L'Italia ripudia la guerra, anche quella in Libia
«L’Italia ripudia la guerra», dice la nostra Costituzione del 1948 all’articolo 11. Ma non la ripudiano gli italiani, per lo meno quelli che contano sul piano economico e politico. E per questo si continuano a costruire armi, anche dispendiose (come i cacciabombardieri da 16 miliardi di euro), che fanno lavorare e guadagnare molte imprese, e così si va a bombardare in Libia (come già in Iraq ed in Afghanistan), perché ci si copre con l’ombrello dell’Onu o della Nato.
Non è che il ripudio della guerra della Costituzione corrispondesse al disinteresse per la pace. Anzi ripudiare la guerra era un’espressione di amore alla pace, se è vero quanto scriveva nel 1963 papa Giovanni XXIII, nella Pacem in terris, che è follia (alienum a ratione...fuori dalla ragione) pensare che la guerra possa portare alla giustizia e alla pace. E ne dà, papa Giovanni, anche la ragione: da una parte i terribili mezzi di distruzione di cui si arricchiscono costantemente gli arsenali, dall’altra l’accresciuta possibilità di dialogo e di verifiche sotto la tutela di organismi internazionali.
È proprio questa mancanza di ricerca di dialogo che porta i problemi a situazioni così gravi da rendere pressoché indispensabile l’intervento militare. Ed è quello che sta accadendo con la Libia, con la quale si sono intrattenuti rapporti più che amichevoli con un’iniziale dimostrazione di disinteresse se non di favore (per non «disturbarlo», si disse), cercando poi di non lasciarsi scavalcare dagli europei più decisi, fino ad andare anche noi a bombardare, con l’avallo del presidente della Repubblica. Non solo però ce n’eravamo lavate le mani prima, ma abbiamo continuato a lavarcele anche dopo, senza mai tentare un serio intervento diplomatico e senza darci veramente da fare perché l’Onu o l’Europa se ne facessero promotori. Anche con Hitler si fece così: lo si lasciò fare (vedi Monaco 1938), trovandosi poi nella necessità di fare una guerra per garantire la pace. Si farà così anche con la Siria, per cui si spendono molte parole ma senza seri interventi diplomatici, per giungere poi a dimostrare necessario l’intervento militare? Non sarà esplicita, ma si ha l’impressione di un’implicita convinzione che tanto poi andremo a bombardare, così useremo le nostre armi raffinate (se no, cosa ci stanno a fare?) e poi ne faremo altre ancora più raffinate. E alla fine per lo meno ci guadagneremo.
Quello che manca – a chi governa, ma anche ad ancora troppi cittadini – è la convinzione che la guerra va veramente ripudiata, e che quindi bisogna cercare in tutti i modi gli espedienti politici e diplomatici che la rendano superflua. Se, come dice il proverbio, la necessità aguzza l’ingegno, il dovere di ripudiare la guerra deve farci trovare i modi necessari per giungere alla pace.
L’obiezione comune è che questa è un’utopia, in un mondo di violenza. Eppure si faceva guerra un tempo fra le nostre città, finché lo Stato nazionale le ha rese impossibili, così come sono inimmaginabili oggi le guerre che hanno insanguinato per secoli le Nazioni dell’Europa. E allora si dovrà dare forza e autorità all’Onu come arbitro veramente superiore (ridimensionando i veti che ne minano la democrazia e quindi l’attendibilità) in grado, con una forza di polizia, di garantire una soluzione dei problemi senza il ricorso alla guerra (così, sia pure in altre situazioni, l’Onu riuscì ad evitare nel 1956 la guerra per il Canale di Suez).
Abbiamo ricordato in questi giorni, riflettendo sulla figura di Giovanni Paolo II, che il potere del mondo comunista è caduto senza una guerra. Invece non si è saputo cercare la via nonviolenta per portare la pace in Afganistan ed in Iraq, come lo stesso papa Wojtyla cercava e supplicava, e ci siamo immersi nelle tragedie e nei drammi tuttora in corso. Purtroppo anche noi cristiani, malgrado i forti appelli alla coerenza con il Vangelo per il rifiuto della violenza e per la costruzione di una vera pace basata sulla solidarietà, siamo più sensibili all’idolo di “mammona”, cioè della ricchezza e del potere, che conducono inevitabilmente alla guerra.
Vorrei fare eco all’appello del Consiglio Nazionale di Pax Christi per sollecitare tutti a «ripudiare la guerra» con convinzione e con impegno, reagendo, muovendoci, appoggiando le iniziative che sorgono, condizionando la vita sociale e le elezioni, facendoci sentire in ogni modo, obbligando così i politici, i responsabili, a cercare e trovare le vie nonviolente ed efficaci per una pace effettiva.
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