Bobbio, il senso della democrazia
La persona
Norberto Bobbio (1909-2004) è stato maestro per i laici e per i cattolici dialoganti, nella ricerca per assicurare i diritti umani e la giustizia, riducendo le violenze nella vita sociale: questo era per lui il senso della democrazia. Testimone del tragico ‘900, ci ha insegnato a imparare le dure lezioni della storia mantenendo viva e acuta la sensibilità morale. Frequentarlo era avere con lui un vivo rapporto umano, non solo intellettuale.
Ha lavorato nel pensiero rigoroso, libero dalle lusinghe del potere e dalle pressioni (o anche disprezzo) dei potenti. Ha insegnato a generazioni di studiosi, ha svolto un tenace paziente magistero civile pubblico. La durezza della politica lo rendeva più attento alle virtù delicate, sensibile alla mitezza e alla nonviolenza.
Oltre i molti studi, ha agito in infiniti contatti personali, colloqui, tantissime lettere (anch’io ne ho molte), dibattiti, con la semplicità e la seria umiltà di chi sa sempre imparare qualcosa da tutti.
Come ogni vero maestro, ha spinto gli allievi al pensiero autonomo. Avendo giudicato giuridicamente giusta la guerra del Golfo del 1991, ebbe serrate discussioni coi suoi migliori allievi. «Ma non doveva diventare un massacro», ci scrisse poi ( il foglio n. 178, febbraio 1991).
Negli ultimi tempi, perduta la moglie amata, suo appoggio intelligente, il dolore e gli anni lo hanno chiuso nel silenzio. Con discrezione, amici e allievi gli hanno (gli abbiamo) mandato segnali di affetto e gratitudine, che gli fossero di conforto. Ad un anziano vescovo brasiliano disse una volta sorridendo: «Alla nostra età, contano più gli affetti dei concetti». In queste parole, c’è il succo umano e la saggezza non arida di questo maestro civile.
Gli ho voluto bene. Si amano vecchi e bambini più facilmente dei coetanei, che ci somigliano troppo.
La pace
Bobbio è stato un assiduo pensatore della pace: il suo pacifismo è politico-istituzionale. Ammira il più radicale pacifismo etico-religioso, ma lo ritiene troppo difficile e lento da realizzare. Scettico sulle possibilità storiche della nonviolenza, ha però ammirato Aldo Capitini, al quale scrisse: «Tu sei persuaso, io perplesso». Ciò che ha scritto su Capitini è tra le sue migliori pagine e tra le migliori di tutte quelle scritte su Capitini.
Nella introduzione a Il problema della guerra e le vie della pace (Il Mulino 1979) si dice convinto che è «il momento di rimettere in onore il tema della nonviolenza, di cominciare a considerarlo il tema fondamentale del nostro tempo». Nella 4ª edizione, del 1997, non lo ripete, ma scrive: «Se tutti i cittadini del mondo partecipassero a una marcia della pace, la guerra sarebbe destinata a scomparire dalla faccia della terra».
Bobbio è stato al tempo stesso un realista e un idealista, moralista (nel senso migliore).
In Il terzo assente (saggi del tempo della guerra fredda, ed. Sonda 1989) sostiene che senza un "terzo" più forte dei contendenti non c'è pace; solo se imposta la pace è possibile. Però, dopo, ammise che sono avvenuti passi di pace non imposti. Ora potrebbe dire: senza i due cani da guardia in equilibrio pericoloso, si sono scatenate le guerre locali e la guerra imperiale! Nel novembre 1989, nel Centro Studi Gobetti, mentre tutti esultavamo per l’abbattimento del Muro, ci disse scuro e pensoso: «Aspettate. Potrebbe essere la guerra».
Realista fino al pessimismo sulla storia e la politica, e quasi sull’intera realtà, non rinunciava però a confrontare l’essere umano reale col suo dover essere. Nell’Elogio della mitezza (edizioni Pratiche 1998) analizza mirabilmente la virtù personale e sociale della mitezza (la nonviolenza), che però vede esclusa dalla politica. Dalle sue lettere estrassi otto sue tesi negative sulla nonviolenza (si trovano, con la relativa discussione, in il foglio n.204, nov. 93 e 205, dic.93 e in Giovanni Salio, Il potere della nonviolenza, ed. Gruppo Abele, 1995, pp. 149-150).
Ma in lui c’era una fortissima istanza morale-ideale. Nel bello e sentito Omaggio ad Erasmo (il testo intero è soltanto su il foglio n. 231, luglio 1996) conclude: «Anche noi non siamo sicuri che quel sogno [della pace] si avveri. Ma non è necessario essere sicuri, come non era Erasmo, per continuare di comune accordo a perseguirlo».
Bobbio cerca le condizioni (politiche, etiche) della pace, ma non afferma la forza nonviolenta dell'anima e della verità (il Satyagraha gandhiano). Vede sconfitti i "profeti disarmati", ma li onora! Affida la pace alla politica ma raccomanda di non abbandonare mai il pacifismo etico-religioso.
Nei primi anni ’80, nella crescente tensione internazionale, disse in un incontro: «I cristiani hanno il “non uccidere”, ma non saranno capaci di farlo valere».
Religione e fede
Amava dire, con parole citate poi dal cardinale Martini, che la grande differenza non è tra credenti e non credenti, ma tra chi pensa e chi non pensa sui grandi problemi della vita.
Nelle Ultime volontà (pagina distribuita dai familiari alla camera ardente in Università), si dice «né ateo né agnostico». Dunque, pensiamo, deista (Dio semplice causa del mondo), o meglio teista (Dio vivente e personale, trascendente), secondo la distinzione di Kant. Non cristiano, dunque, perché il cristianesimo non è solo teismo o deismo. Però dice pure: «Credo di non essermi mai allontanato dalla religione dei padri, ma dalla chiesa sì». Devo pensare che per lui la religione dei padri, come l’ha conosciuta, sia un teismo. Riconobbe che il cristianesimo che conosceva era quello del catechismo della sua infanzia. «Ho conosciuto tanti democristiani, pochi cristiani», mi disse una volta, ammirando operatori effettivi di carità.
Sulla religione, anzi «religiosità», di Bobbio, è importante il suo scritto Religione e religiosità (in Micromega n. 2/2000). Questa sincera confessione personale rivela l’umiltà del filosofo del dubbio e della ricerca, la sua acuta sensibilità e attenzione al mistero della vita. «In ogni nazione colui che teme Dio e pratica la giustizia è a lui accetto» (San Pietro in Atti 10, 35). Bobbio aveva il timor di Dio, e aveva la passione intellettuale e morale della giustizia. Affermava la superiore efficacia dell’etica religiosa su quella laica, perché soggetta ad un giudice infallibile. Concepiva Dio come giudice, più che come ispiratore interiore. Si dice «non credente, che continua nonostante tutto a restare sulla soglia» (Elogio della mitezza, citato, p. 184).
Sul problema del male, nel saggio Gli dei che hanno fallito (in Elogio della mitezza), dice che non c'è alcun senso nel dolore. Giobbe è più inspiegabile di Caino. «Chi ha voluto un mondo così atroce?». Nella storia che è male (inflitto o patito, anche senza colpa) si può solo cercare il male minore. Sulla morte pensava che, dopo, viviamo unicamente nel ricordo di chi ci ama: il ricordo amato di suo padre sarebbe scomparso con lui.
Aveva una profondità interiore, che ritengo superiore al suo stesso pensiero teorico formulato. Segnalo il mirabile articolo di Barbara Spinelli (La Stampa, 11 gennaio), che riconosce e rivela Bobbio come uomo "religioso", in quanto onesto servitore della verità, anche contro sé stesso, come quando dichiarò inescusabile errore la sua lettera giovanile a Mussolini.
Ha avuto anche debolezze e limiti, ma l'oro scintilla nella sabbia, e la interiore «luce che illumina ogni uomo», quando in qualche modo la riconosciamo e accogliamo, fa luce nel buio (Giovanni 1, 5. 9-13), riscatta tutto l'uomo e tutto dell'uomo. La luce vince il buio e mai viceversa.
Enrico Peyretti (sabato 17 gennaio 2004)
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