Panikkar: demolire e costruire
Disarmo culturale - Intelligenza spirituale - Comunione cosmica - Fallimenti e spiragli - Ecosofia
Panikkar: demolire e costruire
(in Servitium, www.servitium.it , n. 197, settembre-ottobre 2011, “Macerie e germogli”, in una versione ridotta, pp. 66-70)
In uno dei suoi brevi resoconti sulla scuola sapienziale che svolge in Università e ugualmente in carcere (vedi il suo Lampada a se stessi. Letture tra università e carcere, Marietti 1820, 2008), Pier Cesare Bori riferisce sulla lettura di un brano del libro di Raimon Panikkar, The Rythm of Being, 2010:
«Un Nuovo mito sta emergendo. I segni sono dappertutto. Ho già dato molti nomi ai frammenti di quest’aurora: intuizione (insight) cosmoteandrica, sacra secolarità, kosmologia, ontonomia, trinità radicale, interdipendenza, relatività radicale eccetera. Posso anche usare un nome consacrato, advaita, che è l’equivalente della Trinità radicale. Tutto è connesso a tutto, ma senza unità monistica e separazione dualistica. Ho cercato di dirlo attraverso queste pagine » (p. 404).
L'occasione mi suggerisce di raccogliere qualche altro spunto da Raimon Panikkar sul tema di questo quaderno, “Macerie e germogli“.
Una delle porte d'entrata nella visione di Panikkar è un suo pensiero sul compito della filosofia: «Il compito della filosofia nel momento attuale è tanto semplice da enunciare quanto difficile da realizzare (…): disarmare la ragione armata» (La torre di Babele. Pace e pluralismo, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1990, p .47 ). Tale è, per lo più, a giudizio di Panikkar, la ragione occidentale moderna, una forma di potere che vuole tutto controllare, mirando a certezza e sicurezza. Una «ricerca della verità con il fucile della ragione», che poi è spesso «una caccia alla chiarezza con la pistola di Calculus» (ivi, p .163) .
Disarmare è togliere uno strumento offensivo. Ma nello stesso Occidente, oltre il concetto cartesiano, c'è anche un germoglio diverso: filosofia come vita perfetta, introduzione alla vita felice, santità . La ragione si disarma non per opera di una ragione più forte, ma se incontra lo spirito, ciò per cui comunichiamo con la vita e la realtà universali. «Di qui la mia convinzione che la filosofia non sia esclusivamente razionale né, di conseguenza, meramente teoretica» (p. 47). Per Panikkar, «pensare ha un potere corrosivo (…). Il criterio della realtà è precisamente di essere “a prova di pensiero”, cioè resistente al pensare» (p. 114). «La filosofia è la sapienza dell'amore» (p. 52). Affermazione non nuova in assoluto, ma fondamento di un approccio all'essere altro dal solito e prevalente: una “sofo-filia”, un sapere e gustare la realtà amata. Nel “com-prendere” vale più il “con” che il “prendere”, prevalente in una ragione aggressiva.
Panikkar ha una intelligenza spirituale della comunione cosmica: nessuna parte è staccata; l'insieme non è unico, ma plurale e armonico. La trinità divina cristiana è un modello universale di comprensione, presente in tutte le culture sapienti.
Mi sembra, Panikkar, un pensatore provocatore e ispiratore, quindi distruttore e costruttore. Viene a proposito di macerie e germogli. In fondo, ogni lettore intelligente del reale, è inviato, come Geremia, «per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare» (1,10).
Provocatore, il suo pensiero, perché smonta la gerarchia delle civiltà, delle religioni, il primato della ragione sul cuore, del logos sul mythos, della tecnica sulla vita. Ispiratore, perché vede e propone l'armonia del molteplice, non riducibile ad unità globale, imperiale, e questa armonia procede anche nelle differenze irriducibili, se si mantiene aperto il rapporto dialogale e la «fecondazione reciproca» delle differenti visioni.
Siamo in un cambio d'epoca e di paradigmi, stiamo traslocando da casa a casa,
qualche struttura va demolita per fare spazio a ricostruire una casa abitabile: «Bisogna avere il coraggio di ripensare radicalmente una situazione, anche se la situazione non si trova a portata di mano. Penso che il tempo delle riforme sia tramontato (…). penso che si stanno chiudendo gli ultimi 6.000 anni di esperienza umana» (La torre di Babele, p. 144).
Altre visioni hanno proposto una «pars destruens» e una «pars construens», ma poche così radicali come il «ma io vi dico» di Gesù, e come la consapevolezza che oggi le macerie non sono da fare, ma si trovano già crollate: molti muri della casa storica umana sono in macerie. Chi sa vedere e coltivare i germogli di un nuovo giardino abitabile?
Panikkar constata tre fallimenti delle civiltà, con relativi spiragli:
1. storico-politico: tutte le civiltà sono responsabili di violenze; eppure, in tutte, troviamo anche presenze alternative, l’ecumenismo del dialogo: Ashoka, Raimon Lullo, Nicolò Cusano, Pico delle Mirandola, Luis Vives;
2. filosofico-dialettico: la ragione è fallita nella sua pratica egemonica, eppure ci sono fonti di convinzioni umane, fedi, speranze, amori, che sfidano e superano il potere della ragione;
3. religioso-culturale: come gli imperi, le grandi religioni aspirano al monolitismo, hanno pretese di universalismo, che è totalitarismo (avere tutto, essere tutto), eppure sono costrette a parlarsi e ascoltarsi.
La scelta teorica di Panikkar è il pluralismo, ovvero il non-dualismo; cioè i distinti sono inseparabili; ogni elemento inabita nell’altro, senza fondersi né confondersi. La pace è pluralismo, non è conciliazione uniformante. Si tratta di pluralismo sia religioso, sia etico (superamento di ogni monismo):
L’incontro di culture e religioni, necessario alla sopravvivenza pacifica, avviene solo con nuova antropologia religiosa interculturale. La re-ligione è essenzialmente re-lazione.
Il simbolo base del pluralismo etico è “io-tu-esso”, che supera i vari riduzionismi. La ragione (facoltà umana) non è la totalità del logos (ragione del mondo, verbum entis, rivelazione). La ragione umana non è la totalità dell’uomo: c’è anche mito, corpo, sentimenti, mondo. L’umanità non è la totalità della realtà: «L’uomo è cuore e mente dell’intera realtà, è il terzo tra Cielo e Terra»; è inseparabile ma distinto dal divino e dal materiale. La realtà è cosmoteandrica (anthropos-theos-kosmos).
La vera natura della realtà è pluralistica. In tutti i miti diffusi c’è questa dimensione triadica: divino, umano, cosmico si compenetrano.
Il “dialogo dialogale” non è solo il confronto, ma la vicendevole apertura all’altro, la ricerca di elementi comuni, e non assume istanze non negoziabili. Il dialogo inter-religioso suscita il dialogo intra-religioso (interno ad una religione), che modifica ogni religione mediante la “fecondazione reciproca”. Questo dialogo è fattore di nonviolenza, di trasformazione del conflitto. Non è esortazione morale, ma discende dalla comprensione pluralistica-triadica della realtà.
Nella politica, si tratta di fare spazio alla dimensione metapolitica, perché c'è un legame inscindibile fra politica e senso profondo della vita, fra l’attività politica dell’uomo e il suo destino finale (comunque lo si pensi).
In questa dimensione appare un’alternativa all’attuale situazione planetaria, segnata da tre sconvolgimenti (ecco le macerie): 1. crisi ecologica; 2. monetizzazione dell’economia; 3. impero tecnocratico.
A questi sconvolgimenti si oppongono tre principi positivi (ecco i germogli):
1. rivelazione ecosofica (sapienza e spiritualità della terra). La terra è sapiente e l’uomo è portatore di tale sapienza, che è un dono e non un artificio.
2. de-monetizzazione dell’economia, col rifiuto dell’ideologia paneconomica, che ha investito la cultura, la politica, l’etica. Rigettare l'ideologia dannosa del denaro onnipotente non è utopia: non sopprime denaro e mercato, ma tutela i valori umani dal loro predominio. Azioni e valori gratuiti ci sono, vanno riconosciuti e affermati. “Eco-nomia” vuol dire “regola per abitare la casa”; non vuol dire l'astuzia che sfrutta l’umanità e il mondo per il gigantismo imperiale del denaro e il dominio dei ricchi (pluto-crazia).
3. emancipazione dalla pervasività della tecnologia, senza regressione antiscientifica. Significa costruire strutture in cui possa esprimersi la pienezza dell’umano.
Dunque, si tratta di costruire un nuovo modello progettuale di coesistenza nella inter-in-dipendenza nel tutto cosmoteandrico. L’uomo, tra cielo e terra, mette in luce l’equilibrio fra le tre dimensioni: questa è la suprema armonia della vita.
Quei tre principi non sono tutto. Esistono diverse vie, utopie, percorsi spirituali, sempre provvisori, da rimettere in gioco: «Solo lo spirito può oltrepassare una situazione di fatto: esso è l’organo della trascendenza» (Il “daimon” della politica: agonia e speranza, Dehoniane, Bologna 1994, p. 87).
L’alternativa non è un sistema-anti-sistema, ma è la polarità relazionale, la sfida di ogni cultura a trasfigurarsi. La fecondazione reciproca suppone ascolto e dialogo profondo con le culture non-dominanti, a lungo silenziate, una nuova convivialità internazionale, non appiattita sotto un unico modello.
Il metapolitico deve dedicarsi a edificare quest’opera alternativa, che Panikkar chiama “secolarità sacra”, ovvero fusione indissolubile del piano religioso e di quello politico. Anche Gandhi e Capitini hanno potuto mettere in stretta relazione il religioso e il politico, perché conoscono e pensano il religioso più come ispirazione, interiorità, e meno come istituzione. La storia europea del cristianesimo costantiniano regal-papale (anche nella Riforma) ci fa temere la consacrazione del potere politico e la politicizzazione dello spirito religioso.
Ma Panikkar è euro-extra-europeo. Ha il privilegio del punto di osservazione esterno al sistema a cui partecipa. Egli vuol dire che il saeculum, la secolarità, le strutture spazio-temporali, partecipano realmente alla vita del mondo, e questa vita è sacra, ha il valore del divino, è cosmo-teo-andrica. La salvezza dell’uomo passa anche attraverso la dimensione pubblica, politica; la religione deve interessarsi del politico; il politico umano, immanente, è anche esperienza del trascendente: protesta, ribellione, utopia, trasformazione, dedizione piena per difendere i diritti degli oppressi, queste sono presenze del trascendente nella politica. Anche la politica, coi suoi caratteri propri, partecipa dello “spirituale”, e viceversa, senza confusione. «Vita mistica non significa fuga dal mondo, ma una integrazione nel creato anche a prezzo di trasformarlo» (Il “daimon”… p. 126).
Le diverse culture e progetti morali si fecondano a vicenda. Nessuna ha tutto. Tutte danno qualcosa alle altre. Per una nuova progettualità etica, sociale, politica planetaria, Panikkar propone alcune demolizioni e costruzioni (Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra, Cittadella 1993, p. 141-155):
1. demonetizzare la cultura, contro la quantificazione degli orizzonti umani, per la loro qualificazione.
2. demolire la torre di Babele: ogni cultura abbia fiducia in se stessa, non si omologhi ai modelli dominanti.
3. superare l’ideologia degli stati nazionali, favorire le autonomie minori e i rapporti multilaterali tra loro.
4. ricondurre la scienza nei suoi limiti, perché non esaurisce la conoscenza del mondo.
5. sostituire la tecno-crazia coi valori creativi dell’arte, dell’amore e della bellezza, massimi valori in molte culture.
6. superare la demo-crazia con una nuova Kosmologia (kosmos = mondo, ordine, ornamento).
7. recuperare l’animismo: la vita in comunione con la natura e con ogni frammento vivente.
8. fare pace con la terra, rinunciando a dominarla, sfruttarla, come oggetto di conquista.
9. ricuperare la dimensione divina: «libertà e infinità che permea tanto la materia che lo spirito, tanto i sensi che l’intelletto». Dimensione mistica, “mystika”, cioè interiore, diretta, non dipendente da intermediari. Questo è «lo “spazio” in cui noi ci muoviamo, percepiamo e pensiamo, nel quale viviamo e siamo» (cfr Paolo ad Atene, in Atti 17,28, quando cita il poeta stoico Arato).
Enrico Peyretti
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