Lettera a un amico diessino
Caro amico diessino, figurati se non sono d'accordo con te sul piano elettorale, io che predico continuamente agli "homeless" astensionisti che, in un immaginario ballottaggio fra Hitler e Mussolini, bisogna correre a votare per Mussolini, e che non votare è sempre favorire il peggio. Se stanno per impiccarmi e mi lasciano scegliere il ramo, scelgo accuratamente il più probabilmente fragile, e non mi limito a protestare - pur protestando forte! - contro l'impiccagione.
Sul piano elettorale ci sono poi altre fregature, come l'uninominale, che fa votare i partiti al posto degli elettori, molti dei quali, se non è sopportabile il candidato locale unico, votano altri partiti, o non votano. Ciò si verifica spesso.
Problema culturale, non elettorale
Ma il maggiore problema non è elettorale, è culturale. Qui sta la debolezza del centro-sinistra. Vincere (come ora tutti prevedono!) non basta, bisogna saper governare a livello dei problemi dell'epoca, e per questo occorre avere una cultura adeguata, la sensibilità ai problemi e rischi nuovi.
Il centro-sinistra ha governato, e non ha certo fatto il massacro della Costituzione che fa Berlusconi, ma ha sbagliato assai, e soprattutto si è dimostrato deficitario sul piano culturale (non del sapere teorico, ma del capire i tempi).
L'etica della competizione, del privatismo, quindi della privatizzazione anche dei beni comuni, non è esclusivamente delle destre, ma è penetrata a fondo nei partiti di sinistra-centro come in quelli di centro-centro.
L'idea della vita come gara, della crescita materiale illimitata (dunque distruttiva dell'ambiente e della vita), l'idea del vincere che comporta sempre che un altro perda, questa ideologia dura contamina largamente anche le culture politiche - dai cattolici ai comunisti - che dobbiamo votare.
Si tratta di quel "liberismo etico" (come lo chiama il teologo Armido Rizzi in un prossimo libro), che sciaguratamente accomuna oggi destra e sinistra, con piccole differenze. Per questo motivo il tema pace-guerra, violenza-nonviolenza, non è un problema tra gli altri, come dici tu, ma il problema centrale, dalla cui soluzione dipendono tutti gli altri, fino al modo di pavimentare le strade.
Il problema del superamento della violenza - quella militare, quella strutturale, quella culturale - non è un capitolo della politica, ma il senso stesso - vivere senza uccidere! - della istituzione e dell'arte politica. Se una politica non lo vede dimostra la propria vuotezza.
Il fallimento
La politica moderna, che ha prodotto il pericolo atomico - dice Hannah Arendt - si è autonegata, è fallita perché incompatibile con la conservazione della vita, suo senso e scopo.
Quella scienza e quella tecnica che, con la stessa "volontà di potenza" della politica, hanno creato molti vantaggi pratici per una minoranza privilegiata dell'umanità, in crescente diseguaglianza dal resto degli umani, e molti pericoli totali per tutta l'umanità, hanno ugualmente fallito il loro scopo.
Anche nella sinistra primeggiano le culture politiche che pongono la loro fiducia nella crescita materiale, nelle tecnologie, più che nella costruzione di un nuovo umanesimo universale, teso alla liberazione degli oppressi, all'uguaglianza e dialogo tra popoli e civiltà, alla garanzia istituzionale della pace, al metodo nonviolento alternativo alla guerra nel gestire i conflitti.
Quanti oggi avvertono di dover criticare e abbandonare quell'etica violenta della potenza e della competizione (che non è la sana emulazione) non trovano ascolto e spazio nella politica dei partiti e delle istituzioni. Perciò sorgono i movimenti, per la pace, per l'ambiente, per un'altra economia. La politica è diventata insufficiente e se ne cerca faticosamente un'altra.
La crisi è epocale, non passeggera, non piccola.
Fin quando i partiti non mutano radicalmente la loro cultura, imparando dai movimenti, cioè dalla vita vissuta e pensata, senza guardarli con degnazione, continueranno a tener fuori dalla politica istituzionale le forze adeguate alla novità drammatica dei tempi, del mondo a rischio. Fin quando il centro-sinistra non si lascia travasare il vecchio sangue con quello nuovo delle culture alternative, non sarà alternativo alla destra. Poi, figurati, piuttosto che Berlusconi voto anche D'Alema, e anche Follini e Casini, sebbene gli somiglino molto e lo abbiano tutti aiutato, ma li voto per pura disperazione e senza fiducia e per nulla tranquillo. A loro basta il voto? E' proprio quello che temo.
In generale, i politici ignorano colpevolmente che la nonviolenza è una forza attiva - e lo dimostra anche la storia ignorata perché occultata - assai più attiva della violenza, sempre distruttiva o reattiva e dunque ripetitiva, dunque passiva, mai risolutiva dei problemi, mai davvero difensiva, mai giustificabile.
Un’Europa «potenza civile»
Quindi la "difesa" degli stati, e ora anche dell'Europa nel programma dello stesso Prodi, resta duramente militare, con spese militari crescenti, ed è strutturalmente aggressiva per il tipo di armamenti, di lunga portata e di capacità devastante. E' una difesa che produce insicurezza e pericolo e non difende nulla. E neppure vale a controbilanciare l'enorme potenza Usa. Come dice Rusconi, vorremmo un’Europa «potenza civile».
Perciò la proposta, che abbiamo fatto anche direttamente a Prodi, nel dicembre 2003 (ha risposto due mesi dopo con parole gentili ma convenevoli), di una difesa civile europea, aggiunta ad un apparato ancora militare ma trasformato in strettamente difensivo, entro una politica attiva di neutralità militare, con un bilancio che si sposti progressivamente dal militare al civile. Sordità.
Perciò ci interessa, e seguiamo con attenzione, il dibattito sulla nonviolenza sui giornali dell'estrema sinistra e nel convegno di Venezia a fine febbraio, dove è invitato anche Nanni Salio, scienziato della nonviolenza. Per ora quella discussione non arriva veramente al fondo della questione, ma è una novità tra i partiti, sul punto decisivo.
Sai bene che a Bertinotti non perdono politicamente di aver fatto cadere il governo Prodi, coi danni seguiti. Ma se in quell'area, nonostante il peso della tradizione, maturassero germi di una cultura politica nonviolenta, ciò meriterebbe credito.
Voi diessini nutrite per Bertinotti un odio fraterno perché non è rimasto a fare massa con voi. Ma la qualità della ricerca e delle idee, quando è autentica, vale quanto e più dei numeri. Se i numeri valessero di più, tu ed io saremmo stati in questi anni con la banda Berlusconi, come molti che ieri erano con noi.
Un’Alleanza Costituzionale
In ogni modo, con tutte le differenze e divisioni nel centro-sinistra all'insegna dello storico "facciamoci del male" (che sono anche differenze feconde, insopprimibili), ciò che occorre è una Coalizione Costituzionale, contro l'eversione di questa destra incivile. La cosa da fare non è legittimarla, perché è delegittimata dalla sua origine fino alle ultime malefatte.
Un Fronte Costituzionale, una Casa della Costituzione, una Alleanza Costituzionale: chiamala come vuoi, ma ciò che davvero accomuna l'opposizione al berlusconismo, dai democristiani ai comunisti, è la fedeltà alla sostanza chiara della Costituzione antifascista, solidarista, della libertà sostanziata di giustizia (art. 3, la dimenticata “supernorma”), parlamentare, fondata sullo Stato di diritto (separazione e non accumulo dei poteri). La destra attuale è nata fuori da questo patto, è fuori dall'arco costituzionale. Se non vi rientra, è straniera all'Italia repubblicana e democratica.
Il compromesso alto che, grazie a personalità sagge e colte, le culture liberale, socialcomunista, cattolica, della storia italiana, seppero fare nel 1946-47 stringendo il patto costituzionale, è anche oggi una base per ritrovare e sviluppare energie adeguate ai nuovi estremi problemi del tempo. La società viva comincia a capirlo. Lo capiscono i partiti? guardano la realtà, o guardano solo sé stessi?
Ciao, auguri all’Italia!
Enrico Peyretti (19 febbraio 2004)
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