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Cuciono in Eritrea le camicie di Armani, “volontari” obbligati dalla dittatura di Isayas

Nella triste graduatoria del rispetto dei diritti umani, il regime contende l’ultimo posto alla Corea del Nord. Ma gli affari italiani e il governo ne provano rispetto. Abbracci dei ministri del dittatore ai ministri di Roma e collaborazioni sempre più intense tra i nostri imprenditori e i gerarchi del lavoro forzato. L’ebbrezza di produzione a costo quasi zero ha un fascino irresistibile: da Paolo Berlusconi ai grandi cotonieri, ma anche società ambigue della Campania. Lo scandalo del convegno pro Eritrea all’università di Napoli sta facendo scoppiare il bubbone
15 novembre 2010
Dania Avallone

Per capire cosa sia successo lo scorso 29 ottobre nell’aula Spinelli dell’Università degli Studi di Napoli Federico II bisogna fare un passo indietro nel tempo.
Nel giugno 2008, il dittatore eritreo Isayas Afewerki (da quasi 20 anni al potere) ha compiuto una visita in Campania, accompagnato da tre dei suoi Ministri e da un pool di imprenditori casertani attualmente impegnati in Eritrea nella realizzazione di alcuni progetti e riuniti nel Consorzio Riviera Domizia, guidato da Luigi Mascolo. La visita è iniziata presso alcune aziende agricole e piccole fabbriche e dopo la degustazione dei vini pregiati di Cellole, si è conclusa alla OMA sud di Caserta, dove Afeworki ha comprato un aviogetto molto versatile che può essere impiegato in diverse funzioni…
A tale visita era preceduto un incontro con la Presidenza del Consiglio Regionale della Campania: un incontro promosso dal Capogruppo regionale dello Sdi Gennaro Oliviero e dal Consorzio Riviera Domizia, operante nel settore delle attività di promozione del territorio della riviera domiziana anche nell’ambito dei rapporti di collaborazione e promozione commerciale, turistica e culturale attivati con l’Ambasciata di Eritrea.
A seguito di questo incontro l’ambasciatore dell’ Eritrea in Italia, Zemede Tekle, aveva ricevuto un messaggio da parte del parlamentino campano nel quale si chiedeva alle autorità eritree di garantire il rispetto dei diritti umani e delle libertà religiose. Si legge nel documento: “Nel confermare i sentimenti di amicizia e di solidarietà che, anche per ragioni storiche, uniscono il popolo italiano e in particolare i cittadini della Regione Campania al popolo eritreo esprimiamo una forte preoccupazione ed un invito che spero possa trovare attenzione ed ascolto. Motivo di preoccupazione è la difesa della libertà, della giustizia, dell’uguaglianza e dell’esclusione di tutte le forme di discriminazione…”
Purtroppo l’invito non ha ricevuto né attenzione né ascolto in quanto non ha trovato nessuna collocazione in un momento sociale e politico in cui il Governo Italiano stringe accordi con i peggiori dittatori del mondo. Dopo il vergognoso accordo Italia-Libia e le pagliacciate di Gheddafi, ecco che anche le autorità eritree si attivano, i loro viaggi in Italia si moltiplicano e le relazioni Italia – Eritrea si rafforzano. Ne è una delle testimonianze il recente protocollo di intesa tra Ministero degli Esteri Italiano e la Società Geografica Italiana siglato a Roma in occasione del convegno a porte chiuse “Eritrea-Italia: gli scenari politici, economici e culturali”, a cui hanno partecipato importanti ricercatori e industriali italiani, nonché la delegazione del Governo Eritreo rappresentata dall’ambasciatore, da alcuni studiosi Eritrei e da Yemane Ghebreab, braccio destro del dittatore e delinquente noto a livello internazionale (negli USA sono stati congelati i suoi conti correnti e non gli viene più concesso il visto di entrata).
Su tale scia, anche i piccoli imprenditori campani sono ritornati alla riscossa. Mascolo assieme ai suoi soci , allo scopo di rafforzare le relazioni con i suoi amici eritrei alla disperata ricerca di legittimazione politica, cerca consenso ai suoi investimenti in Eritrea tra le più alte rappresentanze della cultura italiana e approda, attraverso la mediazione di una coppia di amici di Capua (Diana Quartuccio – Univ.Federico II e Modestino Verrengia – Univ. del Molise), direttamente alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II che in seguito alla sua richiesta ha ospitato il discutibile convegno “Eritrea: esperienze italiane di cooperazione” tenutosi venerdì 29 ottobre nella storica aula Spinelli invitando la delegazione del governo dittatoriale eritreo e il gruppo casertano al completo. Il Ministero Degli Esteri italiano era rappresentato, in tono minore rispetto al convegno di Roma, dal Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo Marcello Cavalcaselle.
Al di là del disgusto che mi ha provocato assistere alle molteplici manifestazioni di amicizia mostrate da alcuni illustri accademici della Federico II verso i rappresentanti della delegazione Eritrea, sono rimasta esterrefatta nel constatare che il comitato scientifico che ha curato il convegno è riuscito nelle otto ore in cui si è parlato di Eritrea e cooperazione italiana a fare in modo che non si pronunciassero mai parole come: dittatura, prigionieri, tortura, rifugiati, espropri, espulsioni… . Un’abilità notevole nel creare un quadro socio politico dell’Eritrea completamente avulso dalla realtà, omettendo dati importanti, con l’uso di frasi ambigue nelle relazioni e tacendo ogni data storica che avrebbe potuto creare imbarazzo negli ospiti eritrei.
Oltre ai contributi orientati alla mitizzazione nostalgica del passato coloniale e post-coloniale italiano in Eritrea, dal convegno sono emerse le false dichiarazioni secondo cui tra i principali obiettivi della dittatura ci sarebbe quello di garantire l’autosufficienza alimentare, mentre tutte le forze potenzialmente produttive sono costrette alla leva militare e il Paese è ridotto alla fame.
Il Convegno, snobbato per fortuna dagli studenti e da chiunque abbia maturato un minimo di coscienza critica, non è stato altro che un concentrato di menzogne tendenziose (assenti il Rettore ed il Presidente del Polo delle Scienze Umani e Sociali).
Come testimoniano le foto di Stefano Pettini (paladino della propaganda del regime eritreo), era presente in sala solo una trentina di persone, il gruppo dei promotori cioè , costituito da: Consorzio Riviera Domizia, Lyons di Sessa Aurunca, Banca Credito Cooperativo del Garigliano, e qualche parente e amico di Mascolo. Una specie di festa in famiglia. Unica eccezione il giovane Zambaiti di Bergamo, il cui gruppo industriale tessile produce in Eritrea camicie per grandi firme tra cui Armani avendo rilevato al costo di un dollaro il vecchio cotonificio Barattolo di Asmara che è diventato ZA-ER (Zambati Eritrea).
Da parte Eritrea, oltre ai relatori dell’ Università di Asmara (che non esiste più da vari anni) c’erano in sala un prete eritreo da tempo noto agli attivisti per diritti umani in quanto informatore filogovernativo , il rappresentante della comunità eritrea filogovernativa della Campania ed una rappresentante dell’associazione di donne eritree del Lazio (altra emanazione dell’ambasciata eritrea). Queste presenze, unite a quella più altisonante dello stesso ambasciatore dell’ Eritrea, tolgono ogni eventuale valore al senso dell’argomento in discussione, servono al governo dittatoriale dell’Eritrea a ottenere credibilità presso istituzioni democratiche e costituiscono un insormontabile ostacolo al dialogo.
In queste condizioni, anche se fosse stato previsto un dibattito, nessun eritreo critico nei confronti del suo governo avrebbe mai potuto parteciparvi. Troppo pericoloso per le ripercussioni sulle famiglie rimaste in patria e per possibili aggressioni fisiche anche in Italia da parte delle squadre di fanatici del PFDJ (l’unico partito politico dell’Eritrea).
L’università, che dovrebbe essere lo spazio del conoscere e del confronto costruttivo, ha giustamente organizzato un convegno a porte aperte, ma è come se le porte le avesse sbattute in faccia a tutti quegli eritrei che, scappati da persecuzioni nel loro paese, cercano disperatamente rifugio, comprensione ed assistenza in Italia.
L’ASPER che rappresento, è nata per dare voce a questi disperati ed a quelli ancor meno fortunati che si trovano da anni ingiustamente imprigionati in Eritrea.
Tante sono le domande che avremmo voluto porre ai relatori. Tanto spazio si è dato alla possibilità di sviluppo agricolo in Eritrea e ci chiediamo se gli esperti si siano mai chiesti come vengano reperiti i terreni disponibili e la mano d’opera. Ci chiediamo come sia possibile per esperti del settore non aver mai avuto sentore di espropri illegali e di sfruttamento dei militari costretti come schiavi al lavoro forzato. Ci chiediamo ancora come sia possibile che chi si occupa da qualche tempo di cooperazione non si chieda che cosa ne è dell’accordo di cooperazione Italia – Eritrea del 1995 in cui la firma eritrea è stata posta dal Ministro degli Affari Esteri Eritreo Petros Solomon che è da nove anni imprigionato in un carcere segreto in completo isolamento senza aver subito alcun processo e senza mai aver visto un legale, un medico o almeno un familiare.
E che cosa mai ha provocato l’espulsione di quasi tutte le ONG che da anni lavoravano al fianco del popolo eritreo o l’espulsione in 48 ore, nel 2003, dell’ambasciatore italiano Bandini?
Si è parlato di Università Eritrea e ci chiediamo se si sia a conoscenza della repressione sugli studenti, degli arresti indiscriminati e della chiusura definitiva dell’Università trasformata in “college” dislocati e più facilmente controllabili dal grande fratello Isayas.
In un paese dove non esistono diritti, neanche quello di pensiero, dove l’informazione è totalmente manipolata dal potere, dove l’unico sindacato è controllato dal governo grazie anche al contributo della Regione Marche, gli imprenditori interessati ad investimenti non hanno altro da fare che entrare nelle grazie del presidente e compiacerlo entrando nel gioco perverso e omertoso che oblitera la realtà e nasconde i suoi crimini.

Campagna di Informazione sull’Eritrea

Il Governo dello Stato d’Eritrea si macchia indelebilmente di gravissime violazioni dei Diritti Umani nei confronti del suo popolo: la dittatura del presidente Isayas Afewerki è sempre più totalitaria e oppressiva, ogni diritto politico è negato.
Migliaia, forse decine di migliaia, di persone sono recluse (non si sa quante siano ancora in vita o in quali condizioni di salute) prive di un capo di imputazione, di un processo che non verrà mai celebrato.
Si tratta di persone che hanno avuto un ruolo decisivo per l’esistenza dell’Eritrea, combattenti della trentennale guerra di Liberazione del Paese dal dominio coloniale etiope, combattenti per uno sviluppo condiviso che assicurasse non solo indipendenza dalla dominazione straniera, ma uno sviluppo civile e democratico per quel popolo.
L’Eritrea è stata tradita. Con il referendum popolare del 1993, che sancì con risultati schiaccianti l’autonomia dell’Eritrea dall’Etiopia, si era messo in atto un percorso che brevemente portò all’approvazione parlamentare di una Costituzione fortemente orientata alla democrazia e che prevedeva pluralità di partiti ed elezioni regolari del Parlamento.

Poi le cose sono cambiate: il potere del partito (PFDJ) e del presidente dello stato (capo del governo e presidente del partito) si è radicato espandendosi oltre ogni misura verso il tradimento delle premesse.

Il presidente ha giustificato lo stato delle cose in nome dell’emergenza generata dalla persistente aggressività militare dell’Etiopia nei confronti dell’Eritrea.

Mai si sono tenute elezioni, la Costituzione è stata abrogata, tutto il paese è stato militarizzato, bloccata l’economia ed ogni forma di produttività, negata la libertà di stampa, di informazione e di opinione, di culto religioso, di libera circolazione nel territorio, represse e private dei loro beni alcune minoranze etniche, chiusa l’Università, bloccato il normale ordinamento scolastico, bloccata la cooperazione, espulse le ONG, …

Le attività della cooperazione governativa e non governativa italiana erano state a suo tempo promosse dal Ministro Petros Salomon, oggi recluso insieme alla moglie. Chiunque abbia anche solo pronunciato perplessità rispetto al modo in cui si trasformava la gestione del potere, o chiesto di ridare valore alla Costituzione, di permettere la costruzione di nuovi partiti, di effettuare elezioni, è stato minacciato, incarcerato, torturato con pratiche di fortissima violenza fino alla morte, ucciso, senza che mai un capo d’accusa venisse formalizzato, senza che mai un processo venisse celebrato. L’accusa informalmente espressa, e passata di bocca in bocca tra gli abitanti del piccolo Paese di tre milioni e mezzo di persone, era di tradimento della patria. Tra essi erano ministri e contadini, combattenti e operai, funzionari dello stato e gente comune. Di questi non è dato sapere se siano ancora in vita, né i familiari hanno modo di sentirli o di vederli, o anche solo di conoscere dove essi siano tenuti reclusi.
La militarizzazione è estesa a tempo pressoché indeterminato a uomini e donne, ed in essa si esprime la violenza della deportazione di massa di tutta la forza produttiva del paese nei campi militari, dove la reclusione nei container e lo stupro sono la regola quotidiana. L’uso dell’esercito è anche improprio nel momento in cui truppe ed armamenti eritrei vengono dislocati in Somalia a sostegno delle corti islamiche.

Il potere politico si sostituisce a quello interno delle comunità religiose, per cui vengono imposti ad ogni confessione rappresentanti graditi al dittatore e non regolarmente designati al proprio interno. E’ il caso, ad esempio del patriarca Abuna Antonios, recluso in condizioni di salute precarie, sostituito da un personaggio fantoccio non riconoscibile dalla comunità cristiana.

Questo stato di cose è noto: Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters sans Frontieres, Asper, ONU, periodicamente documentano la situazione ed il suo progressivo aggravarsi.

Anche l’Unione Europea si è più volte pronunciata in proposito.

L’Eritrea soffre della mancata applicazione da parte dell’Etiopia degli accordi di pace del 2000, e i due paesi soffrono di uno stato di “guerra-non guerra” che, insieme alla repressione ed alla mancanza di occupazione, è causa della fuga di centinaia di migliaia di giovani, donne e bambini, molti dei quali trovano la morte nei deserti o nei mari che fortunosamente cercano di attraversare.

Si tratta della morte di persone che si consideravano finalmente “libere”.

L’economia eritrea è oggi, di fatto, di sussistenza: il solo sostegno sono le rimesse economiche degli emigrati.

La violenza della dittatura si estende anche sulla diaspora: un fitto servizio di intelligence coordinato dalle ambasciate e dai consolati svolge attività di controllo su ogni territorio.

Gli eritrei in diaspora sono controllati nelle loro vite, e se un comportamento antigovernativo viene ravvisato, vengono minacciati personalmente e ricattati, e le loro famiglie rimaste in patria subiscono conseguenze indicibili.

Attivisti per la difesa dei diritti umani sono stati più volte minacciati e aggrediti verbalmente e fisicamente durante lo svolgimento di presidi informativi regolarmente autorizzati dalla Questura.

Il popolo dell’Eritrea soffre, sempre in silenzio e impotente, di questo stato di cose. Ridotto in povertà ha bisogno dell’aiuto internazionale, ed ogni gesto di cooperazione è benvenuto. Ma non è possibile in genere verificare che gli aiuti pervengano alla giusta destinazione, e sarebbe opportuno ottenere dal governo eritreo la possibilità di controllarne gli esiti. Come sarebbe opportuno che almeno la Croce Rossa Internazionale potesse visitare i reclusi, e che al dittatore Afewerki si esprimesse in ogni occasione il disappunto per quanto avviene nel suo paese, e gli si richiedesse rispetto, almeno, per i Diritti Umani più elementari e per la popolazione eritrea.

Asper, Mossob, Agenzia Habeshia

Note: Dania Avallone è responsabile dell’Asper, un’associazione senza scopo di lucro che opera per la tutela dei diritti umani del popolo eritreo.
L’Associazione, autonoma di fronte a qualsiasi organizzazione, gruppo sindacale, professionale e politico, prevede un rapporto privilegiato con gli organi direttamente interessati al riconoscimento dei diritti universali dell’uomo e alla promozione di adempimenti utili per la pace e la democrazia e la giustizia in Eritrea.

L’ASPER deve il suo nome ad un duplice significato: il primo si riferisce ad “Associazione per la Tutela dei Diritti Umani del Popolo Eritreo”, l’altro è la parola latina” asper” che esprime qualcosa di “aspro, tortuoso, difficile”, proprio come il cammino che l’Associazione stessa intende percorrere: rompere il muro di silenzio ed omertà nei confronti dell’opinione pubblica internazionale sulla tragedia del popolo eritreo che ha tanto combattuto e sofferto per conquistare la propria libertà e che invece è oppresso da una dittatura tra le più cruente al mondo – www.asper-eritrea.com

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