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Certe lettere devono essere scritte quando il destinatario sicuramente le leggerà e comprenderà

A Giovanni Paolo II

Riceviamo e - volentieri - pubblichiamo questo commento di don Vitaliano Della Sala
2 maggio 2011
don Vitaliano Della Sala (parroco rimosso di Sant’Angelo a Scala, Avellino)

Beatissimo Padre,
avrei voluto scriverti prima, ma ero sicuro che una mia lettera non ti sarebbe mai giunta tra le mani, ma si sarebbe fermata tra quelle di qualche tuo solerte collaboratore. Oggi sono sicuro che potrai finalmente leggermi e ascoltarmi, leggere e ascoltare il mio cuore.

don Vitaliano Della Sala

Ti ho voluto bene, ho ammirato il tuo coraggio nel difendere sempre i poveri e la pace; oggi sono addolorato per la tua morte, come sono addolorato ogni volta che muore un uomo o una donna, come sono stato addolorato per la morte di mio padre. Non sono angosciato e non condivido lo strepito che sta facendo “la folla” e i troppi potenti che dicono di piangerti; non credo nell’angoscia nazionale raccontata dai giornali e dal “salotto buono” italiano di Bruno Vespa, preoccupato solo dell’audience; non credo nemmeno nelle lacrime dei tanti in piazza S. Pietro, che in questo modo scaricano collettivamente altre angosce e altre paure, preoccupati esclusivamente di immortalare sul display del loro telefonino l’immagine del tuo corpo esanime. I cristiani non strepitano di fronte alla morte; noi cristiani crediamo nella resurrezione dei morti, nella vita oltre la morte, e siamo certi che tu ora sei vivo, come sono vivi tutti coloro che “ti hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace”, non importa se poveri e sconosciuti.

Forse ti faranno presto santo e noi tutti potremo considerarci privilegiati per aver potuto vedere, sia pure purtroppo soltanto attraverso la televisione, come sono gli occhi e il sorriso dei santi. Aggiungeranno il tuo nome all’elenco delle migliaia di uomini e donne che tu, forse esagerando, hai canonizzato.

I potenti hanno sfilato, come in passerella, accanto alla tua salma muta; quegli stessi potenti che causano le povertà sulle quali tu ti sei chinato; quegli stessi potenti che scatenano le guerre contro le quali tu ti sei, a volte, scagliato: se non hanno raccolto la tua sfida quando eri vivo, non illuderti, non lo faranno neanche ora che sei morto.

Ti hanno definito “il grande” e forse è vero, ma sarei ipocrita se mi accodassi a tutti quelli che stanno straparlando bene di te, perché così conviene. Sai bene quello che il Vangelo dice: “guai quando tutti diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti”. (Luca 6, 26). Tu non sei stato un falso profeta, ma uno che ha saputo dire con coraggio quello che pensava. Ma, sotto il tuo pontificato è stato tolto a tanti cattolici il diritto di parlare: hai giustamente combattuto il comunismo illiberale che avevi subito nella tua Polonia, ma hai voluto una Chiesa che rispecchia molto quel regime oppressivo.

È strano, ti hanno sempre applaudito ipocritamente i potenti, dopo che tu li avevi bacchettati; e i giovani, che realisticamente usano gli anticoncezionali, ti hanno sempre acclamato dopo i tuoi discorsi di chiusura in campo morale, continuando senza eccessivi scrupoli di coscienza a disobbedirti. Attorno a te c’è stata una specie di isteria collettiva: più pretendevi dalla gente e più ti acclamavano. Il segreto è stato probabilmente un efficiente ufficio stampa, capace di gestire in maniera magistrale la comunicazione della tua immagine e delle tue gesta.

Oggi la Chiesa, a conclusione della tua esperienza terrena, sembra una di quelle case di un set cinematografico: la facciata bella e completa che nasconde il vuoto.

Ti dico questo perché ti voglio bene e voglio bene alla nostra Chiesa, voglio il bene della Chiesa, e il volere bene esclude l’ipocrisia e l’ossequio vile.

Qualcuno dovrebbe raccontare alle folle plaudenti le contraddizioni del tuo pontificato, la tua, legittima, visione tradizionalista della Chiesa, il tradimento verso il Concilio Vaticano II; il tuo esserti circondato di collaboratori reazionari, che la dice lunga sulle aperture di facciata del tuo pontificato; qualcuno dovrebbe spiegare la tua visione del potere, l’accentramento di potere nelle tue mani, e in quelle del tuo entourage, che c’è stato sotto il tuo pontificato e la mancanza di collegialità con l’episcopato; qualcuno dovrebbe spiegare ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane e a quelli delle altre religioni la tua idea di ecumenismo come riconoscimento dell’unica verità posseduta esclusivamente dalla Chiesa cattolica; qualcuno dovrebbe spiegarci come mai ti sei scagliato con forza contro la guerra in Iraq e hai provocato la guerra in Jugoslavia quando il Vaticano ha riconosciuto per primo l’indipendenza della Croazia, e perché non hai mai detto che ogni guerra, la guerra in sé è ingiusta; qualcuno dovrebbe dirci che hai sbagliato clamorosamente strategia quando, contribuito a far crollare i regimi comunisti dell’est europeo, ti aspettavi, soprattutto per la tua Polonia, un prevalere dei valori cristiani nella vita di quei Paesi e invece ha prevalso il consumismo e il “neoliberismo sfrenato”, ha prevalso quello che i tuoi predecessori definivano “imperialismo capitalista del denaro”.

Non avveniva da secoli che nella Chiesa ci fosse tanto terrore ad esternare le proprie idee. In questi ultimi anni, si sono rafforzati i tratti di una Chiesa intollerante, arrogante, inumana, che parla di diritti dell’uomo all’esterno, ma non li rispetta al suo interno.

Hai dichiarato un numero elevatissimo di santi, ma al tempo stesso hai ignorato l’inquisizione attuata nei confronti di teologi e sacerdoti. I nuovi santi, strumentalizzati politicamente e commercialmente con spese ingenti e conseguenti profitti per la Curia, sono soprattutto pie suore e fondatori di ordini religiosi che spesso di “eroico” non hanno nulla. Uomini e donne (anche donne appartenenti a ordini religiosi) che si sono distinti, per il loro pensiero critico e per la loro energica volontà di riforme, sono stati invece trattati con metodi da Inquisizione.

Qualcuno dovrebbe raccogliere i frammenti di storia di tutti i provvedimenti disciplinari, dei processi canonici o delle precisazioni dottrinali, emanati dal Vaticano negli ultimi venticinque anni contro quei sacerdoti, teologi e religiosi che hanno adottato un approccio molto più ampio e flessibile nel trattare la delicata questione dei rapporti tra annuncio evangelico, strutture religiose, contesti storico-sociali e norme morali. Ne emergerebbe, tra l’altro, la storia del tentativo di difendere la visione della Chiesa come istituzione – gerarchica, autoritaria e centralista – tutta tesa a tradurre il messaggio rivoluzionario del Vangelo in norme morali e giuridiche. Nel Vangelo c’è una parabola nella quale Gesù paragona il Regno di Dio, quindi la Chiesa, a un granello di senape, il più piccolo tra semi che però diventa un albero frondoso, “e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra”: paradigma della Chiesa-altra che sempre più cattolici sognano e si impegnano a costruire. Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio su nessuno, una “Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione”, come ama affermare mons. Jacques Gaillot, vescovo degli esclusi ed a sua volta vescovo escluso perché rimosso dalla sua diocesi di Evreux, in Francia.

Nei tuoi ultimi giorni terreni ci hai, invece, dato grandi insegnamenti; ci hai dimostrato come si soffre e si muore da cristiani, ci hai insegnato che la morte, quando arriva, deve trovarci vivi. È stata forse la tua lezione più alta. Mi resterà sempre impresso nella memoria il tuo urlo silenzioso, alla finestra della tuo apostolico appartamento l’ultima volta che ti sei affacciato, quando hai capito che non saresti mai più riuscito a parlare. Allora, in quel tuo silenzio straziante, ho ascoltato le urla di dolore di tutto il XX secolo e di tutti i poveri del mondo. In quel momento mi sei parso grandissimo e ti ho amato.

Ti saluto, nella certezza che tu, ora, non ti arrabbierai per quello che ti ho scritto, perché abiti nel “mondo della verità”, come dicono gli anziani delle mie zone, e leggi nel mio cuore tutto l’affetto che provo per te e per la nostra Chiesa. Sicuramente, invece, si arrabbieranno i tuoi collaboratori e i miei diretti superiori; ma non importa, da te ho imparato che bisogna sempre dire e amare “lo splendore della verità”.

Arrivederci in Paradiso.

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