliamento delle funzioni, delle infrastrutture e dei sistemi d’arma ospitati. Le prime campagne e mobilitazioni contro la base situata nella piana di Catania risalgono, come per Comiso, ai primi anni ’80, con l’arrivo delle prime batterie dei missili nucleari Cruise in Sicilia (dicembre 1983), installati inizialmente proprio a Sigonella nell’attesa del completamento dei lavori nell’aeroporto della cittadina ragusana. In quell’occasione una catena umana di 23 km collegò Sigonella alla città di Catania, secondo capoluogo di provincia dell’isola come numero di abitanti. L’importanza strategica di Sigonella per le operazioni statunitensi nel Mediterraneo e in Medio oriente divenne ancora più evidente a metà anni ’80 in occasione del conflitto USA–Libia e del sequestro della nave Achille Lauro” da parte di un commando palestinese, i cui componenti, arrestati, furono condotti in violazione del diritto internazionale proprio a Sigonella. Da allora in poi, in tutte le occasioni in cui si sono riproposti eventi bellici che hanno visto protagonisti le forze militari USA e Nato, il movimento no war siciliano è stato in grado di indire manifestazioni, sit-in, cortei e presidi di fronte i cancelli principali della base. Tra le iniziative di più ampio successo quelle tenutesi in occasione dello scoppio della prima guerra del Golfo (1991), dei bombardamenti alleati in Serbia e Montenegro con il conflitto in Kosovo (1998), alla vigilia dell’attacco USA in Afghanistan (2001) e, il 23 marzo 2003, con la seconda guerra in Iraq. Come ha sottolineato il professore Gianni Piazza, docente di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Catania, quella del 23 marzo è stata indubbiamente “la più grande manifestazione a Sigonella con circa 20.000 partecipanti, il primo ed unico caso in cui la partecipazione alle proteste davanti alla base va oltre quella degli attivisti di partiti di sinistra, sindacati, centri sociali, associazioni e gruppi pacifisti e antimilitaristi, coinvolgendo la popolazione siciliana”. In occasione della manifestazione contro la guerra in Iraq, alcuni studiosi e intellettuali siciliani lanciarono la proposta di smilitarizzazione e riconversione ad uso civile della base militare per costituire al centro del Mediterraneo un complesso aereo-portuale da integrare allo scalo di Catania Fontanarossa. Nacque il Comitato per la smilitarizzazione di Sigonella, poi trasformatosi in Campagna per la smilitarizzazione, per privilegiare l’adesione individuale e un assetto organizzativo meno rigido e più reticolare. Nonostante la puntuale denuncia dei piani di riarmo della base e del processo di militarizzazione dell’isola e le numerose iniziative di controinformazione anche in ambito universitario (grazie ai contributi dello stesso professore Piazza e della sociologa Nella Ginatempo, docente dell’Università di Messina), le iniziative prodotte negli ultimi 5-6 anni hanno visto la partecipazione dei soli attivisti “storici”, dei centri sociali e dei militanti della sinistra radicale, con uno scarso coinvolgimento delle popolazioni locali. Ciò è avvenuto anche quando al centro delle mobilitazioni ci sono stati temi con un impatto più diretto ed evidente sul territorio e sull’ambiente, come è accaduto ad esempio durante la campagna lanciata congiuntamente ad alcune associazioni di Lentini (Siracusa) contro il ventilato progetto di costruzione di un residence per i militari USA di Sigonella in una vasta area agricola sottoposta a vincolo paesaggistico e archeologico.
Gianni Piazza ritiene che le difficoltà di coinvolgimento e mobilitazione della popolazione locale possono essere spiegate, sulla debole “densità di capitale sociale” in regioni come la Sicilia e il Meridione d’Italia “nonché ad una maggiore propensione all’individualismo (familiare)”. A ciò si aggiunge l’“invisibilità” di cui gode, per alcuni versi, la grande base militare siciliana, in parte per una sua localizzazione periferica dai grandi e medi centri urbani, in parte per la volontaria opera di occultamento delle sue funzioni belliche e degli ordigni di morte ospitati, da parte dei media e degli opinion leader locali e nazionali. Infine, sempre il professore Piazza segnala l’inesistenza nell’isola di potenziali alleati dei no war “dotati di legittimità istituzionale e di canali di accesso al sistema politico decisionali”. “A Sigonella queste condizioni causali non si sono mai verificate – spiega Gianni Piazza - soprattutto perché, nonostante la partecipazione degli attivisti e il loro lavoro di controinformazione, la popolazione residente nell’area non ha mai percepito il pericolo – e tuttora sembra non percepire – del danno eventuale che la base potrebbe arrecare alla propria salute, alla propria sicurezza, alla propria qualità della vita”.
Un maggiore attivismo da parte della popolazione locale, perlomeno nella fase iniziale della mobilitazione, si è invece registrato durante le proteste contro l’installazione di uno dei quattro terminal terrestri del nuovo sistema di telecomunicazione satellitare MUOS delle forze armate statunitensi a Niscemi (Caltanissetta), all’interno di una riserva naturale. L’infrastruttura funzionerà emettendo microonde dal devastante impatto ambientale, e i giustificati timori dei cittadini hanno costretto gli amministratori dei comuni di tre province siciliane a schierarsi apertamente contro il MUOS. L’“istituzionalizzazione” della lotta ha però paradossalmente indebolito la tenuta del fronte del “no”. Adesso che sono stati avviati i lavori della nuova base, il movimento avverte grosse difficoltà per riprendere le iniziative di opposizione.
Pur condividendo pienamente le conclusioni a cui è giunto il professore Piazza, nel caso più specificatamente siciliano credo però che vada aggiunta un’analisi sul ruolo di “aperta” collaborazione che le élite politiche-economiche e sociali dell’isola hanno assicurato in tutti questi anni ai piani di riarmo e di ampliamento di Sigonella e delle altre basi USA e Nato in Sicilia. La militarizzazione ha avuto una duplice funzione: il rafforzamento del controllo sociale, anti-democratico ed anti-popolare; un flusso-distribuzione di risorse finanziarie a favore del blocco politico-economico-istituzionale che governa l’isola ed esercita contemporaneamente il monopolio nel controllo delle testate della carta stampata e radiotelevisive. Si può allora comprendere le ragioni della fitta nebbia creata per rendere “invisibili” i pericoli di Sigonella, quelli vecchi come la presenza e il transito di ordigni nucleari, chimici e batteriologici, quelli nuovi per la sicurezza del traffico aereo nei cieli siciliani e nello scalo di Catania-Fontanarossa che saranno creati dai 20 velivoli senza pilota Global Hawk dell’US Air Force e del nuovo programma di sorveglianza terrestre AGS della Nato.
Vicenda emblematica del torbido intreccio d’interessi che si muovono dietro l’affaire Sigonella è quella relativa al costruendo residence per i militari USA di Lentini. Il progetto è stato presentato dalla società Scirumi che vede tra i suoi soci la Cappellina Srl, nella titolarità della famiglia di Mario Ciancio Sanfilippo, l’onnipotente editore-imprenditore di Catania, già alla guida della Fieg (la Federazione degli editori di testate giornalistiche), proprietario del quotidiano La Sicilia ed azionista degli altri quotidiani e di buona parte delle emittenti radiotelevisive che operano nell’isola. A lui erano intestati una parte dei terreni venduti alla Scirumi per complessivi 10 miliardi e 800 milioni di vecchie lire. Una parte, perché gli altri fondi appartenevano alla Sater Società Agricola Turistica Etna Riviera, anch’essa nella disponibilità di Mario Ciancio, della moglie e dei figli.
In realtà, le finalità di controllo interno ed opposizione di classe della presenza militare USA hanno radici molto più antiche. La desecretazione di molti documenti conservati negli archivi di Roma e Washington hanno permesso di fare luce sul “peccato originale” da cui si è sviluppata la rete di alleanze tra gerarchie militari statunitensi, servizi segreti nazionali e stranieri, estremismo neofascista, ambienti massonici, gruppi economici dominanti e criminalità mafiosa. Innanzitutto quelli relativi alla strage di Portella delle Ginestre, il primo maggio di 63 anni fa, primo eccidio di Stato proprio dopo la vittoria del Blocco del popolo alle elezioni regionali siciliane, l’unica nella storia. Quel successo, quel timido Vento del Sud (lo ricorda Umberto Santino, presidente del Centro antimafia “Giuseppe Impastato” di Palermo), andava bloccato anche a costo di versare sangue innocente, perché poteva sconvolgere gli equilibri che Yalta e l’occupazione alleata avevano imposto all’Italia. Da quel maledetto 1947 il condizionamento sulla storia della Sicilia e della Repubblica italiana da parte dell’alleanza tra poteri militari e paramilitari e soggetti politico-economici è stato determinante. E le basi militari originate da accordi bilaterali o sorte in ambito alleato sono stati funzionali a cementare questi relazioni strategiche.
Con la mafia questa partnership è proseguita sino ai giorni nostri. L’omicidio nel 1982 di Pio La Torre, segretario del PCI siciliano, che aveva denunciato con coraggio l’equazione mafia-militarizzazione opponendosi all’installazione dei missili nucleari Cruise a Comiso; le inchieste a fine anni ’90 e primi anni del XXI secolo che hanno provato gli interessi delle più efferate cosche mafiose siciliane per i numerosi appalti per l’ampliamento e la gestione dei servizi della base di Sigonella, sono una conferma inequivocabile. Per spedire ingenti quantitativi di eroina dalla Sicilia negli Stati Uniti, tra il 1979 ed il 1980, Cosa Nostra ha utilizzato proprio Sigonella. Una “via” sicura, “insospettabile” che avrebbe consentito a diverse famiglie palermitane di fare affari di miliardi con la mafia americana. È stato il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia a fare questa rivelazione ai giudici statunitensi, durante il processo che si è celebrato a New York contro uno dei principali esponenti di Cosa Nostra americana. Dalla grande stazione aeronavale siciliana, secondo il pentito, furono spedite diverse “partite” di eroina, raffinata dallo stesso Marino Mannoia per conto della famiglia di Santa Maria di Gesù, che faceva capo ai fratelli Stefano e Giovanni Bontade, e di altri boss, come Antonino Grado e Francesco Mafara. Rispondendo alle domande del giudice Fitzgerald, nel dicembre 1993, Mannoia ha fatto esplicito riferimento a “persone della base Nato di Sigonella che erano coinvolte nel traffico”. Tenere in debita considerazione le peculiarità criminali e criminogene delle basi USA in Sicilia è doveroso per comprendere l’asimmetria tra le forze e i poteri in campo, i Davide no war, da una parte, i Golia della guerra e del controllo mafioso dall’altra.
Relazione all’Incontro su "La pace in movimento. Proteste, politiche, impatto. Le esperienze in Italia e in Spagna", tenutosi a Barcelona il 28-30 ottobre 2010, organizzato dall’ ICIP Institut Català Internacional per la Pau.
Nota biografica
Antonio Mazzeo, giornalista e saggista, impegnato in programmi di cooperazione allo sviluppo, è ricercatore della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella. Ha coordinato il progetto di ricerca “Memoria Comiso. La Sicilia contro la guerra” (Comiso-Vittoria, 2006). Ha inoltre pubblicato i volumi Non solo Ustica. Il rischio militare in Sicilia (1990); La Sicilia va alla guerra. Il coinvolgimento dell’isola nucleare nella Guerra del Golfo (1991); Sicilia armata. Basi, missili, strategie nell’isola portaerei della Nato (1991) – tutti editi da Armando Siciliano, Messina -; La trasformazione militare del Fianco Sud della Nato (Editori del Grifo, Perugia, 1992); Colombia l’ultimo inganno. Lotta al narcotraffico, paramilitarismo, violazione dei diritti umani (Palombi Editore, Roma, 2001), La Mega Sigonella (paper, Catania, 2006).
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