Corte Penale Internazionale: i nodi irrisolti di un organismo che non ha potuto processare Bush per crimini di guerra
La Corte è competente a giudicare i crimini più efferati: crimine di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra e tutti quelli che sono definiti crimini internazionali dalla comunità intera.
Occorre precisare che non è stato spiccato un mandato di cattura (è stato richiesto sulla base di "evidenti prove" che non sono state specificate alla stampa) ed è bene sapere che il mandato di cattura può essere deciso non da Luis Moreno Ocampo ma soltanto dalla Camera per le indagini preliminari (sempre che nella richiesta di arresto preparata dall’ufficio del Procuratore vi siano gli elementi sufficienti e necessari per l’arresto). (2)
Sul sito della Corte Penale Internazionale manca l'adesione della Libia.
Sono infatti 40 paesi che non ne hanno ratificato il trattato istitutivo. Fra questi, Israele e Stati Uniti hanno dichiarato di non avere intenzione di ratificarlo. Tra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (Francia, Regno Unito, USA, Cina, Russia) Russia e Cina, oltre agli USA, non hanno aderito alla Corte Penale Internazionale. (3)
Lo Statuto della Corte Penale Internazionale prevede la sua competenza soltanto nei casi rispetto ai quali lo Stato dove è stato commesso il reato o quello di nazionalità dell’accusato ha accettato la sua giurisdizione.
Scrive Ana Trias Diez: "La giurisdizione universale è prevista dallo Statuto soltanto quando sia il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a riferire un caso alla Corte. Questa limitazione ha delle conseguenze negative importanti, in particolare quando in uno Stato sia al potere un governo che commette dei crimini di competenza della Corte nei confronti della propria popolazione. Il rifiuto di tali governi di consentire che venga aperta un’inchiesta sul caso (come succede generalmente in questo tipo di situazione con gli organi giudiziari nazionali) equivale alla concessione di un’immunità giurisdizionale di fatto per i responsabili. Le situazioni che verranno portate all’attenzione della Corte quindi si limiteranno probabilmente ai casi che presentano una dimensione internazionale, in cui lo Stato dove è stato perpetrato il reato è diverso da quello di nazionalità dell’accusato. L’incapacità di agire del giudice penale internazionale rispetto agli altri casi si può risolvere soltanto con un’adesione generalizzata della comunità internazionale allo Statuto o qualora il Consiglio di Sicurezza sia determinato a fare uso del suo potere di deferire dei casi alla Corte in maniere sistematica. Questa seconda soluzione però porta con sè il rischio di compromettere in una certa misura l’indipendenza (e di conseguenza l’imparzialità) della Corte, in quanto farebbe dipendere l’esercizio della sua giurisdizione dalle decisioni di un organo politico".
Sul sito "Studi per la Pace" vengono evidenziati i rischi di condizionamento politico della Corte Penale Internazionale: "Il pericolo di condizionamento politico dell'azione della Corte emerge prima facie dallo stesso Statuto. Infatti, l'articolo 16 attribuisce al Consiglio di Sicurezza delle NU un vero e proprio diritto di veto, potenzialmente permanente, sull'attività investigativa e/o giurisdizionale della CPI. La norma riflette la difficoltà di dissociare la giustizia penale internazionale ed il mantenimento della pace: di fatto, la disposizione citata fornisce all'organo delle NU una prerogativa di difficile compatibilità con l'indipendenza della Corte proclamata nello stesso Preambolo dello Statuto e richiamata da diverse disposizioni statutarie. Il pericolo che il meccanismo di cui all'articolo 16 renda la giustizia penale internazionale ostaggio dei veti del CdS è ancora più preoccupante visto che tale meccanismo è già stato utilizzato a pochi giorni dall'entrata in vigore dello Statuto stesso".
Deve far riflettere il fatto che la prima denuncia per crimini contro l’umanità formulata alla neonata Corte penale internazionale abbia avuto come destinatario nientemeno che George W. Bush. "Dal 1945 l’uso della forza è consentito solo a scopo di autodifesa e solo autorizzato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu", argomentò l’avvocato Joachim Lau, "sul piano giuridico quella all’Iraq è un’aggressione punibile secondo lo statuto della Corte penale internazionale".
Ma Joachim Lau non è stato l'unico. Francis A.Boyle, professore di diritto internazionale all' Università dell'Illinois, ha presentato una denuncia presso la Corte Penale Internazionale dell'Aia contro i cittadini statunitensi George W. Bush, Richard Cheney, Donald Rumsfeld, Condoleezza Rice e altri per la pratica delle "extraordinary rendition" perpetrata su circa 100 persone.
Bush, non a caso, ha agito in modo che non venisse effettuata la ratifica della Corte Penale Internazionale da parte degli Stati Uniti.
E così siamo arrivati ad una situazione di stallo del diritto internazionale in quanto gli Stati Uniti (ma non solo loro) non ritengono legittima l'azione della Corte Penale Internazionale verso un proprio Presidente ma ovviamente il governo Usa ritiene pienamente legittimo che la Corte agisca verso Gheddafi.
Eppure difficilmente il procuratore capo Luis Moreno Ocampo riuscirà ad attribuire a Gheddafi più vittime di quelle che Bush ha causato in Iraq, stando alla documentazione fornita da Wikileaks (il sito ad esempio ha rivelato che gli Stati Uniti erano al corrente del ricorso alla tortura).
Ma senza andare a scomodare Wikileaks, basti il ricordo dell'uccisione di Nicola Calipari.
Secondo la magistratura italiana l'agente segreto italiano Nicola Calipari fu ucciso volontariamente, per fermarlo e impedirgli di portare a termine la sua missione: liberare la giornalista italiana Giuliana Sgrena.
Tutto è rimasto impunito.
In queste ore tutto questo non verrà detto da gran parte di quei mass media che risparmiano ai cittadini la fatica di pensare, di documentarsi e di fare raffronti.
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