Senza avere la ricetta
Anni fa mi capitò di leggere un racconto umoristico di Stefano Benni, molto singolare. Parla di un uomo che vuole andare d’accordo con tutti, costi quel che costi! Lo scrittore si diverte a seguire il protagonista nei suoi mille tentativi di sfuggire ai contrasti e alle complicazioni della vita sociale. Senza discordia tutto dovrebbe andar bene, ma la storia non ha lieto fine! Durante una rapina in banca il malcapitato decide di aiutare i delinquenti: ha notato un po’ di tensione fra loro e gli impiegati e vorrebbe che tutto filasse liscio. E così dà una mano a mettere via i soldi e, poveretto, finisce dritto in galera! Fa ridere? Senz’altro. Ma è anche una metafora per nulla surreale di come il mito dell’armonia, quella nostalgia fusionale che inconsciamente ci riporta ai primi mesi della nostra vita, finisca irrimediabilmente per procurare ferite, danni, autolesionismo.
Si sprecano risorse preziose per eludere i conflitti della vita come se fossero qualcosa che neanche ci appartiene. Con la violenza o con furbizie varie, cerchiamo di sfuggire a ciò che invece è necessario. «Non voglio litigare...», «Nessuno riuscirà a farmi litigare...», «Litigare non serve a nulla...», sono alcune delle frasi che ben conosciamo che nascono dalla convinzione che il conflitto sia equiparabile al dolore, alla sofferenza, o piuttosto all’ingiustizia, al sopruso, alla prepotenza.
E intanto i conflitti aumentano: fra genitori e figli, sul lavoro, nella coppia, nelle convivenze sempre più interetniche, nella scuola. Ovunque la tensione cresce. La società è sempre più orizzontale, l’autorità scarsamente riconosciuta, i presupposti perché facilmente sorgano diverbi e contrarietà sono ormai davvero tanti. Un ruolo importante lo gioca anche una certa permalosità, diffusa a vari livelli. Da un lato segnala la legittima esigenza di far rispettare il proprio spazio vitale, dall’altro evidenzia come senza un’adeguata alfabetizzazione relazionale sia sempre più difficile risolvere anche i più elementari problemi dello stare assieme. Qualche dato è confortante: nell’area occidentale del pianeta, compresa l’Italia, gli indici di violenza sono diminuiti. Ma si tratta della condizione minimale per la semplice tolleranza reciproca.
Ecco allora una Grammatica dei conflitti. È un libro che aiuta a «so-stare nel conflitto»: a gestire le difficoltà relazionali, piuttosto che a subirle e a sentirsene schiacciati. Permette di imparare a ridurre i conflitti inutili e a riconoscere e affrontare quelli necessari. I principi essenziali di questa grammatica sono: meglio provare a capire quello che sta succedendo che cercare a tutti i costi la soluzione; meglio valutare se ce la puoi fare, che gettarsi a capofitto nella rissa, più o meno verbale. Si tratta di principi maieutici: nei conflitti le risorse che hai sono più efficaci dei consigli degli altri.
Conoscere gli ingredienti e il modo più opportuno di cuocerli è meglio che seguire pedissequamente le ricette non nostre. Penso a questo libro come a uno strumento per acquisire competenze personali interiori e durature, per essere in grado non solo di conoscere in teoria ciò che serve ma anche di riuscire a metterlo in pratica. Una grammatica per attuare una nuova alfabetizzazione relazionale, per raggiungere e superare nuove frontiere di apprendimento, di conoscenza di sé e degli altri.
Daniele Novara è autore di numerosi libri sull'educazione alla pace (e non solo)
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