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Il nuovo mensile "E" di Emergency è in edicola ogni primo mercoledì del mese, a partire dal 6 aprile

Emergency. La speranza di diventare inutili

Al teatro Ambra Jovinelli Gino Strada invita a condividere il progetto "il mondo che vogliamo", senza privilegi e senza violenza e guerre come quella con la Libia. "Chi ce lo fa fare? La voglia di reagire, la voglia di avere qualche piccolo sogno"
6 aprile 2011

Il ragionamento non fa una piega. E' inaccettabile che ancora una volta si dica che non si può fare a meno della guerra, che ci sono ragioni umanitarie per bombardare e che, ormai in ritardo per qualsiasi altra cosa, si deve farlo per evitare danni peggiori.                                             Roma 21 marzo 2011. Gino Strada al teatro Ambra Jovinelli

Sul palco del teatro Ambra Jovinelli a Roma, Cecilia Strada, presidente e figlia del fondatore di Emergency, presenta per prima l’iniziativa. E' il 21 marzo e già si sono tenuti incontri simili in altre città italiane. Emergency vuole essere nelle scuole e in altri luoghi della vita civile e contribuire a costruire condizioni che favoriscano la pace (con la speranza che un giorno la chirurgia di guerra diventi inutile). Lo sta facendo anche portando in giro il manifesto "il mondo che vogliamo". Purtroppo alcune scelte degli Stati allontanano le prospettive di pace, di equità e di giustizia. Leggere insieme questo testo è un modo per riflettere su un'idea di mondo che ripudi la violenza, e che persegua la giustizia sociale, la solidarietà e un'equa distribuzione delle risorse. Esiste un mondo di diritti e di relazioni che ci si vuole tenere stretti, e che si vuole anzi fare crescere insieme alla democrazia. C'è bisogno di parlarne. Anche in Italia infatti alcuni diritti fondamentali vengono offesi e si assiste a una vera guerra contro i cittadini, fatta di corruzione, odio e razzismo, di mortificazione dei beni comuni.

Nel mondo che vorrebbe Erri De Luca - presentato come gli altri dal giornalista Maso Notarianni - risuonano le esperienze degli emigrati e la sua stessa esperienza in Francia. Dall'inizio del ‘900 ci arrivano storie di italiani accolti come banditi o zingari. Era questa l’immagine del nostro paese. Più tardi – negli anni ’50 e ’60 - arriva il riscatto, grazie al grandissimo cinema italiano di quegli anni e più tardi grazie alla moda e ad altri prodotti che rappresentavano il lavoro italiano. Oggi l'immagine dell'Italia riflette quella data da una triste rappresentanza pubblica "di anziani imbellettati e in fregola".

Ma quale mondo e quale immagine proporre? La voce dello scrittore è grave, quasi stanca, ma l'immagine che evoca poco dopo è bellissima: racconta che a un certo punto ha cominciato a vedere l’Italia non più come uno stivale, ma come un braccio che si protende e si stacca dall’Europa, una mano aperta (la Calabria e la Puglia). La Sicilia lì vicino è come un fazzoletto che saluta.

E’ Vauro il più cupo. Racconta di non aver saputo rassicurare il figliolo impaurito per ciò che accade in Libia. Sarebbe stato terribile farlo dicendo che le bombe cadono e le vite si spezzano altrove, e sarebbe difficile sostenere che non si deve avere paura quando le guerre sono giuste, e che questa guerra è giusta. Il ragazzo ha ragione ... c’è da avere paura. Del resto la paura qualche volta diventa uno degli anticorpi che servono per non farsi imbrogliare dalla parole, da quelle, ad esempio, che si usano per evitare di nominare la guerra, dalle parole – usate anche dal Presidente della Repubblica - che descrivono ciò che accade come “un’azione”. Sono pur sempre parole di terrore. Ma si può dimenticare che in Afghanistan – scenario di un’altra guerra “giusta e inevitabile” che sta durando più della seconda guerra mondiale - quest’anno le vittime civili sono raddoppiate? E che l’Iraq ormai è diventato un mattatoio dove i morti non fanno più notizia? 

Ezio Mauro, direttore di “Repubblica”, vuole prima ricordare la sensibilità e l’esperienza con cui Emergency lavora e l'aiuto che richiese all'organizzazione appena avuta la notizia del rapimento del giornalista Daniele Mastrogiacomo (4 anni fa in Afghanistan). Nel mondo che vorrebbe, Ezio Mauro vede una concezione del lavoro diversa da quella che si sta imponendo in questi mesi, vede lavoratori "non invisibili" e che non scambiano (non sono costretti a farlo) i propri diritti con un posto di lavoro. Ci sono anche i poveri e gli immigrati, sono persone e non sono confinati tra i numeri nelle statistiche. Non si deve ignorare quello che sta succedendo: accade forse per la prima volta, in Italia, che il ricco possa sentire e pensare il proprio destino come scisso dal destino comune della società in cui vive. E c'è stata Rosarno: “l'uomo bianco” con il fucile sul pianale della macchina che bracca l’immigrato di colore. Il giornalista aveva preannunciato di voler dire qualcosa di diverso sulla Libia, e ci tiene a parlare delle ribellioni e della fame di democrazia dei giovani del Nord Africa, di una risposta che l'Occidente non può far mancare, da contrapporre alla realpolitik e al cinismo che nei mesi scorsi hanno fatto guardare a questi avvenimenti facendo prevalere la paura.

Mauro accoglie con curiosità il nuovo giornale di Emergency e parla del mondo dell’informazione che vorrebbe. Ma si dice costretto a parlare di una democrazia debole nella sua qualità, di anomalie pesanti e ingombranti quali un potere economico di entità straordinaria e la concentrazione delle reti televisive nazionali (secondo il CENSIS, il 63% degli indecisi nelle elezioni si orienta infine basandosi sui contenuti televisivi). Dominano la volontà di pochi (vedi le leggi ad personam) e il populismo. Non si può rinunciare invece a cercare spazi per la felicità, quella comune, tenuta insieme da una concezione profonda di cittadinanza.

Fiorella Mannoia, prima di leggere la "ninna nanna della guerra" di Trilussa, dice che con i dittatori non si dovrebbe scendere a patti; quando si interroga sugli interventi che si aspetterebbe dalla politica pensa se mai a sanzioni concordate tra i vari paesi, con interventi diversi da quelli in atto.

Gianni Mura sarà il direttore della nuova rivista. Il giornalista non avrà – dice – quei problemi con l’editore che solitamente scoraggiano avventure del genere, perché questa volta l’editore - Emergency - gode di buona fama! La rivista “E” uscirà il primo mercoledì di ogni mese, costerà 4 euro e sarà anche on line. Tra 6 mesi si valuterà se continuare.            6 aprile 2011. Primo numero del mensile di Emergency

Nel primo numero ci sono inchieste sull’ acqua e la “cartolarizzazione” (la vendita di molti beni del patrimonio statale della Difesa, come l'antico Arsenale militare di Venezia). Al centro della rivista ci saranno sempre i diritti civili, la sanità, il mondo del lavoro e la scuola (che per Emergency coincide con cultura) e ci saranno grandi fotografi a collaborare. Tra le rubriche fisse, “Cessate il fuoco” terrà il conto dei morti di guerra (un’eredità di Peacereporter), sarà tenuto il conto dei morti sul lavoro (un’altra guerra in atto e un triste primato europeo per l’Italia) e, con “Casa dolce casa”, si focalizzerà l’attenzione sulla violenza contro le donne. Neri Marcorè terrà una rubrica di libri e  Claudio Bisio la Posta del cuore.

Don Luigi Ciotti - presidente di "Libera contro le mafie" - svolge un intervento appassionato e severo. L’indignazione è ormai una moda. Bisogna provare disgusto: per il numero impressionante (925 milioni) di persone affamate nei paesi poveri, per i milioni di morti legati alla gestione del mercato dei medicinali, per i 2.800.000 nuovi casi di ammalati affetti da HIV e i 16 milioni di orfani, per i milioni di persone senza istruzione e di donne mercificate.

Don Ciotti si sofferma sulle forti responsabilità italiane. Manca una legge sui rifugiati e chi lavora per sottrarre le donne alla prostituzione si è visto privare dei fondi; i vuoti etici e sociali in cui la mafia trova radici non vengono combattuti e non viene ancora fatta – nonostante le sollecitazioni di Strasburgo – una legge sulla corruzione (sono stati anzi spolpati i reati di abuso d’ufficio e di falso, mentre si attaccano nuovamente le intercettazioni). Don Ciotti sottolinea i legami tra mafie e armi, tra mafie, gestione dell'acqua e reati ambientali, quei reati che ancora non trovano posto nella legislazione penale italiana (28.576 reati nel 2010 sono rimasti impuniti).

Gino Strada cita due recenti tragedie, l’intervento in Libia e il disastro nucleare di Fukushima. E’ inaccettabile ritrovarsi ancora – e sempre più spesso negli ultimi anni – in conflitti come quello con la Libia. Non è inevitabile la guerra, è stupido pensarlo. Il punto è non aver fatto ciò che serve per evitarla, non aver costruito la pace in precedenza e dover arrivare a situazioni che poi verranno affrontate con l’improvvisazione e i danni di sempre. Gli scienziati Bertrand Russel e Albert Einstein, nel loro manifesto del 1955 a favore del disarmo nucleare, sostenevano che la guerra dovrà scomparire dal mondo: “La guerra non si può umanizzare, si può soltanto abolire”. Come la schiavitù. Il concetto di guerra umanitaria – dice Strada – non esiste, è una bestemmia, perché la guerra è sempre disumana e porta alla distruzione di un pezzo di umanità. 

La nuova rivista serve, dice Strada, ringraziando amici e collaboratori preziosi, molti giovanissimi. "Chi ce lo fa fare? La voglia di reagire, la voglia di avere qualche piccolo sogno".

Note: Il primo numero del mensile " E " (da sfogliare)
http://www.e-ilmensile.it/

Il manifesto "Il mondo che vogliamo" può essere letto nella rivista trimestrale di Emergency n. 57 del dicembre 2010
http://www.emergency.it/rivista/index.html

Il manifesto Russel-Einstein del 9 luglio 1955 per il disarmo
http://www.youtube.com/watch?v=wtGkvayVV5c

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