Rai Educational- I Musei della Memoria
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LUCIANO ONDER intervista LAURA TUSSI su RAI EDUCATIONAL
Prof.ssa Tussi, come si incontra la memoria raccontata dalla museologia con la modernità del nostro millennio?
Attualmente la cultura dominante concettualizza la memoria in determinati parametri, per cui la modernità contrasta la memoria attraverso il mutamento, il cambiamento, instaurando contradditori rapporti tra la cultura moderna europea e il concetto di memoria storica. Nel 1860 Baudelaire sosteneva che “le città cambiano più velocemente del cuore di un uomo”, perché nella modernità tutto è mutevole, si trasforma più velocemente della capacità di adattamento dell’individuo stesso. La modernità quindi disorienta l’individuo che non vive esclusivamente un’unica cerchia di vita relazionale, ma sperimenta la varietà degli approcci sociali, per cui appartiene ad una pluralità di ambiti comunitari e di contesti collettivi. Ciò provoca ricorrenti fratture nella memoria sociale, ma implica, al contempo, un forte richiamo alla responsabilità del singolo nei confronti del passato storico a livello individuale, collettivo, nazionale, globale. Operazione necessaria, soprattutto nell'era della globalizzazione in cui occorre anche il rispetto e la valorizzazione delle diversità, delle differenze soggettive, culturali, interetniche, come elementi vitali e imprescindibili dell'insieme.
Prof.ssa Tussi, si è diffuso negli ultimi anni l’ecomuseo, in cosa consiste?
Non è semplice definire cosa sia un ecomuseo. Nei paesi d’oltralpe l’idea è nata molti anni prima che in Italia, dove le prime esperienze sono molto recenti. Esse seguono la nuova idea di bene culturale, che è maturata solo da alcuni decenni all’interno delle amministrazioni e in campo politico e che è molto più ampia rispetto al passato. Infatti, oggi l’ambiente è considerato il bene culturale per antonomasia, perché trattasi di un bene e valore collettivo, dato dal susseguirsi e dal relazionarsi di paesaggi antropici, che tutti sono in grado di modificare e migliorare, prevenendone la rovina, non impedendone la trasformazione “non nella logica della conservazione sterile, ma attraverso una regolamentazione, un monitoraggio continuo degli eventi, a patto che siano globali e lungimiranti. Quando le opere sono difficilmente museabili, come una cascina o una rete di canali, l’idea di museo come spazio chiuso è messa in discussione e si crea il concetto di museo senza muri, che ha come oggetto della propria attenzione il territorio.
L’ecomuseo si intende quindi non semplicemente come un luogo dove si tutelano degli abitati e dei percorsi, ma e il luogo in cui la collettività ragiona sulla propria storia, una sorta di "scuola della coscienza storica".
Prof.ssa Tussi, qual è la valenza didattica degli ecomusei?
L’inventore, Hugues de Varine, tentava nel 1971 una difficile fusione tra le parole “ecologia” e “museo”, e nel ridefinirlo “museo comunitario”, De Varine considera l’ecomuseo l’università popolare per eccellenza, un catalizzatore della cultura vivente, una finestra aperta sul mondo.
L’ecomuseo si distingue da un museo convenzionale dal contrasto con il principio fondante la museologia tradizionale, che sottrae i beni culturali ai luoghi in cui vengono prodotti per essere studiati in luoghi chiusi. L’ecomuseo si propone come mezzo di riappropriazione del proprio patrimonio culturale da parte della collettività locale che ne diviene il soggetto gestore oltre che fautore. La realizzazione è assai difficile ed ambiziosa dato che ci sono problemi organizzativi a molti livelli, non solo sul piano scientifico, ma anche sul piano della gestione delle forze sociali e del loro coinvolgimento. Interpretando gli ecomusei come espressione autobiografica, risulta possibile recuperare il passato se si riconosce e riattualizza una memoria collettiva, comune, del senso della storia a partire dal singolo individuo che ha il compito di comprendere, realizzare, ricomporre a ritroso, storicamente, la propria identità, coincidente con la memoria stessa, tramite l’approccio pedagogico autobiografico.
Prof.ssa Tussi, per quali motivi si ritiene sia nata l’idea del museo scientifico?
La validità scientifica della realtà ecomuseale nasce in una prospettiva di valutazione di impatto ambientale e di approccio
qualitativo e quantitativo all’analisi del paesaggio, dopo la legge 310
della commissione parlamentare Franceschini del 1964, il Decreto Galasso del
1985, riabilita il concetto di paesaggio e supera la concezione crociana
estetizzante e soggettiva, relativa al bene culturale, ponendo un vincolo di
tutela museabile esteso a tutte le componenti ambientali. L’oggetto di tutela risulta
essere il patrimonio paesistico ambientale al fine di evitare alterazioni
morfologiche, strutturali e interventi di deturpazione per elementi
naturali, antropici, documenti storici. Il paesaggio è considerato
integrazione dell’ambiente archeologico, architettonico, storico e
artistico. Si assiste a una nuova definizione del bene culturale
comprendente tutte le testimonianze delle forme storiche di civiltà, tra cui
opere di sistemazione territoriale ed insediativa, testimonianti, nel loro
complesso, la storia, la presenza, i segni dell’uomo, nella funzione dell’ecomuseo.
Prof.ssa Tussi, per quali motivi gli ecomusei si possono definire interculturali, luogo di narrazioni autobiografiche ed interetniche?
L’obiettivo focale consiste dunque nell’armonizzazione del territorio, tramite la messa in atto di strategie capaci di rendere dinamici gli ambiti rigidi precedenti, nella valorizzazione dello spazio culturale comune, collettivo con le relative diversità e tradizioni, al fine di incoraggiare la creazione culturale, rendere fruibile l’accesso a quest’ultima, la diffusione dell’arte nel dialogo interculturale, multiculturale, considerando le molteplici diversità sottese non solo all’etnicità, ma alla soggettività individuale: il tutto in una prospettiva di valorizzazione della conoscenza storica del territorio in cui viviamo. L’importanza di figure professionali attente alla parte socioculturale dei progetti delle amministrazioni, risulta evidente anche in campi educativi, dove si evidenziano positivi effetti sui processi di apprendimento, socializzazione e formazione dell’identità di individui, soprattutto in età giovanile, e in modo più lato sulla prevenzione o la riduzione della marginalità sociale, grazie al coinvolgimento profondo e dinamico delle risorse umane, culturali. L’obiettivo consiste dunque nel favorire una maggiore sensibilizzazione del tessuto sociale alle problematiche dei giovani, degli anziani, degli immigrati ed extracomunitari e di coloro che vivono uno stato di marginalizzazione, al fine di creare la nascita di nuove sinergie, nell’evidenziazione di nuove risorse, tramite la valorizzazione e il recupero di nuovi spazi e strutture inutilizzate o sottoutilizzate, al fine di creare musei interculturali, laboratori della memoria per il diritto al racconto di sé e alla narrazione reciproca. . La storia di formazione e di genesi del bene culturale e ambientale deriva sempre dalla nostra autobiografia. Noi consideriamo con un certo grado di emotività e di affezione gli oggetti se in qualche modo li abbiamo già visti e vissuti nel nostro passato, nella memoria e ritornano alla mente grazie all'aiuto e alla consulenza di un apporto autobiografico, antropologico e pedagogico. Abbiamo bisogno di capire come il bene artistico possa essere un oggetto che suscita fascinazione, interessi, emozioni, in rapporto alla sua necessaria difesa e valorizzazione.
http://www.youtube.com/lauratussi#p/u/3/0SzUSvQIy-Y
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http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/storia/Gmemoria_1305714592.htm
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