25 aprile - La Resistenza in Val Borbera
Poco prima della stretta sulla strada, venendo da Arquata, c’è un ponte (ponte del Carmine), che, per intralciare i movimenti tedeschi, fu fatto saltare dai partigiani durante l’estate (il “ponte rotto”, titolo di uno dei più bei libri sulla resistenza, scritto da Giovanni Battista Lazagna “Carlo” che salì in montagna a Cichero a metà settembre 1943 e ne discese alla fine di aprile 1945); subito prima della stretta, sulla roccia a sinistra c’è una lapide con 96 nomi di caduti della Divisione Pinan Cichero e la scritta “di questi monti popolo armato fece baluardo contro la furia dell’invasore/ nel luogo delle più disperate battaglie e delle più gloriose vittorie/ perché gli italiani ricordino il prezzo dell’indipendenza e della libertà”; poco dopo la stretta c’è una grandissima stele, la stele della Pinan-Cichero, “ai partigiani della Divisione Pinan Cichero (seguono i nomi di brigate e distaccamenti), alle popolazioni di queste vallate (seguono i nomi di valli e paesi), 2000 volontari 130 caduti in combattimento”.
Con centinaia di uomini il mattino del 24 agosto i repubblichini, inquadrati da ufficiali tedeschi, attaccarono i partigiani (circa 90) che difendevano la stretta; per tutto il giorno resistettero eroicamente e li respinsero; la sera del 24 arrivò il distaccamento Peter, che la mattina del 23 aveva ricevuto l’ordine di marciare sulla Val Borbera, partendo dal fondo della Val Trebbia; alla sera arrivarono alle capanne di Cosola (avevano marciato tutto il giorno con armi, viveri ed equipaggiamento); il giorno 24 con un camion arrivarono alla stretta e cominciarono a combattere, rinfrancando i difensori; il 25 altro attacco tedesco, di nuovo respinto, anche con l’aiuto dei contadini che arrivarono con i fucili da caccia; il 26 oltre 1000 fra fascisti e tedeschi rinnovarono l’attacco ed a quel punto ai difensori non restò che la ritirata, ma i tre giorni in cui avevano difeso la stretta erano serviti al grosso delle forze partigiane per disperdersi secondo i piani previsti da Bisagno.
Fra i caduti ne va ricordato uno, un po’ il simbolo di quei giorni, Virginio Arzani “Kikirikì”, dell’Azione Cattolica di Marassi, che comandava il distaccamento di Pertuso (a 22 anni!), fu ferito e trasportato alle capanne di Cosola, catturato fu portato a Zerba, nella frazione di Cerreto.
Poiché le ferite non gli permettevano di stare in piedi, non fu fucilato, ma ucciso con bombe a mano di fronte alla popolazione; al suo nome fu intitolata una delle principali brigate della Pinan Cichero ed è intitolata una strada di San Fruttuoso.
La motivazione della medaglia d’oro recita: “Subito dopo l’armistizio, con fedeltà e con decisione, intraprendeva la lotta di liberazione dimostrando di possedere delle doti come animatore e come organizzatore e ripetutamente distinguendosi, in combattimento, per prontezza di decisione e personale valore. Meritano particolare menzione le azioni condotte alla testa del suo distaccamento, a Sarezzano, contro una caserma tedesca, riportando una prima ferita e nei pressi di Tortona, liberando alcuni dei suoi uomini tratti prigionieri e venendo nuovamente ferito. Alla fine di Agosto 1944 difendeva strenuamente per tre giorni lo stretto di Pertuso in Val Borbera trattenendo importanti forze avviate in rastrellamento nella zona. Gravemente ferito ad un ginocchio disponeva per un ordinato ripiegamento e per resistenze successive, dirigendo di persona le azioni dalla barella e rifiutando, più volte, di farsi sgombrare al sicuro. Coinvolto nella lotta ravvicinata cadeva in mani nemiche e con fermo nobilcuore rifiutava di fornire notizie rivendicando la sua fede. Vilmente trucidato dalla sua barella chiudeva da prode la giovane vita generosamente prodigata per gli ideali di fedeltà e di Patria.
Cerreto di Zerba (Piacenza), 29 Agosto 1944."
Gli invasori dilagarono per i monti, bruciarono il rifugio dell’Antola, anche per il suo valore simbolico, ma la loro vittoria fu di breve durata: il 15 settembre i partigiani rientrarono in Cabella e per la metà di ottobre le valli Trebbia e Borbera erano di nuovo sotto il loro controllo.
Nel territorio partigiano fu creato un embrione di stato autonomo, che deliberò di vietare l’esportazione di tutti i viveri prodotti in loco (oltre ai partigiani ed agli abitanti, c’erano anche molti sfollati): si poteva quindi esportare solo quanto eccedeva i consumi della valle.
Mancavano però sale, tabacco, olio, zucchero, sapone per cui si intimò alle autorità fasciste del piano di consegnarle; il podestà di Tortona venne a chiedere personalmente, in cambio di queste derrate, legname per riscaldare scuole ed ospedali; gli fu concesso ed inviati dei partigiani controllarono direttamente che quello fosse effettivamente l’uso; le giunte comunali dei paesi fissarono razionamento e prezzi di acquisto e vendita dei generi di prima necessità e la polizia partigiana vigilava sulla corretta applicazione; nelle scuole furono ovviamente cambiati i programmi fascisti e si fece studiare più grammatica, più aritmetica, più geografia; furono aperte nuove scuole in paesini dove non c’erano e, con l’aiuto di professori sfollati, due ginnasi inferiori (scuole medie) a Rocchetta ed a San Sebastiano.
Nel dicembre 1944 i tedeschi, con l’aiuto dei repubblichini, iniziarono un altro grande rastrellamento, in cui fu anche impiegata la Divisione Turkestan, con soldati dell’Asia Centrale inquadrati da ufficiali tedeschi: nell’immaginario collettivo delle popolazioni questi soldati sono tuttora ricordati come “i mongoli”.
Questo rastrellamento di nuovo investì le valli Trebbia ed Aveto (Barbagelata fu bombardata coi mortai dal monte Caucaso), ma, grazie ai piani di difesa predisposti da Bisagno, ancora una volta, nonostante la superiorità numerica, non arrivarono a nulla; in un’azione presso San Clemente morì Giuseppe Salvarezza, “Pinan” la cui motivazione della medaglia d’oro recita: "Giovane ventenne, comandante di una brigata partigiana, di eccezionale ardimento, di fronte ad un improvviso attacco da parte di preponderanti forze nazifasciste lanciava la sua formazione in un audace contrattacco che salvava le sorti della giornata trasformando la situazione, inizialmente sfavorevole alle nostre armi, in rotta disordinata del nemico. Ferito mortalmente alla fronte e al cuore incitava i suoi uomini a proseguire nell’impeto della lotta ed esalava lo spirito indomito per assurgere nel cielo degli Eroi, unanimemente pianto dalle popolazioni che videro il suo estremo sacrificio".
Nel febbraio 1945 ci fu un duro scontro politico fra il Comando della VI Zona e Bisagno, al termine del quale la divisione Cichero cedette le brigate della Val Borbera ad una nuova divisone, la Pinan Cichero, che ricordava nel nome l’origine (Cichero) ed uno dei più eroici componenti (“Pinan”); a comandante della Divisione fu nominato un fedelissimo di Bisagno (Aurelio Ferrando “Scrivia”) e vice “Carlo”; così i due in 8 mesi da comandante e vice comandante del distaccamento Peter diventarono Comandante e Vice Comandante di Divisione.
Nei mesi di marzo ed aprile la Pinan Cichero rafforzò il controllo della Val Borbera e si trovò quindi preparata allo scoppio dell’insurrezione: il 25 aprile occupò Tortona; lo stesso giorno le Brigate Arzani, Franchi, Oreste occupano tutto il territorio della Valle Scrivia, da Novi a Busalla: il 26 da Pontecurone a Genova tutte le strade sono occupate dai partigiani, con l’eccezione dei Giovi dove resiste un presidio tedesco, comandato da un Colonnello; il 27 Carlo gli intima la resa e, per dimostrargli che ormai era tutto finito e si deve arrendere, lo porta in automobile dai Giovi a Novi; qui arriva la notizia che gli americani sono a Piacenza (a Piacenza!) ed allora il colonnello tedesco dice: “preferisco arrendermi a voi, con voi abbiamo combattuto e voi avete vinto”.
Sbaglia di grosso chi vuol relegare dentro le pagine dei libri i racconti e le testimonianze sugli episodi drammatici della nostra Liberazione. Perché la Storia - quella con la esse maiuscola, quella che trascende il breve fluire dell'esistenza umana nelle sue ristrette grandiosità o meschinità - macina ancora gli eventi e ne raccoglie i frutti traendone il succo non dall'azione dei singoli ma da ciò che via via fluisce nel percorso d'insieme delle nostre società. La Storia che diventa maturazione dell'attualità. e che ancora può offrire (e di fatto offre) scenari di orrore e di estrema inumanità. Anche per questo, allora, è necessario ricordare e riflettere. E consapevolmente orientarsi su scelte di pace per il presente di noi stessi e il futuro degli umani che verranno. Chi può, chi ha responsabilità pubbliche nella formazione e nella guida dei popoli, lo faccia. Roberto Del Bianco
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